Di Marino Mariani
Einstein ebbe la fortuna di essere indisciplinato e strafottente. Al politecnico di Zurigo si laureò con la votazione più bassa di tutta la sua classe, pur meritando di più. I professori sapevano che egli era un genio, ma lui seppe inimicarseli tutti, non portando il dovuto rispetto, e quando cercò di sistemarsi nel mondo dell’insegnamento accademico, tutte le porte gli furono sbattute in faccia. E così, invece di fare l’ossequioso assistente di qualche celebre luminare, fu costretto a dialogare con se stesso, a seguire il volo della sua immaginazione rappresentativa, fino a ritrovarsi al di fuori dei confini del mondo reale. Ma il miracolo non si limitò alla portata delle sue teorie, ma straripò nel delirio che seppe suscitare in ogni strato della popolazione di questo pianeta, dai capi di stato al più umile dei sudditi, dai magnati del capitalismo ai poveretti delle periferie. Nessuno di loro lo capiva, ma tutti lo “sentivano”. (Questa biografia è stata scritta nel 2008 per la rivista Suono)
Einstein ebbe la fortuna di essere indisciplinato e strafottente. Al politecnico di Zurigo si laureò con la votazione più bassa di tutta la sua classe, pur meritando di più. I professori sapevano che egli era un genio, ma lui seppe inimicarseli tutti, non portando il dovuto rispetto, e quando cercò di sistemarsi nel mondo dell’insegnamento accademico, tutte le porte gli furono sbattute in faccia. E così, invece di fare l’ossequioso assistente di qualche celebre luminare, fu costretto a dialogare con se stesso, a seguire il volo della sua immaginazione rappresentativa, fino a ritrovarsi al di fuori dei confini del mondo reale. Ma il miracolo non si limitò alla portata delle sue teorie, ma straripò nel delirio che seppe suscitare in ogni strato della popolazione di questo pianeta, dai capi di stato al più umile dei sudditi, dai magnati del capitalismo ai poveretti delle periferie. Nessuno di loro lo capiva, ma tutti lo “sentivano”. (Questa biografia è stata scritta nel 2008 per la rivista Suono)
30 gennaio 1931: Einstein e la moglie Elsa sono al fianco di Charlie Chaplin alla prima di City Lights (Luci della Città) al Los Angeles Theater |
Albert Einstein è una figura unica non solo nel mondo della scienza, ma, più in generale, nel mondo della cronaca quotidiana su scala mondiale. Fu un personaggio popolare, popolarissimo, più popolare dei divi di Hollywood, con l’esclusione del primatista mondiale di tutti i tempi, e cioè di Charlie Chaplin. I due, comunque, furono amici profondamente affezionati. Quando Chaplin presentò City Lights (Luci della città) a Los Angeles. Einstein e la moglie sedevano accanto a lui. Vi ricordate questo film? È quello della fioraia cieca, di cui Charlot s’innamora e che, sfruttando certe inaspettate, favorevoli circostanze, riesce ad aiutare con cospicue somme di danaro. Così la ragazza, che crede Charlot un milionario, può affrontare un’operazione e riacquista la vista. Mette su un lussuoso negozio di fiori, e tra i ricconi eleganti che lo frequentano cerca sempre di scoprire chi fosse stato il suo ignoto benefattore. Finché un giorno Charlot, stracciato come al solito, e beffeggiato dai ragazzacci, passa avanti al negozio, la vede, la riconosce, e fa per allontanarsi. Ma lei, vedendo quel pover’uomo stracciato e beffeggiato, ne ha compassione, esce dal negozio, gli offre un fiore e gli mette in mano una monetina. Stringendo quella mano, la ragazza riconosce il suo benefattore e….Einstein scoppiò a piangere.
