giovedì 29 dicembre 2011

Storia di Omega (Parte 1a)

Di Marino Mariani

Nell’anno 2004 scrissi per la rivista Chrono World la “Storia di Omega” in quattro puntate. Ero soddisfatto del mio lavoro, ero sicuro di aver comunicato al lettore notizie più numerose e, soprattutto, più approfondite di quanto normalmente ci si aspetti da un periodico specializzato. Rileggendo quell’articolo sono rimasto stupefatto dalla mia maniacale insistenza con cui ho riportato, una per una. tutte le parole di prefazione e di esortazione pronunciate dal condottiero Nicolas Hayek, senza giornalisticamente sunteggiarle. Rilette ora, dopo che ci ha lasciati, risuonano non solo come il verbo di un inarrivabile maestro di strategia aziendale e finanziaria, ma soprattutto come la voce di un vecchio genitore che, prima di lasciarci, vorrebbe vedere la propria figliola redenta da un’ingiusta collocazione sociale, e con voce rotta dal pianto annuncia che ora la fanciulla è “rifiorita come raggiante principessa, come avvenente regina, ed infine come maestosa imperatrice che spande attorno a sé un’aura di commozione e di buoni intendimenti”. Sono lieto di poter diffondere in tutto il mondo queste commoventi parole, istituzionalmente riservate all’élite delle riviste specializzate.

Nicolas George Hayek, 19 febbraio 1928 - 28 giugno 2010

L’ultima casa di cui abbiamo pubblicato la storia è la Maison Tissot, un marchio molto diffuso ed assai rispettato in tutto il mondo. Lo stesso, anzi probabilmente ancora di più, vale per Omega, un marchio comunque storicamente unito a Tissot da vincoli di consanguineità: entrambi, attualmente, fanno parte di “The Swatch Group Ltd.”, il funambolico gruppo fondato da Nicolas G. Hayek, così battezzato (Suisse + Watch = Swatch) dopo aver portato, fino all’estate del 1998, la sigla di “SMH” (Société Suisse de Microélectronique et d’Horlogerie). Ma anche la SMH ha una sua data di nascita, quella del 1985, e la nostra fonte d’informazioni così la registra “(1985) ASUAG-SSIH: le banche si ritirano dal loro ruolo primario per far posto all’ispiratore della fusione, Nicolas Hayek che, persuaso del potenziale di sviluppo del nuovo conglomerato, il 17 giugno lo ribattezza col nome di SMH, si assume il rischio e l’onere degli investimenti, ed in definitiva converte il suo ruolo di consigliere d’impresa in quello di capitano d’industria. Nel contempo viene presa la decisione di trasferire all’ETA le residue attività tecniche (assemblaggio e rifinitura) di Tissot ed Omega, mentre la SSIH Equipment viene ribattezzata Omega Electronics e viene cancellata la Tissot Synthetic”. Come nel ballo la figura della dama si alterna a quella del cavaliere ogni volta che la coppia si gira, così i nomi di Tissot ed Omega appaiono come la bianca e la volta di un unico foglio. Ma non distraiamoci: per completare la genealogia di questo filone principale dell’orologeria elvetica dei tempi moderni, andiamo a rilevare il rispettivo atto di nascita di tre storiche entità: ASUAG, SSIH, ETA (i lettori più attenti ricorderanno le prime due sigle, più volte menzionate nel corso della nostra vita precedente).

Alla ricerca delle origini
Per risalire alle fonti di ASUAG (Algemeine Schweizerische Uhrenindustrie Aktien-Gesellschaft, SPA generale per l’industria orologiera svizzera), dobbiamo rifarci all’anno 1895, in cui viene fondata, a Ginevra, la “SR”, ovvero la Société des Fabriques de Spiraux Réunies. Passata nel 1931 sotto il controllo dell’ASUAG, la SR prende il nome di “Nivarox”, La Chaux-de-Fonds, nell’anno 1977. Prima di vedere gli sviluppi di SR e Nivarox, ricordiamo che nello stesso anno 1895 l’italiano Guglielmo Marconi inventa la radio, i francesi Auguste e Louis Lumiere inventano il cinema, ed il tedesco Conrad W. Röntgen scopre i raggi X. Bella annata! Ma prima che ci sfugga, vediamo che cosa succede alla Nivarox: “Applicando le strategie elaborate nel corso del biennio precedente dalla Hayek Engineering, le banche sanciscono la fusione delle due grandi del settore dando luogo al supergruppo ASUAG-SSIH-Société Suisse pour l’Industrie Horlogere (8 dicembre), e l’integrazione di tutte le attività di ricerca, di sviluppo e produzione sotto lo stesso tetto, quello dell’ETA di Granges. Il nuovo gigante diventa il numero 3 mondiale, dopo Citizen e Seiko. Viene fondata la Nivarox-FAR a Le Locle per raggruppamento della fabbrica di spirali Nivarox etc.


