Di Marino Mariani
Idillio dei bambini e degli animali |
Facevo la terza elementare, eravamo nel bel mezzo dell’anno scolastico, quando mio padre fu trasferito dalla città ad un paesino che faceva parte del Governatorato di Roma, che si chiamava, per l’appunto, Cesano di Roma. Aveva la carica di “Delegato Governatoriale”, che costituiva indubbiamente una promozione, non certo una condanna all’esilio o, come si diceva allora, un invio al “confino”. Dall’anonimato della grande città venivamo sbalzati in una sede invero modesta ma dove la nostra famiglia, ora che rappresentavamo la massima autorità amministrativa, balzava in primo piano ed era sotto il fuoco dell’opinione pubblica che non ci risparmiava elogi e, probabilmente, pettegolezzi. I nostri interlocutori per censo e lignaggio, erano il parroco, l’ufficiale postale, il medico condotto, la levatrice, il direttore della scuola elementare, il comandante della tenenza dei carabinieri e qualche ricco possidente. Sopra mio padre c’era il segretario politico Polletti di stanza a Roma, che faceva saltuarie visite nel nostro paesello. Che una volta ci invitò nella sua lussuosa abitazione a Roma e ci mostrò la sua Enciciclopedia Treccani nel suo bel mobile in Chippendale massiccio (Cinquant’anni dopo anch’io acquistai, per diversi milioncini di lire, l’Enciclopedia Treccani originale degli anni ’30, col loro mobile, da un antiquario di piazza Fontanella Borghese). Di quei tempi il sabato era il “Sabato Fascista”, e da Roma venivano due giovani graduati della Milizia, Ceciarelli e Fumagalli, a farci marciare e cantare gli inni patriottici. E noi Balilla, assieme alle Piccole Italiane, marciavamo e cantavamo “Giovinezza” con due ritornelli supplementari. Di cui il primo era rivolto al Sovrano Vittorio Emanuele, e diceva “E per Vittorio Emanuele, eja eja alalà”. Ma, nella mente di quei piccoli figli di contadini e di modesti artigiani il nome del Re veniva interpretato come “Vittorio e Manuele”, per cui il secondo ritornello, che era: “E per Benito Mussolini, eja eja alalà”, veniva cantato così: “E per Benito e Mussolini, eja eja alalà”. Finchè rimasi a Cesano, nonostante l’intervento dei graduati, ma anche degli insegnanti, l’esecuzione di quei ritornelli rimase immutata ed anch’io mi uniformai. Dopo la marcia ed il canto di inni patriottici, venivamo adunati nel campo sportivo ove venivano lette le disposizioni del partito. Una di queste stabiliva che: “Ogni qualvolta veniva citata la persona del Duce, bisognava scattare sull’attenti”. Prima di tornare a Roma, la sera, Fumagalli e Ceciarelli venivano a cenare a casa nostra, ed era una piccola lieta festicciola. Zia Giulia, dopo un accurata indagine, stabilì che Ceciarelli era un nostro parente, perché, in quanto nipote della signora Pieralice…Durante questo piccolo banchetto, il Duce veniva citato spesso ed io, puntualmente scattavo sull’attenti, finché non fu stabilito che questa disposizione non valeva per riunioni familiari svolte in casa.
J. Ratzinger militare a 16 anni |
Ma la mia apoteosi, si può dire, non era di questo mondo, bensì sfiorava la sfera celeste: non so per quali meriti, ero diventato il beniamino delle monache, che avevano la loro sede proprio avanti a casa nostra. Forse perché parlavo in un ottimo, forbito e dotto italiano invece che mugugnare in dialetto. Forse perché vestivo buoni abiti lavati e stirati invece delle giacchette e pantaloni gualciti, sdruciti e rappezzati dei bambini indigeni. O forse anche perché mia sorella ed io, studiando il pianoforte, riempivamo di nobili concenti la piazza antistante. Fatto sta che ogni volta che bussavo al loro uscio il loro sembiante si illuminava dell’ineffabile gaudio di una grazia ricevuta. Anch’io mi sentivo attratto da queste brave signore gentili e delicate, e condividevo volentieri i loro usi e costumi, partecipando a certe funzioni, recitando con loro il rosario, andandomi a sedere in chiesa accanto a loro, nel posticino che sempre, tacitamente, mi riservavano. Ma quello che, dopo numerosi decenni, ricordo con sempre maggior rimpianto sono le belle giornate di primavera ed estate, quando, ognuno di noi armato di un cestino di paglia o di vimini e di un coltellino, andavamo a fare l’insalata in aperta campagna! Traversavamo l’abitato diretti verso la parte bassa del paese, e le donne ci salutavano e qualcuna di esse parlava con le monache. I paesani erano assai rispettosi, e chi aveva il cappello se lo levava. Poi, ad un certo momento le case scomparivano e la strada si trasformava in un sentiero, appena accennato, che ci portava alla “marana”, un piccolo stagno circondato da giunchi e canne, cui non bisognava avvicinarsi troppo perché il terreno attorno era acquitrinoso e facilmente ci si affondava. Questo stagno era un punto di ritrovo per noi fanciulli, perché da qui si dipartivano numerosi avventurosi sentieri. Costeggiando lo stagno, quasi completando un cerchio, c’era il sentiero che conduceva al bosco dove raccoglievamo gli aculei degli istrici e cercavamo tra i rami le migliori forcelle per le fionde. Ad un certo punto il bosco sprofondava in una forra quasi inaccessibile, ma mio padre, andando a caccia, vi penetrò e si ritrovò in una radura, in cui si fermò ad ammirare