Charlie Chaplin fu l’attore più popolare del mondo, perché tutti capivano la sua umanità, mentre Einstein fu lo scienziato più popolare del mondo benché fosse capito da pochi e particolarmente osteggiato negli ambienti accademici ed antisemiti. Einstein fu costretto a fuggire dal paese della tirannia, e Chaplin fu costretto a fuggire dal paese della libertà. Einstein ebbe un premio Nobel di consolazione: non si poteva fare a meno di darglielo, ma le sue teorie (relativistiche) non venivano riconosciute nella categoria delle scoperte o delle applicazioni, finché nel 1921 si trovò il modo di premiarlo per un suo vecchio lavoro in cui, combinando la teoria quantistica di Plank per la radiazione del corpo nero, con i risultati degli esperimenti di Lenard, diede la spiegazione dell’effetto fotoelettrico. Invece Chaplin, re della risata, della lacrima e degli incassi, il premio Oscar non lo ebbe mai. Ma che dico? Nel 1972, all’età di 83 anni, tornò ad Hollywood per ricevere un Oscar alla carriera. Anche lui si era mostrato irriverente nei confronti dell’Accademia. Concludo questa introduzione dicendo che sono contento che questi due grandi uomini siano stati legati da profonda amicizia, ma adesso basta con questo ping pong di analogie e di discrepanze. Tanto, dopo Einstein, attaccherò la biografia (anzi, l’autobiografia) di Charlie Chaplin, ed allora tutti i lettori saranno in grado di effettuare la dovuta sintesi dei sinonimi e dei contrari.
Bibliografia di Einstein
Come avrete già capito, io sono un cacciatore di biografie, nelle quali, sapendo scegliere i personaggi, o avendo la fortuna di scoprirne di nuovi ed impensati, si riesce ad avere un quadro dei tempi passati, infinitamente più ricco e credibile di quanto non ci venga tramandato dalle storie ufficiali. Per certi personaggi, poi, ho una specie di conto sempre aperto, nel senso che vado alla ricerca di ogni biografia che sia stata, o venga di volta in volta pubblicata. Non è una forma di mania, ma una necessità assoluta, se si vuole il quadro completo dei tempi, dei luoghi e degli avvenimenti. Nessun libro sulla Callas contiene la storia completa della Callas, ma da tutto quello che è stato pubblicato su di lei, anche in epoche recenti, e quindi lontane dalla data della sua morte, è possibile ricostruire il quadro completo della sua vita, e quindi la sua biografia completa potrebbe essere ora, dopo la morte di Giuseppe Di Stefano che fu il suo ultimo compagno d’avventure e di sventure, pubblicata in una sorta di compendium delle dimensioni di un paio di volumi di ca. 800 pagine ciascuno.
Il conto sempre aperto ce l’ho, oltre che con la Callas, con Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Enrico Caruso, Caio Giulio Cesare, con i martiri negri americani Louis Armstrong, Jesse Ovens, Joe Louis, Josephine Baker e Marian Anderson, e tanti altri personaggi. Tra cui Albert Einstein.
Walter Isaacson |
Siccome metà dei miei libri sono a Roma e metà a Zurigo, non posso elencare tutte le biografie di Einstein in mio possesso, però posso asserire che tra queste ci sono quelle unanimemente giudicate di prima scelta di Abraham Pais, Albert Fölsing (nell’edizione originale completa in lingua tedesca ed in quella abbreviata in inglese), di John Gribbin e l’ultima, pubblicata nel 2007, di Walter Isaacson. Inoltre ho un libro che hanno in pochi, e cioè l’epistolario di Einstein con Michele Angelo Besso, il suo migliore amico, che va dal 1903 a 1955, cioè fino all’anno della morte di entrambi. Questo libro ce l’ho nell’edizione italiana dell’editore Guida (Napoli); l’originale, edito da Pierre Speziali, è in lingua francese col testo tedesco a fronte. Possiedo anche il volume in cui sono raccolte le lettere d’amore scambiate da Einstein con Mileva Maric, ed una biografia di Mileva Maric. Per ragioni che spiegherò più tardi, la biografia che giudico la migliore e che ho preso come guida per questa serie di articoli, è quella di Walter Isaacson. Naturalmente queste biografie sono soltanto una parte del materiale einstaniano in mio possesso. A fronte di esse ci sono le opere originali di Einstein e tanti libri di testo, essenzialmente sulla relatività, speciale e generale. E tra le opere quasi in mio possesso c’è la maggiore e definitiva, e cioè le “Gesammelte Werke”, vale a dire l’opera omnia di Einstein, disponibile anche in inglese come “Collected Papers”, pubblicata, in 36 volumi, dall’Università di