Fabrique d'ebauches nel Giura

Quanto al’ETA, nel 1856 si registrava la fondazione di una fabrique d’ébauches (casse semilavorate, chiamate anche abbozzi, sbozzi o bozzelli) a Granges, ad opera del dottor Joseph Girard e dell’istitutore Urs Schild, che darà luogo al marchio Eterna nel 1876, e diverrà ETA nel 1932. Come si vede da questo rapido excursus, l’attuale gruppo Swatch, voluto e guidato da Nicolas Hayek, raggruppa non solo nobilissimi nomi dell’orologeria elvetica (che non si limitano al binomio Omega-Tissot) e mondiale (ne fa parte, per esempio, anche l’americana Hamilton) ma si configura addirittura come una società di società, un’associazione di associazioni. Una costruzione composita industriale, tecnica, commerciale e finanziaria che un redattore più brillante di me non esiterebbe a chiamarla “una vera e propria galassia orologiaria mondiale”. Se da solo il gruppo Swatch si pone al terzo posto della classifica internazionale, insieme alle altre maison svizzere conquista il primo posto assoluto per fatturato, lasciando agli altri il primato dei pezzi venduti. Questo significa che il cittadino del mondo paga volentieri di più un orologio svizzero. Rifacendoci ad articoli precedentemente pubblicati, mettiamo in evidenza che l’orologeria elvetica che vanta il primato mondiale, è quella nata nel Giura neocastellano (Jura Neuchâteloise) cioè negli impenetrabili anfratti montuosi prossimi alla città di Neuchâtel attorno all’anno 1850. Mentre l’orologeria nata un secolo prima a Ginevra, quella di Breguet e di Maria Antonietta, è maggiormente vanto dell’orologeria francese.

Nicolas Hayek 
Come il centocinquantesimo anniversario di Tissot (1853-2003) è stato celebrato dalla penna di Estelle Fallet, così l’analogo anniversario di Omega, addirittura antecedente (1848-1998) trova la sua degna consacrazione nel libro “Omega Saga” di Marco Richon, curatore della “Fundation Adrien Brandt en favour du patrimoine Omega”. Si tratta di una pubblicazione ciclopica di quasi 500 pagine, che in forma sinottica riporta non solo la storia di Omega, ma di tutta l’orologeria mondiale dalla preistoria ai nostri giorni. Come Catullo dedicò il suo libro di poesie allo storico Cornelio Nepote, salutandolo così. “Tu che da solo, per Giove, in Italia, la storia universale osasti porre in libri tre, sapienti e ponderosi”, del pari si potrebbe salutare l’opera di Richon: questo libro, da solo, e più di ogni altro, dà precise informazioni ed un inestimabile inquadramento a livello di decorso universale degli eventi concomitanti. Importantissima è la prefazione di Nicolas Hayek che qui riportiamo: “La presente opera, “Omega Saga”, costituisce un saggio, secondo me ben riuscito, da parte della fondazione Adrien Brandt e del suo curatore Marco Richon, volto a raccontare alle generazioni attuali e future l’epopea di una delle marche svizzere più prestigiose, nel momento in cui festeggia i suoi 150 anni di storia. L’orologio è il prodotto emotivo per eccellenza.