un grosso ramarro lungo più di un metro: un lucertolone verde-azzurro. Io, per mio conto, qualche volta venivo allo stagno da solo, verso il tramonto, a studiare certi esserini stupendi: le libellule. Ma nelle escursioni con le monache non prendevamo il sentiero del bosco. Fermavamo a metà il nostro periplo dello stagno, e ci incamminavamo per un sentiero in salita che, oltrepassato un macchione, raggiunta la sommità dell’altura, ci spalancava la vista su certi pratoni illimitati, che costituivano la meta della nostra escursione. Lì posavamo gli impicci che ci eravamo portati appresso e cominciavamo la ricerca delle più tenere piantine. Io non tradivo le aspettative, e svolgevo il ruolo per il quale ero designato, quello del piccolo apprendista botanico che tutto vuole imparare, che tutto vuole sapere. E così, sotto stretta sorveglianza di quelle esperte cercatrici, anch’io potevo rincasare col mio cestino di raponzoli, cicoria, portulaca (detta porcacchia), mentuccia…Non avrei assolutamente il coraggio di andare a ritrovare quei luoghi: il paesino di Cesano si è notevolmente espanso, e quei prati di libertà hanno fatto posto agli edifici.
J. Ratzinger cardinale a 50 anni |
Dopo un periodo relativamente breve, mio padre fu trasferito a Maccarese: un’ampio territorio di bonifica, comprendente una trentina di centri agricoli autonomi e distinti, ed una sovranità che copriva anche la lussuosa e riservata località marina di Fregene, che allora era proprietà privata della Banca d'italia, e per accedervi bisognava pagare un pedaggio. Ma, al contrario di Cesano ove ero in stretto contatto con le monache ed assolutamente nulla ricordo del parroco, a Maccarese non ho rilevato l’esistenza di conventi di monache, ma divenni immediatamente il pupillo del parroco Don Pietro e del suo assistente Don Idelmo (che mi faceva studiare il latino). Sotto la guida di quei sant’uomini divenni l’astro nascente della Religione Cattolica, e vincevo a colpo sicuro tutte le gare di Dottrina Cristiana che venivano periodicamente indette in chiesa, accumulando così un vero e proprio tesoretto di catenine da rosario, medagliette e santini. Da non sottovalutare, perché a quei tempi tra noi ragazzini decenni non circolava danaro se non sotto forma di monetine da un soldo (pari a 5 centesimi di lira) o, al massimo, un nichelino da 20 centesimi. Tra noi gli scambi avvenivano a base di bottoni, figurine, liquerizia, temperini, zampette di lepre, zanne di cinghiale o artigli di falco, forcelle ed elastici per fionda, pietre focaie, calamite ed oggetini vari che entravano nelle nostre tasche. Per cui, disponendo come moneta di scambio di catenine, medagliette e santini, era come gestire una grossa Banca Centrale.
Heidi e la capretta |
Le gare di Religione consistevano nel rispondere a tamburo battente, senza indecisioni e senza imprecisioni, alle 433 domande contenute (con le relative risposte) nel volumetto di Catechismo della Dottrina Cristiana redatto dal cardinale Pietro Respighi e inizialmente pubblicato con l’approvazione e la lode del papa San Pio X, al secolo Giuseppe Sarto, nell’anno 1912. L’edizione miracolosamente ancora in mio possesso, dopo tanti traslochi e vagabondaggi, è quella del 1935, redatta dal cardinale Pietro Respighi, che si apre con la lettera di papa Giuseppe Sarto (San Pio X) che approva l’opera, se ne compiace e ne dispone l’adozione nella diocesi di Roma, augurandosi che essa potesse diffondersi nelle altre diocesi. Sembra un programma minimalistico, per un papa di universale autorità. Ma la lettera risale alla prima edizione di questo catechismo, ed è datata il 18 ottobre 1912, un periodo in cui la Chiesa è in pieno litigio con lo stato italiano, a seguito della presa di Roma del 1870, ed il papa si considerva un prigioniero nel ristretto territorio della Città del Vaticano, e non scendeva neanche a salutare i fedeli in piazza San Pietro. Questo litigio si concluse, con soddisfazione di entrambe le parti, il giorno 11 febbraio 1929, due mesi prima della mia nascita, e due anni dopo la nascita di Joseph Ratzinger, attuale pontefice Benedetto XVI. Quando Hitler salì al potere in Germania, alla fine di gennaio del 1933, fu lesto, a metà luglio dello stesso anno, a firmare un analogo Concordato con la chiesa, per cui possiamo dedurre che anche Joseph Ratzinger studiò i primi elementi di religione su un Catechismo analogo a quello ormai d’uso comune in Italia. Entrambi i Concordati, con l’Italia e la Germania, avvennero durante il papato di Achille Ratti (Pio XI), che regnò dal 1922 al 1939, e fu successore di papa Sarto e predecessore di papa Pacelli, Pio XII (1939 – 1958). Ebbene, con lo scarto di due soli anni di anzianità a favore di Joseph Ratzinger, ritengo che il papa ed io abbiamo ricevuto i primi rudimenti di Dottrina Cristiana sullo stesso, o analogo, volumetto promulgato da papa San Pio X che, accanto alle preghiere quotidiane, all’elenco delle virtù e dei peccati, presentava la dottrina sotto forma di un repertorio di proposizioni assiomatiche da imparare e recitare a memoria. Per noi bambini era un gioco…da bambini, in cui ci sfidavamo tra noi, e poi in chiesa nelle gare in cui mietevo tutti gli allori. Ecco la prima raffica che ci investiva:
1. Chi ci ha creato?
Ci ha creato Dio
2. Chi è Dio?
Dio è l’essere perfettissimo Creatore e Signore del cielo e della terra
3. Che significa perfettissimo?
Perfettissimo significa che in Dio è ogni perfezione, senza difetto e senza limiti, ossia
che Egli è potenza, sapienza e bontà infinita
4. Che significa Creatore?
Creatore significa che Dio dal nulla ha fatto tutte le cose.
5. Che significa Signore?
Signore significa che Dio è padrone di tutte le cose.
6. Dio ha corpo come noi?
Dio non ha corpo, ma è purissimo spirito.
7. Dov’è Dio?
Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo: Egli è l’Immenso.
8. Dio è sempre stato?
Dio è sempre stato e sempre sarà: Egli è l’Eterno.
9. Dio sa tutto?
Dio sa tutto: Egli è l’Omnisciente.
10.Dio può far tutto?
Dio può far tutto: Egli è l’Onnipotente.
……………………………………………………………etc
Ma a prescindere dall’epoca, dalla nazione e dal testo utilizzato, indubbiamente il catechismo godeva di una istintiva simpatia da parte dei giovani alunni. Non solo cristiani ma anche di altre religioni: la famiglia ebrea di Albert Einstein considerava i rituali religiosi come il residuo di una vecchia e inveterata superstizione (vedi “Albert Einstein 1a parte”, FM ottobre 2010). Quando Albert fu maturo per andare a scuola a sei anni (1885) non si preoccuparono minimamente di trovare una scuola ebraica, ma lo mandarono alla più vicina chiesa cattolica, la Peterschule. Era l’unico ebreo in una classe di settanta scolari, ed era così bravo in catechismo tanto da aiutare i suoi compagni.
Nicolò Copernico |
Quando compì nove anni fu iscritto ad una scuola secondaria di Monaco, il Luitpold Gymnasium, ritenuto una scuola illuministica, specializzata nell’insegnamento della matematiche e delle scienze, che disponeva di un insegnante di religione riservato a lui e ad altri bambini ebrei. Nonostante il secolarismo della sua famiglia, o forse a causa di questo, Albert sviluppò un improvviso entusiasmo per il giudaismo, al punto (come afferma sua sorella Maja) non solo di rispettare tutti i costumi, le usanze e le prescrizioni alimentari della religione, ma di comporre lui stesso inni religiosi a maggior gloria di Dio. Ma attorno all’età di 13 anni, dopo essere stato avviato alla lettura della Critica alla Ragion Pura di Kant, e di altri testi filosofici e scientifici, subì una improvvisa profonda trasformazione: il rigetto della religione con tutti i suoi ritualismi e le sue falsità. Come pure il rigetto del principio di autorità e di ogni tipo di autoritarismo, da quello scolastico a quello militaristico. Persa la “fede nella fede”, per tutto il resto della vita Einstein si astenne dal partecipare a qualsiasi cerimonia rituale, ma non abbandonò la visione di un’essenza divina che si manifestava nell’armonia del creato….
Il bimbo ed il delfino |
Nel 1939 io compivo 10 anni e fui iscritto al Regio Liceo Ginnasio Giulio Cesare a Roma, cosa che comportava il mio trasferimento nella casa romana di nonna Adele per tutto il periodo scolastico e conseguente distacco dalla corte di Don Pietro e Don Idelmo e conseguente addio ai miei catechistici trionfi. Allo studio del catechismo nonna Adele sostituì lo studio rigoroso del pianoforte, solfeggio compreso, per il quale, evidentemente, non avevo sufficiente vocazione. Col tempo, negli anni successivi, in vista anche dei gravosi impegni scolastici, ottenni di essere esentato da questo studio supplementare, anche se per il resto della mia vita ho rimpianto quell’occasione perduta. Nel 1943, a 14 anni, non ebbi quella crisi di rigetto improvvisa, netta e recisa come la ebbe Einstein a quell’età, ma certo la mia attività religiosa andava attenuandosi. In quello stesso anno Joseph Ratzinger, che studiava in seminario, compiva 16 anni e fu arruolato come ausiliario nella difesa antiaerea. Mi domando se il futuro Papa svolgesse solo compiti di protezione civile, oppure sia stato accanto a quei mirabolanti cannoni antiaerei Krupp 88 mm capaci di sparare 28 colpi al minuto in caricatori da 8. Roma era difesa da cannoni tedeschi di quel tipo, e durante le incursioni aeree questi colpi di cannone sembravano quelli di una mitragliatrice, tanto si susseguivano rapidamente, ed il cielo si costellava di nuvolette bianche a quota 2-3.000 m. Passata la guerra, la mia fede si attenuò in larga misura, e non mi ricordo perché. Ho tentato di ricostruire, anche chiedendolo a vecchi compagni di scuola, le motivazioni di questa mia deriva di così alta importanza verso il secolarismo, e la risposta più probabile è che l’uomo (ritenevo) dovesse essere un essere morale per sua natura, e non secondo le modalità dettate dalla Chiesa.