Princeton: Dico quasi in mio possesso perché il primo volume uscì nel 1981 e, ad intervalli di ca. un’anno e mezzo ciascuno, uscirono i successivi quattro volumi, per un totale di cinque, che posseggo. Dopo caddero le tenebre, e le librerie zurighesi di cui mi servivo non furono in grado di darmi nessuna ulteriore notizia. Ma in tempi recenti ho ricavato preziose informazioni su internet, ed ho riscontrato che a tutt’oggi sono usciti altri cinque volumi, che vedrò di ordinare online. Ma accanto a questi volumi, esistono, su internet, anche gli Albert Einstein Archives online, a cura della Hebrew University of Jerusalem, su cui non mi intrattengo ulteriormente perché li potete cercare da soli su internet. Tra le opere pubblicate in italiano, e sono tante, nel 1955 acquistai un volumone intitolato “Cinquant’anni di relatività”, alla cui compilazione contribuirono i seguenti illustri matematici, astronomi e fisici: Pantaleo, Aliotta, Armellini, Caldirola, Finzi, Polvani, Severi e Straneo. Si tratta di un libro di grosse dimensioni e di grande valore. L’ho cercato in ogni parte della casa per controllare la lista degli autori, ma non l’ho trovato. Allora mi sono rivolto ad internet ed ho scoperto, con stupore, che su ebay ne viene offerta una copia al prezzo di €1,99, più €10 per la spedizione. Ebbene, questo libro fu scritto quando Einstein era ancora vivo, ed anzi Einstein accettò di scriverne l’introduzione, ma siccome morì pochi giorni dopo, questa introduzione potrebbe benissimo essere l’ultima cosa scritta da lui. Ed ora vi dirò perché, tra tutte quelle che posseggo, preferisco la biografia di Walter Isaacson: tutte le biografie fanno l’elenco degli amici di Einstein, elenco che s’apre con Michele Angelo Besso e prosegue con Marcel Grossman, Conrad Habicht e Maurice Solovine., ma nessuna rileva l’importanza che tali amicizie ebbero per le scoperte di Einstein. Questi amici lo ispiravano, con la loro dialettica intelligente l’aiutavano a sviluppare il pensiero, l’aiutavano nei calcoli. Lo tenevano allegro quando Einstein dovette passare lunghi periodi di disoccupazione. Quale fortuna ebbe Einstein a tenersi, non per sua volontà, lontano dagli ambienti accademici, e poter scatenare la sua fantasia in mezzo ai suoi formidabili amici! Nella biografia di Isaacson, finalmente, l’orchestra Einstein è al gran completo, e la sua lontananza dalle università, dalle accademie e dai cenacoli ufficiali era tutt’altro che una solitudine.
Einstein, da parte di entrambi i genitori, discendeva da commercianti e venditori ambulanti che, per almeno due secoli, avevano modestamente vissuto nei villaggi rurali della Svevia, nella parte sud-occidentale della Germania. Col passare del tempo essi si sentivano assimilati nella cultura germanica che tanto amavano. Benché ebrei per discendenza, per cultura ed istinto familare, nutrivano tuttavia scarso interesse per la religione e per i suoi rituali. Il padre di Einstein, Hermann, era nato nel villaggio svevo di Buchau, ove la comunità ebraica godeva i frutti di una progressiva liberalizzazione, e cominciava a poter scegliere le professioni. Hermann sentiva una certa inclinazione per la matematica, e la famiglia lo mandò a frequentare le secondarie a Stoccarda, ma non ebbe le risorse per farlo entrare all’università, che comunque, in quel periodo, in maggioranza non accettava gli ebrei. E così tornò a Buchau per essere avviato al commercio. Nel quadro della progressiva migrazione degli ebrei rurali tedeschi verso le zone industriali, la famiglia si trasferì nella prospera Ulm, città il cui motto era, profeticamente: “Ulmenses sunt mathematici” e dove Hermann divenne socio di un suo cugino in una fabbrica di materassi in piuma d’oca e dove, all’età di 29 anni, sposò Pauline Koch di 18, di benestante famiglia specializzata nel commercio di granaglie e fornitrice della corte del Württemberg. Lei era una donna pratica e fattiva, a compensare la “passività” del marito. Il loro primo figlio, Albert Einstein, nacque il 14 marzo 1879. Ad esso era destinato il nome di Abraham, che poi venne scartato perché troppo vistosamente ebraico. Un anno dopo la nascita di Albert, essendo la fabbrica di materassi in piume d’oca (naturalmente) fallita, Hermann fu convinto a trasferirsi a Monaco (di Baviera) da suo fratello Jakob, il più giovane dei cinque fratelli Einstein, che aveva potuto completare i suoi studi, conseguendo la laurea in ingegneria.