Giovanni Keplero |
In effetti, come Einstein, raggiunta la notorietà mondiale, accettò incarichi di così alta importanza da comportare automaticamento il riacquisto della cittadinanza tedesca, che aveva ripudiato da giovanetto, ed alla voce “Religione” non se la sentì di figurare come ateo, e riassunse la denominazione di “ebreo”, così io, che non combattevo la religione, ma solo rilevavo certe contraddizioni in essa contenute, ho passato il resto della mia vita come un semplice cristiano cattolico, come tutti gli altri. D’altra parte mi rendo pur conto che sono proprio le contraddizioni che, come l’acqua cheta, fanno crollare i ponti. E quale è l’essenza stessa della fede? Credere a cose incredibili, contrarie al senso comune, solo perché le aveva dette qualche entità molto in alto? Comunque, come sarà capitato a chissà quanti giovanetti, il primo urto frontale con la Chiesa l’ebbi al racconto di Galilei costretto ad abiurare perché sosteneva che la Terra si movesse intorno al Sole, mentre la chiesa sosteneva il contrario, e cioè che la Terra fosse al centro dell’universo, e che l’universo, a cominciare dal Sole, ruotava attorno ad essa.
1a e 2a legge di Keplero |
L’idea dell’eliostasi si fa risalire ad Aristarco da Samo, ma fu ripresa con rigore scientifico da Nicolò Copernico, nato nel 1473 e morto nel 1543. La vita di Copernico ha qualche cosa di incredibile: egli ricoprì un numero infinito di cariche onorifiche, diplomatiche, amministrative, ecclesiastiche, laiche, artistiche, scientifiche, scolastiche, giuridiche….talché per lui, il re degli astronomi, lo studio dell’astronomia non poté che costituire un saltuario passatempo! Ma la chiesa minacciosamente vigilava sulla sua opera di astronomo eretico. Copernico sentì il peso di questa minaccia, e cercò di rimanere in ombra. Come vuole la tradizione, la pubblicazione della sua opera fondamentale. “De revolutionibus orbium coelestium” fu rimandata di volta in volta, finché Copernico ebbe tra le mani la prima copia del suo libro proprio nel suo ultimo giorno di vita: lo carezzò, cercò di sfogliarlo, rasserenato sorrise e morì. Il titolo della sua opera significa, in italiano e nelle altre lingue di tutto il mondo: “Sulle orbite dei corpi celesti”, ma ancor oggi, o forse oggi più che mai, l’oratore, lo scrittore, il giornalista di cultura incompleta, per sottolineare l’eccezionalità di un evento, di una scoperta o di un provvedimento governativo, lo annunciano come una vera e propria rivoluzione copernicana, quando in Copernico la rivoluzione è il completamento della curva chiusa che il corpo celeste compie attorno al Sole. Dopo Copernico il maggior contributore non solo all’idea eliocentrica, ma allo sviluppo di tutta la moderna meccanica celeste fu Giovanni Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630) che determinò con esattezza le leggi del moto dei pianeti attorno al Sole: essi descrivono una ellisse di cui il Sole occupa uno dei fuochi (1a legge), ed il raggio vettore che unisce il pianeta al Sole spazza in tempi uguali aree uguali (2a legge). La 3a legge è un po’ più complessa e la sua dimostrazione non balza evidente da una semplice illustrazione, quindi la menziono solo per completezza: i quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori della loro orbita. Dall’illustrazione si vede invece, molto chiaramente, che l’orbita di un pianeta (Terra) è un’ellisse, e che, affinché l’area spazzata dal raggio vettore rimanga uguale in tempi uguali, avvicinandosi al perielio (distanza minima dal Sole), poiché s’accorcia il raggio vettore, s’allunga l’arco di traiettoria. Al contrario, verso l’afelio (distanza massima dal Sole, cioè in prossimità del secondo fuoco, quello vuoto) il raggio vettore s’è allungato e l’arco di traiettoria percorso s’è accorciato, e ciò significa che la velocità di un pianeta attorno al Sole non è costante, ed è massima al perielio (quando l’arco percorso è massimo), ed è minima all’afelio (per la ragione inversa).