Lo scopo era quello di gestire una società di impianti per la distribuzione di gas e di elettricità, con Jakob capo del settore tecnico, mentre ad Hermann veniva affidato il settore commerciale, specialmente confidando in un apporto finanziario da parte della famiglia di sua moglie. Pauline ed Hermann completarono nel 1881 la loro figliolanza con la nascita della bambina Maria, per sempre, in seguito, chiamata Maja. Quando la creaturina fu presentata al piccolo Albert, costui manifestò tutto il suo entusiasmo, ma credendo che fosse un giocattolo, domandò dov’erano le rotelline. Fu un progresso, in famiglia, perché Albert Einstein sembrava che non volesse imparare a parlare, mentre questa volta si espresse coerentemente. Senza voler dare la stura all’aneddotica einsteiniana (tanto, la maggior parte è apocrifa), possiamo riportare che il piccolo Albert era schivo e riservato, che quando la sua casa ed il giardino erano pieni dei suoi piccoli amici di famiglia, lui preferiva ritirarsi e dedicarsi ai suoi giochi ad incastro (puzzle). Ogni tanto aveva scoppi di rabbia che lo stravolgevano completamente, come quando a cinque anni scagliò una sedia contro un malcapitato maestrino privato, che non si fece più vedere in quella casa. Molte volte se la prendeva con Maja, la quale disse che per fare la sorella ad uno come lui, ci voleva una testa ben dura. E però la sua ammirazione per suo fratello era tale che non cessò mai di lodarlo. Dice che era capace di fare un castello con le carte da gioco alto quattordici piani. Tra tutti gli aneddoti veri e non veri, uno però merita attenzione: una volta che era malato ed abbattuto, il padre gli regalò una bussola. Se l’Albertino di allora, da grande, non fosse diventato EINSTEIN in tutte maiuscole, forse quell’episodio non sarebbe stato neanche tramandato, ma invece……Dunque Albert rimase affascinato da quello strumento misterioso, il cui ago, qualunque volta e giravolta gli si facesse fare, puntava sempre a nord costretto da una forza invisibile. Ebbene, si vuole che sin d’allora Einstein cominciasse a riflettere sui campi di forze che non si manifestavano come azioni dirette e direttamente osservabili come, per esempio, l’urto tra due palline o la compressione e decompressione di una molla elastica, bensì, rimanendo invisibili, venivano a costituire una proprietà specifica di ogni punto dello spazio anche a distanze astronomiche dalle loro sorgenti, come il campo gravitazionale che si esercita tra i corpi celesti, ed i campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici che si esercitano tra cariche elettriche, poli magnetici, tra correnti elettriche e poli in movimento….. Fino all’ultimo istante della sua vita Einstein rimase immerso nella riflessione tra la natura dei campi di forze e la geometria dello spazio, spazio che oltre a punti e luoghi geometrici conteneva anche il tempo.
Hermann Einstein |
Lo scopo era quello di gestire una società di impianti per la distribuzione di gas e di elettricità, con Jakob capo del settore tecnico, mentre ad Hermann veniva affidato il settore commerciale, specialmente confidando in un apporto finanziario da parte della famiglia di sua moglie. Pauline ed Hermann completarono nel 1881 la loro figliolanza con la nascita della bambina Maria, per sempre, in seguito, chiamata Maja. Quando la creaturina fu presentata al piccolo Albert, costui manifestò tutto il suo entusiasmo, ma credendo che fosse un giocattolo, domandò dov’erano le rotelline. Fu un progresso, in famiglia, perché Albert Einstein sembrava che non volesse imparare a parlare, mentre questa volta si espresse coerentemente. Senza voler dare la stura all’aneddotica einsteiniana (tanto, la maggior parte è apocrifa), possiamo riportare che il piccolo Albert era schivo e riservato, che quando la sua casa ed il giardino erano pieni dei suoi piccoli amici di famiglia, lui preferiva ritirarsi e dedicarsi ai suoi giochi ad incastro (puzzle). Ogni tanto aveva scoppi di rabbia che lo stravolgevano completamente, come quando a cinque anni scagliò una sedia contro un malcapitato maestrino privato, che non si fece più vedere in quella casa. Molte volte se la prendeva con Maja, la quale disse che per fare la sorella ad uno come lui, ci voleva una testa ben dura. E però la sua ammirazione per suo fratello era tale che non cessò mai di lodarlo. Dice che era capace di fare un castello con le carte da gioco alto quattordici piani. Tra tutti gli aneddoti veri e non veri, uno però merita attenzione: una volta che era malato ed abbattuto, il padre gli regalò una bussola. Se l’Albertino di allora, da grande, non fosse diventato EINSTEIN in tutte maiuscole, forse quell’episodio non sarebbe stato neanche tramandato, ma invece……Dunque Albert rimase affascinato da quello strumento misterioso, il cui ago, qualunque volta e giravolta gli si facesse fare, puntava sempre a nord costretto da una forza invisibile. Ebbene, si vuole che sin d’allora Einstein cominciasse a riflettere sui campi di forze che non si manifestavano come azioni dirette e direttamente osservabili come, per esempio, l’urto tra due palline o la compressione e decompressione di una molla elastica, bensì, rimanendo invisibili, venivano a costituire una proprietà specifica di ogni punto dello spazio anche a distanze astronomiche dalle loro sorgenti, come il campo gravitazionale che si esercita tra i corpi celesti, ed i campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici che si esercitano tra cariche elettriche, poli magnetici, tra correnti elettriche e poli in movimento….. Fino all’ultimo istante della sua vita Einstein rimase immerso nella riflessione tra la natura dei campi di forze e la geometria dello spazio, spazio che oltre a punti e luoghi geometrici conteneva anche il tempo.
A parer mio, però, l’elemento formativo di cui godé Einstein nella sua infanzia, e che tanto lo aiutò nella soluzione dei suoi problemi nel corso di tutta la sua vita, fu il suo incontro con la musica di Mozart. La madre di Albert, la signora Pauline, era una brava pianista e indusse il bambino a studiare il violino, cosa che Albert fece con moltiplicato entusiasmo quando apprese le prime composizioni di Mozart, sonate e sonatine in cui la madre accompagnava il figlio al pianoforte. Vi ricordate l’inizio di questo articolo, in cui sottolineavo le analogie (e le discrepanze) tra Einstein e Charlie Chaplin? Ebbene, anche Chaplin studiò e suonò il violino con amore, anche se ad un certo punto dovette ammettere che, per la vita che faceva, non avrebbe potuto diventare un solista internazionale. Idem per Einstein, e questa è un’analogia. La contrapposizione sta nel fatto che Chaplin, essendo mancino, aveva le corde montate in ordine inverso, come se nel pianoforte i tasti dei toni alti stessero a sinistra invece che a destra. Se rivedete il film di Charlot Limelight (Luci della ribalta, 1952, si trova facilmente su youtube), nel suo duetto con Buster Keaton, si vede chiaramente come Calvero (Charlie Chaplin), accorda e suona il suo violino, imbracciato con la mano destra, con l’archetto nella sinistra.
Per Einstein, suonare Mozart col suo violino, da solo, in duetto o in quartetto, non era un momentaneo passatempo, ma una vera e propria metodologia di studio. Suonava quando rifletteva su un problema irrisolvibile, poi, con uno strappo, segnalava che aveva trovato la soluzione. Per Einstein Mozart rappresentava il massimo della bellezza e dell’armonia del mondo, raggiunte con il massimo della semplicità. Esattamente quello che Einstein ricercava con le sue equazioni.
A scuola
In tarda età Einstein raccontava questo aneddoto riguardante la sua famiglia. Aveva uno zio, perfettamente agnostico (leggi: ateo), che però tra tutto il parentado era l’unico che frequentava regolarmente la sinagoga, che mangiava il cibo prescritto dalla religione ebraica (il kosher), osservava le prescrizioni del sabato ebraico &c. Se gli domandavano perché così si comportasse, rispondeva: “Non si sa mai”. Questo era lo spirito della famiglia Einstein, che considerva i rituali religiosi come il residuo d’una vecchia ed inveterata superstizione. Quando Albert fu maturo per andare a scuola, a sei anni, non si preoccuparono minimamente di trovare una scuola ebraica, ma lo mandarono alla più vicina scuola cattolica, la Peterschule, la “Scuola di (S.) Pietro”. Era l’unico ebreo in una classe di settanta scolari, ed era così bravo in catechismo tanto da aiutare i suoi compagni. Un giorno il maestro portò in classe alcuni grossi chiodi arrugginiti, e disse che erano tali e quali a quelli con cui fu crocifisso Gesù. Ciononostante Albert non si sentì mai discriminato dagli insegnanti, ma i suoi piccoli compagni, stranamente sensibili alla diversità religiosa, scaricavano su di lui il loro antisemitismo. All’uscita dalla scuola ci furono scaramucce, ma Einstein sostiene che tali scontri non erano particolarmente feroci. E tuttavia, sin da quel momento e per tutta la vita ebbe la coscienza di essere un outsider, un estraneo, un escluso.