Tycho Brahe |
Nella formulazione di queste leggi Keplero si avvalse dei dati e delle tabelle di Tycho Brahe (1546-1601), di incredibile precisione, considerando che non si era avvalso del telescopio, successivamente inventato da Galileo. Tycho Brahe non si convertì alla teoria eliocentrica di Copernico, ma rese compatibili le traiettorie osservate con le tabelle tolemaiche introducendo artifici geometrici come gli eccentrici e gli epicicli. Keplero ebbe la sorella di sua madre arsa viva sotto l’accusa di stregoneria, mentre sua madre fu imprigionata e torturata per un anno ed infine liberata, perché neanche sotto la tortura rivelò una reale attinenza con la pratica della magia nera. Keplero, che nella storia della fisica si trova a mezza strada tra Galileo e Newton, a sua volta, nella storia del suo sviluppo personale, si trova stretto (e sostenuto) da Tycho Brahe e dallo stesso Galilei. A quest’ultimo doveva la visione panoramica delle stelle e dei pianeti remoti, lo sguardo nelle profondità dell’universo, ottenuto mediante l’invenzione del telescopio. In definitiva fu Galilelo (1564-1642) il bardo della scienza moderna fondata sul principio induttivo e sulla prova sperimentale. Diciotto secoli prima, il siracusano Archimede aveva gridato: “Datemi un punto d’appoggio e solleverò la Terra!”, e dopo un silenzio di quasi due millenni la voce del pisano diede risposta a questa istanza, con l’enunciato del principio d’inerzia (prima legge della dinamica): “Un punto materiale non soggetto a forze permane nel suo stato di moto”. Cioè, se al momento dell’osservazione è fermo, seguita a rimanere fermo. Ma se in quell’istante si muove con una certa velocità, seguita a muoversi mantenendo immutata quella velocità. Si muoverà quindi di moto rettilineo uniforme, cioè senza variare il valore della velocità e senza cambiare direzione. Quando sono entrato all’Università, il nostro testo di Fisica Sperimentale offriva l’illustrazione di un’esperienza didattica atta a dimostrare la validità del principio d’inerzia: si dispone di un piano levigato, e di certi dischetti metallici; all’atto dell’esperienza vengono estratti da un apposito frigorifero altrettanti dischetti di “ghiaccio secco”, cioè di dischetti di anidride carbonica congelata, detta ghiaccio secco perché, a contatto con l’aria a temperatura ambiente, l’anidride carbonica sublima immediatamente, cioè passa dallo stato solido direttamente allo stato gassoso senza passare attraverso lo stato liquido. Ed allora i dischetti metallici posti su questi dischetti di ghiaccio secco, si troveranno sospesi su cuscinetti d’aria, eliminando in preponderante misura il loro attrito col piano levigato. Misurando i tempi di percorrenza di spazi eguali, si trova che questi tempi rimangono eguali entro i consueti limiti d’errore sperimentali. Ai suoi tempi, Galileo non disponeva di queste commodità sperimentali, e quindi dovette immaginare l’esistenza di una condizione in cui un corpo approssimasse la condizione ideale di assenza assoluta di ogni forza perturbatrice. E trovò questa condizione ideale nel moto delle comete naviganti nelle profondità sideree, ben lontane da ogni altro corpo celeste che ne influenzasse il moto. Il passo successivo fu un balzo mentale induttivo avente la forza di un’evidenza sperimentale assoluta: se la cometa stesse a distanza infinita da ogni altro corpo celeste, il suo moto sarebbe rettilineo uniforme, e non riapparirebbe più all’occhio dell’astronomo né dopo anni, né dopo decenni, secoli e millenni, e procederebbe nel suo stato di moto iniziale per tutta l’eternità. L’intervento del principio d’induzione, accanto alla verifica sperimentale, nella formulazione di ogni legge fisica, ridava voce alla scienza dopo il mutismo dogmatico e deduttivo aristotelico in cui si era racchiusa la chiesa. Il Santo Uffizio ed il cardinale (poi Santo) Roberto Bellarmino determinarono che la Bibbia era stata scritta sotto diretta dettatura dello Spirito Santo, e quindi ogni frase, ogni parola, ogni episodio scritto e descritto nella Bibbia costituiva una verità assoluta, ed ogni contestazione di ognuna di queste verità costituiva eresia. La mente impetuosa di Galileo, lanciata ormai senza freno alla descrizione scientifica della natura in base alla ricerca ed alla sperimentazione e non all’interpretazione di antichi testi dogmatici, lo portò ad aderire alla concezione eliocentrica di Copernico.