Quando compì nove anni fu iscritto ad una scuola secondaria nel centro di Monaco, il Luitpold Gymnasium, ritenuto una scuola illuministica, specializzata nell’insegnamento della matematica e delle scienze, come pure del latino e del greco, e che disponeva di un insegnante di religione riservato a lui e agli altri bambini ebrei. Nonostante il secolarismo della sua famiglia, o forse a causa di questo, Albert sviluppò un improvviso entusiasmo per il giudaismo, al punto, come assicura la sorella Maja, non solo di rispettare tutti i costumi, le usanze e le prescrizioni alimentari della religione, ma di comporre lui stesso inni religiosi a maggior gloria di Dio, inni che fervidamente cantava tornando a casa dalla scuola. Una leggenda largamente diffusa, relativa a quel periodo della sua vita, tradizionalmente rafforzata dal commento “Come tutti sanno”, riportata da un’infinità di libri e di siti in rete, vuole che Albert Einstein fosse uno scolaro piuttosto scarso, al di sotto della media. Persino la famosa colonna giornalistica “Ripley’s Believe It or Not” (una sorta di notiziario “Incredibile ma Vero”), si occupò della carriera scolastica di Einstein. Nel 1935 un rabbino di Princeton mostrò ad Einstein un titolone della rubrica di Ripley: “Il Più Grande Matematico Vivente Bocciato Agli Esami!”. Einstein si fece una risata: “Prima di compiere quindici anni già conoscevo il calcolo infinitesimale ed integrale”. In effetti Albert fu un ottimo scolaro, ed in matematica fu giudicato “ben al di sopra delle esigenze scolastiche”. La sorella sostiene che a 12 anni Albert era continuamente immerso nella soluzione di problemi di aritmetica applicata. Ad un certo punto pensò di fare un salto di classe, e si fece comprare i libri di matematica e di geometria dell’anno successivo. A questo punto Albert non fu più visto “perdere tempo” con i giochi e con i compagni. Anche zio Jakob l’ingegnere venne a dare una mano, proponendo ad Einstein problemi sempre più difficili, culminanti nella dimostrazione del teorema di Pitagora. Cosa che costui risolse “visivamente”, dato che il segreto di Einstein era la sua capacità di rappresentare con immagini, ed osservando le immagini trovava la soluzione. Per dare un piccolo punto di riferimento, leggendo questo passo della biografia di Isaacson, anche io mi sono voluto cimentare nella dimostrazione, ed in meno di un microsecondo ne trovai una, per via trigonometrica, ma poi l’ho ritenuta non valida, perché la trigonometria è essa stessa un’applicazione del teorema di Pitagora. Poi ho trovato un paio di dimostrazioni per via matematica, ma una dimostrazione puramente geometrica non mi è riuscita. Chi vuole cimentarsi in tale problema, avendo dimenticato quanto ha imparato al Liceo, può andare a cercare in internet, e ne troverà a dozzine. Certo, già sapendo che la somma dei quadrati costruiti sui cateti di un triangolo rettangolo è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa, una dimostrazione prima o poi si trova, ma certo Pitagora non poteva averlo saputo a priori, e comunque il piccolo Einstein aveva solo 12 anni. La sorella Maja sostiene inoltre che la soluzione di Albert era completamente nuova (rispetto a quelle pubblicate nei libri di testo di quell’epoca). Ma lo stimolo maggiore allo sviluppo mentale gli venne per quest’altra via: era tradizione nelle famiglie ebree ospitare ed offrire un pranzo ogni sabato ad uno studente di religione. I signori Einstein modificarono tale tradizione ospitando ogni giovedì uno studente di medicina. Costui era Max Talmud (che quando emigrò in America cambiò il suo nome in Talmey), e quando cominciò ad essere invitato a casa Einstein aveva vent’un anni contro i dieci di Albert. Talmud ricorda che Albert era un brunetto riccioluto, e non lo vide mai leggere un libro di svago né lo vide mai assieme ai suoi compagni di scuola o altri ragazzi che fossero suoi coetanei. Apro una parentesi: venti o più anni fa lessi sul giornale che un padre (professore) aveva portato la figlia decenne a laurearsi in matematica ad Oxford, sostenendo di averla fatta stare sempre e soltanto in compagnia di persone maggiori di lei. (Io approvo questo metodo, perché tanto i bambini quanto i figli degli animali imparano essenzialmente imitando i grandi).
Pauline Einstein |
Quando compì nove anni fu iscritto ad una scuola secondaria nel centro di Monaco, il Luitpold Gymnasium, ritenuto una scuola illuministica, specializzata nell’insegnamento della matematica e delle scienze, come pure del latino e del greco, e che disponeva di un insegnante di religione riservato a lui e agli altri bambini ebrei. Nonostante il secolarismo della sua famiglia, o forse a causa di questo, Albert sviluppò un improvviso entusiasmo per il giudaismo, al punto, come assicura la sorella Maja, non solo di rispettare tutti i costumi, le usanze e le prescrizioni alimentari della religione, ma di comporre lui stesso inni religiosi a maggior gloria di Dio, inni che fervidamente cantava tornando a casa dalla scuola. Una leggenda largamente diffusa, relativa a quel periodo della sua vita, tradizionalmente rafforzata dal commento “Come tutti sanno”, riportata da un’infinità di libri e di siti in rete, vuole che Albert Einstein fosse uno scolaro piuttosto scarso, al di sotto della media. Persino la famosa colonna giornalistica “Ripley’s Believe It or Not” (una sorta di notiziario “Incredibile ma Vero”), si occupò della carriera scolastica di Einstein. Nel 1935 un rabbino di Princeton mostrò ad Einstein un titolone della rubrica di Ripley: “Il Più Grande Matematico Vivente Bocciato Agli Esami!”. Einstein si fece una risata: “Prima di compiere quindici anni già conoscevo il calcolo infinitesimale ed integrale”. In effetti Albert fu un ottimo scolaro, ed in matematica fu giudicato “ben al di sopra delle esigenze scolastiche”. La sorella sostiene che a 12 anni Albert era continuamente immerso nella soluzione di problemi di aritmetica applicata. Ad un certo punto pensò di fare un salto di classe, e si fece comprare i libri di matematica e di geometria dell’anno successivo. A questo punto Albert non fu più visto “perdere tempo” con i giochi e con i compagni. Anche zio Jakob l’ingegnere venne a dare una mano, proponendo ad Einstein problemi sempre più difficili, culminanti nella dimostrazione del teorema di Pitagora. Cosa che costui risolse “visivamente”, dato che il segreto di Einstein era la sua capacità di rappresentare con immagini, ed osservando le immagini trovava la soluzione. Per dare un piccolo punto di riferimento, leggendo questo passo della biografia di Isaacson, anche io mi sono voluto cimentare nella dimostrazione, ed in meno di un microsecondo ne trovai una, per via trigonometrica, ma poi l’ho ritenuta non valida, perché la trigonometria è essa stessa un’applicazione del teorema di Pitagora. Poi ho trovato un paio di dimostrazioni per via matematica, ma una dimostrazione puramente geometrica non mi è riuscita. Chi vuole cimentarsi in tale problema, avendo dimenticato quanto ha imparato al Liceo, può andare a cercare in internet, e ne troverà a dozzine. Certo, già sapendo che la somma dei quadrati costruiti sui cateti di un triangolo rettangolo è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa, una dimostrazione prima o poi si trova, ma certo Pitagora non poteva averlo saputo a priori, e comunque il piccolo Einstein aveva solo 12 anni. La sorella Maja sostiene inoltre che la soluzione di Albert era completamente nuova (rispetto a quelle pubblicate nei libri di testo di quell’epoca). Ma lo stimolo maggiore allo sviluppo mentale gli venne per quest’altra via: era tradizione nelle famiglie ebree ospitare ed offrire un pranzo ogni sabato ad uno studente di religione. I signori Einstein modificarono tale tradizione ospitando ogni giovedì uno studente di medicina. Costui era Max Talmud (che quando emigrò in America cambiò il suo nome in Talmey), e quando cominciò ad essere invitato a casa Einstein aveva vent’un anni contro i dieci di Albert. Talmud ricorda che Albert era un brunetto riccioluto, e non lo vide mai leggere un libro di svago né lo vide mai assieme ai suoi compagni di scuola o altri ragazzi che fossero suoi coetanei. Apro una parentesi: venti o più anni fa lessi sul giornale che un padre (professore) aveva portato la figlia decenne a laurearsi in matematica ad Oxford, sostenendo di averla fatta stare sempre e soltanto in compagnia di persone maggiori di lei. (Io approvo questo metodo, perché tanto i bambini quanto i figli degli animali imparano essenzialmente imitando i grandi).