Giosué chiede a Dio di fermare il Sole |
E poiché la Bibbia contiene numerosi passi in cui è conclamata la posizione centrale fissa ed immutabile del nostro pianeta rispetto all’universo rotante attorno ad essa, fu prima sospettato, poi accusato e ritenuto colpevole di eresia. L’episodio biblico scatenante che veniva narrato a noi giovinetti era l’invocazione di Giosuè e l’aiuto del Signore ad Israele nella battaglia di Gàbaon (Gs10.10…):
Il Signore mise lo scompiglio in mezzo a loro dinnanzi ad Israele, che inflisse loro in Gàbaon una grande disfatta, li inseguì verso la salita di Bet-Coron e li batté fino ad Azeka e fino a Makkeda. Mentre essi fuggivano dinnanzi ad Israele ed erano alla discesa di Bet-Coron, il Signore lanciò dal cielo contro di essi come grosse pietre fino ad Azeka e molti morirono. Coloro che morirono per le pietre della grandine furono più di quanti ne uccidessero gli Israeliti con la spada. Allora, quando il Signore mise gli Amorrei nelle mani di Israele, Giosuè disse al signore sotto gli occhi di Israele:
“Sole, fermati in Gàbaon
e tu, luna, sulla valle di Aialon”
Si fermò il sole
E la luna rimase immobile
Finché il popolo non si vendicò dei nemici.
Non è forse scritto nel libro del Giusto: “Stette il sole fermo in mezzo al cielo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero…"
La struttura dell’Universo vedeva, dunque, secondo la visione della chiesa, la Terra al suo centro e poi, intorno ad essa, varie sfere di cristallo (i cieli), contenenti il Sole, la Luna, i pianeti, le stelle fisse. Queste sfere ruotavano l’una sull’altra, sospinte da schiere di angeli. Nessun astronomo, neanche quelli arabi che osservavano il cielo da millenni, avevano mai potutto osservare queste sfere di cristallo, e tantomeno le schiere di angeli che ne assicuravano il moto. Non furono viste neanche col telescopio di Galileo. Chi non fosse dotato di fede cieca ed assoluta difficilmente avrebbe potuto immaginare la funzionalità di questa composita struttura, ma ben la conoscevano i membri del collegio chiamati a giudicare Galileo Galilei accusato di eresia. Invano costui illustrò il suo modello astronomico aggiornato di tutte le più moderne osservazioni scientifiche. Gli fu fatto osservare che il suo era, è vero, proprio un bel modello, che poteva anche rappresentare una transitoria possibilità. Transitoria possibilità, non una legge di natura! Perché Dio, essendo omnipotente, non può soggiacere ad alcuna legge, ed in ogni istante può invertire moti, distanze e rapporti di ogni corpo celeste.
Renato Cartesio |
Basta inviare un messaggio alle schiere degli angeli che sospingono il cosmo! In nome dell’omnipotenza di Dio si poteva risolvere, senza calcoli e senza misure, ogni sorta di problemi concernenti la natura delle cose. La natura è fatta di particelle indivisibili (atomi) o è un continuum? Cartesio diede questa dimostrazione: se prendiamo una porzione di materia, cioè di res extensa (materia inerte, priva di vitalità), e la frazioniamo, ogni frammento sarà ancora res extensa, e quindi ulteriormante frazionabile, e nuovamente ogni frammento avrà la natura di res extensa. Si dà luogo quindi ad un processo iterativo fino al punto in cui l’uomo non sarà più in grado di macinare la materia in una polvere più fina. Ma tale processo non altera la prerogativa di omnipotenza di Dio, il quale potrà, quindi, seguitare a frazionare la materia fino a renderla fina quanto egli vuole, fino a ridurre la materia ad un continuum privo di particelle inscindibili. E se non sbaglio Cartesio è anche il creatore del dualismo, la divisione dell’essere umano in un corpo materiale fatto di res extensa, e di un’anima (immortale) costituente la res cogitans, la parte spirituale dell’uomo, che dovrà sottoporsi al giudizio divino dopo la morte. Da cui la consuetudine dei tribunali inquisitori, quella di bruciare il corpo per salvare l’anima. Anche se riuscì a salvare la vita, Galileo uscì completamente distrutto dai due processi intentatigli dall’Inquisizione, affranto, indignato e disperato per essere stato oggetto non di una disputa scientifica ma di un indiscriminato assalto alla libertà di pensiero. Finì la sua vita in domicilio coatto, e non finì sul rogo perché fu giudicato inopportuno infierire su un personaggio universalmente amato e famoso. Così, penso, molti ragazzi come me, legati con innocente ed ingenuo legame alla chiesa, ruppero questo legame e cominciarono a diventare critici sulla condotta storica della chiesa e sul contenuto di quelle che cominciammo a chiamare le “cosiddette” Sacre Scritture, che la chiesa caparbiamente anteponeva ad ogni trattato scientifico. Per noi ragazze e ragazzi cattolici la Bibbia non è mai stata un libro di testo, ma durante le ore di religione e, principalmente, dal pulpito della messa domenicale, le lugubri maledizioni dell’antico Testamento giungevano alle nostre orecchie, scendevano nel nostro animo e creavano una ferita insanabile nella nostra fede in un amore, in una docezza, in una clemenza universale. Alla donna disse:
“Moltiplicherò
i tuoi dolori e le tue gravidanze,
con dolore partorirai figli.
Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ma egli ti dominerà”.
All’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare,
maledetto sia il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo
Per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te
E mangerai l’erba campestre.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;
finché tornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto:
polevere tu sei e in polvere tornerai!”.
Al contrario, nell’11mo capoverso del Catechismo di papa Sarto, leggiamo:
11. Dio può fare anche il male?
Dio non può fare il male, perché non può volerlo, essendo bontà infinita, ma lo tollera, per lasciar
libere le creature, sapendo poi ricavare il bene anche dal male.
Gallileo si difende di fronte all'Inquisizione |
C’è indubbiamente una differenza d’intonazione tra il Catechismo e la Bibbia a proposito della tolleranza o dell’intolleranza di Dio nei confronti del male, ma al tempo delle nostre gare in parrocchia nessuno di noi se ne rendeva conto. Oggi, in cui m’illudo di aver raggiunto l’età della ragione, mi sembra che tra Catechismo e Bibbia ci sia un contrasto insanabile. Ho letto diverse tesi sull’origine della Bibbia, e sembra che la sua redazione abbia coperto un periodo che va da un millennio e mezzo prima di Cristo, ad un secolo dopo, comprendendo anche un periodo di tradizione orale. Si afferma che i suoi autori furono 40 o 45, che fu scritta in tre lingue (ebraico, aramaico e greco) in tre continenti (Asia, Africa ed Europa) Una notizia di forte probabilità storica è che Tolomeo terzo abbia ordinato alla Biblioteca di Alessandria, nel terzo secolo avanti Cristo, di effettuarne una traduzione in lingua greca. Cosa che fu eseguita da settanta traduttori in settanta giorni, dando luogo alla “Septuaginta”, ovvero “La 70”. Gli esperti mettono in evidenza la mirabile coerenza delle varie narrazioni, dovute ai vari autori, che si connettono l’un l’altra con perfetta corrispondenza ed attinenza. La Bibbia che sto consultando per scrivere questo articolo, e cioè l’ottava edizione (1988) della “Bibbia di Gerusalemme” pubblicata in lingua italiana dalle Edizioni Dehoniane di Bologna, sin dall’esordio attrbuisce a “fonte sacerdotale” il racconto della “Genesi”, con tutti i suoi significati simbolici, ma la prima cosa che avevo capito sin da piccolo è che ognuno dei sette giorni della creazione rappresentava, in realtà, un’intera epoca. Il Catechismo e la Bibbia sono concordi nell’affermare che Dio creò l’uomo (e tutte le cose) dal nulla, e proprio nel momento in cui sto scrivendo questo articolo giunge la notizia che i laboratori del CERN a Ginevra credono di aver scoperto il “bosone di Higgs”, la particella che creerebbe la massa “dal nulla”. Vedremo se la notizia verrà confermata, confermando altresì una facoltà del Creatore di questo mondo. Ma le discrepanze non tardano ad avvenire: il Catechismo afferma che Dio non ha corpo, ma che è purissimo spirito, mentre la Bibbia afferma che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, e nei versetti successivi sembra che avvenga il contrario, e cioè che Dio si comporti esattamente come l’uomo, in particolare nel preferire la carne della cacciagione e d’allevamento offertagli da Abele, e disprezzando i prodotti vegetali offertigli da Caino. Purtuttavia la primissima citazione della Bibbia sull’alimentazione dell’uomo e di tutti gli animali, nei versetti 1.29-31, è la seguente:
Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra ed ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.
L’esegesi afferma che la Bibbia, quanto meno, sia stata ispirata da Dio, se non scritta espressamente di suo pugno. Io seguo comunque il principio che “ogni cosa detta è stata detta da qualcuno, ed ogni cosa scritta è stata scritta da qualcuno”. E se la Bibbia nelle mie mani è d’origine sacerdotale, qualche sacerdote, in qualche epoca, avrà detto e scritto tali versetti. Il commento della mia Bibbia a tali versetti è il seguente: Immagine in una età dell’oro in cui uomini ed animali vivono in pace nutrendosi di piante. Ma questi versetti sono posti proprio all’inizio del racconto biblico.