Max Talmud cominciò a regalare ad Albert i volumetti illustrati della serie People Books on Natural Science (Biblioteca Popolare di Scienze Naturali). “Li ho divorati trattenendo il fiato”, disse Albert quando era già divenuto Einstein. I vent’un volumi che completavano la serie erano scritti da Aaron Bernstein, il quale metteva in evidenza la correlazione tra la biologia e la fisica, e riportavano un gran numero di esperimenti che venivano compiuti prevalentemente in Germania (vedremo in seguito che quella che il regime nazionalsocialista definiva “Die deutsche Physik” (La fisica tedesca) era la fisica sperimentale, mentre la fisica teorica, in cui pur i tedeschi ariani ed antisemiti eccellevano, era la Fisica Giudaica. Questa interpretazione politica della fisica a quel tempo non era ancora delineata, ed Aaron Bernstein, con quel nome, era evidentemente ebreo anche lui). Già nell’introduzione del primo volume Bernstein trattava della velocità della luce, argomento che l’affascinava su cui ritornò più volte nei volumi successivi, includendo gli undici saggi esposti nel volume 8. A giudicare dagli esperimenti mentali che Einstein utilizzò nella creazione della teoria della relatività, l’inflluenza di quei volumetti di Bernstein fu veramente decisiva. Un esempio tipico, su cui Einstein fondò la sua critica al concetto di contemporeanità, fu quello del treno in corsa: se un proiettile viene sparato a perpendicolo contro un finestrino, appare invece sparato sotto una certa angolazione, perché a causa della velocità del treno, il foro d’uscita nel finestrino opposto non è più allineato col foro d’entrata. Parimenti, data la velocità della Terra nel suo moto nello spazio, lo stesso dovrebbe avvenire per la luce che entra in un telescopio. Quello che c’è di sorprendente, osserva Bernstein, è che tutti gli esperimenti mostravano lo stesso effetto, indipendentemente dalla velocità della sorgente luminosa in moto. Fa impressione, in relazione alle conclusioni cui poi pervenne Einstein, quanto Bernstein asserì: “Poiché ogni tipo di luce mostra di possedere esattamente la stessa velocità, la legge della velocità della luce può essere a ragione definita come la più generale di tutte le leggi di natura”. In un altro volume Bernstein invitò i lettori ad immaginare un viaggio sull’onda di un segnale elettrico. Bernstein si entusiasmava per la potenza della mente umana che predisse la locazione del pianeta Urano prima che gli astronomi lo individuassero con i loro telescopi. Un altro sasso che Bernstein gettava nello stagno fu la considerazione che se tutti i fenomeni elettromagnetici, come la luce, potevano essere interpretati come onde, lo stesso poteva accadere per la gravità. Apriti cielo, prima di Einstein c’era stato un altro Einstein!!! Talmud aiutò in ogni modo ad eccitare la mente del piccolo Albert, regalandogli un libro di geometria due anni avanti al suo testo scolastico. Libro che il ragazzino considerò “il suo libro sacro di geometria”. In seguito, in una lezione che tenne ad Oxford, Einstein dichiarò: “Se Euclide non ispirò i vostri sogni giovanili, allora non siete nati per essere un pensatore scientifico”. Talmud avviò Albert Einstein alle letture filosofiche, raccomandandogli Kant, e si meravigliò che costui, a soli 13 anni, capisse istintivamente la dottrina della Critica della Ragion Pura, che fu il tramite per il successivo studio di David Hume ed Ernst Mach. A questo punto Einstein subì un’improvvisa profonda trasformazione: il rigetto della religione con tutti i suoi ritualismi e le sue falsità. Come pure il rigetto del principio d’autorità e di ogni tipo di autoritarismo, da quello scolastico a quello militaristico. E così rimase per tutto il resto della sua esistenza.
(Foto Google di dominio pubblico. Click per ingrandire)