Il bimbo ed il porchetto |
Le altre 2.700 pagine della Bibbia, quindi, in pratica, la sua totalità, non sono altro che il racconto della degenerazione dell’uomo il quale, in seguito, non è stato più capace di recuperare l’affetto e la protezione della divinità, anche se questa ha lasciato aperta la via della redenzione. Questo distacco dell’uomo dalla divinità è lamentato in molte religioni e molte leggende, e dà l’idea che nella storia dell’evoluzione umana ci sia stato un evento determinante che, inavvertito nel lento procedere dei tempi, ha assunto dimensioni tali da non poter essere ricacciato e minaccia l’ulteriore esistenza dell’umanità. In miei precedenti articoli sull’alimentazione ho fatto presente che l’uomo non ha, né ha mai posseduto, zanne ed artigli che gli potessero consentire una vita da animale carnivoro. Che con la scoperta del fuoco ha potuto cuocere e rendere commestibili tanti vegetali, come cereali e fagioli, che gli consentivano di abbandonare gli alberi su cui si rifugiava e liberamente scorrazzare per tutto il pianeta, senza rimanere legato ad un particolare habitat. Col fuoco ha potuto anche ingerire la carne degli animali che allevava o cacciava, e con ciò ha creduto di essere diventato anche carnivoro, e quindi, in totale, omnivoro. Ma gli scienziati hanno posto in evidenza che l’apparato digerente dell’uomo è lungo 12 volte il proprio tronco, mentre lo stesso rapporto, in un animale carnivoro, è di solo 3 volte. Quindi l’apparato dell’uomo è 4 volte più lungo di quello di un carnivoro, e gli scienziati, e prima di tutto il premio Nobel Metchnikoff, hanno messo in guardia contro il danno provocato dalla putrefazione della carne durante la digestione umana. Nel corso della mia vita il vertiginoso aumento del consumo di carne, latte e latticini ha portato mali, nella mia infanzia quasi sconosciuti, come l’osteoporosi, il diabete e il cancro, ad assumere proporzioni che minacciano la continuità non solo del genere umano, ma dell’intero pianeta, inquinato non solo dai fumi industriali, ma dai residui e dalle emanazioni degli allevamenti intensivi del bestiame (vedi il libro di Jeremy Rifkin: “Beyond beef: rise and fall of the cattle culture”, “Ecocidio” in italiano e “Das Imperium der Rinder” in tedesco). L’ Homo Sapiens è diventato Homo Inferior quia Necrofagus dal momento che è diventato necrofago, e cioè divoratore di cadaveri putrescenti ed è diventato incapace di volere il bene e rifuggire dal male, perché la sua mente è ottenebrata, ed è assillato dalle esigenze e dalle costrizioni della civiltà moderna, che lo tiene prigioniero in cambio di vantaggi illusori (aumento della durata media della vita). Sant’Agostino (354-430) durante il corso della sua vita divenne dapprima adepto della religione manichea, e poi la confutò per questioni di principio. Ma sapete qual era il decalogo manicheo? Il seguente:
Non
1. adorare gli idoli
2. seguire falsi profeti
3. eseguire pratiche magiche
4. essere irriverenti verso gli Eletti
5. bestemmiare o mentire
6. macellare animali e bere bevande fermentate
7. spaventare, ferire e uccidere uomini e animali
8. sposare più di un coniuge e commettere adulterio
9. omettere di soccorrere bisognosi ed afflitti
10. rubare e ingannare
Sant'Agostino |
C’è da domandarsi se l’adozione di questo decalogo, a prescindere dal grosso di quella religione, avrebbe potuto cambiare l’andamento evolutivo della specie umana. È comunque da notare che al comandamento n.6, che vieta di mangiare carne ed alcool, si accompagna il comandamento n.7, dal contenuto altamente umanitario, di non spaventare, ferire ed uccidere uomini e animali. È assolutammente vano cercare una risposta a questo quesito, ma questi due comandamenti oggi vieterebbero non solo di mangiare la carne, ma anche di maltrattare gli animali ed utilizzarli per esperimenti di vivisezione. È del pari vano sperare in una riesumazione di questi due comandamenti, e di una loro riedizioni in chiave civile e religiosa? A questo punto invoco un disperato appello alle autorità politiche, ma soprattutto a Joseph Ratzinger, che da questo momento in poi chiamerò Sua Santità Benedetto XVI. Per mia esperienza personale affermo che i bambini sentono istintivo affetto e rispetto per la chiesa e i sacerdoti. Il mio cordiale, affettuoso rapporto con le monache di Cesano e con il parroco don Pietro ed il suo vice don Idelmo di Maccarese costituiscono parti integranti del ricordo della mia gioventù. Ma c’è un affetto cosmico e travolgente che va valutato come la prova provata definitiva della natura non carnivora della specie umana, ed è l’amore, l’irresistibile attrazione dei bambini verso gli animali d’ogni genere, anche quelli che maggiormente si distaccano dall’archetipo di peluche. Evidentemente l’assassinio degli animali da parte dell’uomo non è frutto di un patrimonio ereditario, l’istinto dei bambini esclude questa ipotesi. Esso è frutto di caratteri acquisiti attraverso un’errata educazione. Sono pronto a giurare su questa ipotesi. Un paio di settimane fa in tutto il mondo è stata propalata la notizia di una strage di cani in Ucraina. Sotto questo titolo (“Strage di cani in Ucraina”) su internet è possibile osservare documentari in cui i cadaveri di queste povere bestioline, abbandonati sui marciapiedi e sui vialetti dei giardini, venivano vegliati dai bambini, che si chinavano per carezzarli, sperando con ciò di riportarli in vita. Forte delle seguenti prove: mancanza di zanne ed artigli, lunghezza dell’intestino che determina la putrefazione della carne durante la digestione, ma soprattutto l’amore istintivo dei bambini verso gli animali, propongo a tutti di aggiungere alla propria religione l’undicesimo comandamento, l’unico della dottrina neoterica (innovativa):
L’uomo è il fratello maggiore degli animali: li ama, li rispetta e li protegge.
Heidi ed il suo cane (Tutte le foto Bing Google di dominio pubblico. Click per ingrandire) |