Il libro "Omega Saga" di Marco Richon

Chi porta un orologio, lo porta sulla sua pelle per tutto il giorno (a volte anche la notte) e lo considera l’espressiione della sua personalità. Si ama l’orologio non solo perché è utile e perché è bello, ma anche perché trasmette un messaggio dinamico intorno a sé. Un orologio Omega generato da un’antica compagnia, possiede una cultura propria che entusiasma il personale che l’ha fabbricato e l’acquirente che l’indossa. Io ho il privilegio di occuparmi di Omega e di esserne il responsabile da due decenni. Veglio da vicino sulla sua sorte e sul suo sviluppo, come pure sul gruppo cui appartiene, entro il quale costituisce uno dei battelli-faro che fanno da guida. Ma da ben altro tempo Omega è entrato nella mia vita: mio padre, che aveva un orologio Omega da taschino, alla mia sortita dall’infanzia mi regalò un orologio da polso Omega, ed ero appena adolescente! Ma è stato quando sono entrato nel santuario della marca, in via Stämpfli, all’inizio degli anni 80 per prenderne in mano i destini, che ne sono rimmasto letteralmente stregato! A quel tempo Omega aveva perso tutta la gloria del suo passato. Non godeva più della fiducia della gente, e neanche la fiducia in se stessa. Dai suoi concorrenti più feroci ed accaniti, gli orologiai giapponesi, veniva considerata come una marca di seconda classe, priva d’impuso in tutte le funzioni primordiali di una moderna impresa: lo sviluppo del prodotto, la qualità, la comunicazione, la finanza. A seguito delle nostre ricerche è risultato che una parte della popolazione svizzera, delusa da Omega, aveva cominciato a prenderla in antipatia. Omega era scesa ad un livello talmente basso che molti tra i suoi antichi difensori – banchieri, industriali, alti funzionari – erano convinti che era meglio liquidare tutto e cessare la produzioni di orologi in Svizzera, visto che i giapponesi erano più produttivi, meno cari, migliori tecnici etc. Inoltre, uno dei giganti dell’orologeria giapponese, aveva offerto di acquistare la marca per 400 milioni di franchi, impegnandosi a versare royalties in franchi svizzeri per ogni orologio venduto sotto questo nome. Offerta evidentemente rifiutata! Per la semplice ed ottima ragione che, durante la riorganizzazione del conglomerato ASUAG-SSIH, preparata sotto la mia direzione dalla Hayek Engineering, Omega era destinata a divenire capofila delle marche di gamma superiore della futura SMH (ndr: questo scritto precede di pochi mesi la legale costituzione della SMH). Ed inoltre, perché io non vendo nessuna delle marche SMH allo straniero! Tanto per cominciare, è stato necessario impedire che Omega fosse scelta come cavallo di battaglia della gamma media elvetica per contrastare le marche giapponesi, che dominano questa categoria in tutti i mercati mondiali. Per questo ruolo ho scelto Tissot, una marca media tra quelle SMH, conosciuta in molti paesi del mondo, senza poter però, neanche minimamente rivaleggiare per prestigio internazionale con Omega, ed io sapevo che SMH aveva bisogno di una Omega piazzata sulla sommità della gamma: è con Swatch in basso e con Omega in alto che si può vincere la guerra! Diversi tra i membri della direzione generale di ASUAG-SSIH volevano collocare Omega piuttosto a mezza altezza, per lottare contro gli asiatici, ed allora si sarebbe dovuto sudare sangue per evitare una decadenza che, ne sono sicuro. Avrebbe potuto rivelarsi mortale per noi tutti”.

Alta strategia
“Tuttavia, era innanzitutto necessario imporre il lancio di Swatch come prodotto terminale del gruppo ASUAG-SSHI, e ciò al fine di assicurarci la base, cioè la gamma bassa, il che, a sua volta, comporta quattro grandi postulati strategici:
1. La massa attira la massa. Ciascuno dei portatori di Swatch lo sottopone, più o meno intenzionaalmente, all’attenzione di parecchie migliaia di persone ogni anno. È inevitabile che una o due di queste si decidano anch’esse a comprare un orologio uguale. 2. I giovani all’inizio della loro vita professionale desiderano un orologio di assoluta fiducia al prezzo più basso possibile, e s’abituano ad apprezzare i nostri prodotti, se sono di buona qualità. Quando diventano più grandi e guadagnano di più, si orientano verso orologi più costosi, rimanendo però fedeli alla marca che non li ha mai traditi. 3. Maggiore è il volume degli orologi prodotti, più possiamo permetterci il lusso dell’automazione e dell’introduzione di strumenti sempre più sofisticati, che migliorano la qualità del prodotto e ne abbassano il costo. 4. Se si occupa il fondo della gamma con un prodotto forte e prestigiioso, si obbliga la concorrenza a salire più in alto.

La lezione di Hayek

Queste tesi, universalmente accettate da tutte le facoltà d’Economia e di “Busines Administration” nelle Università di tutto il mondo, a quei tempi venivano messe in dubbio e combattute dai cosiddetti "opinion leaders”. Convinti che solo la sommità della gamma potesse avere un avvenire in Europa. Una volta vinta la battaglia di Swatch, la battaglia di Omega “sulla vetta della gamma” è durata praticamente fino al 1985/86, vale a dire fino a quando, assieme ad alcuni amici, non ho acquisito la maggioranza del gruppo e non ho imposto definitivamente la collocazione di Omega così com’è attualmente fissata. Come capo non solo del gruppo, ma anche di Omega, ho dovuto trovare un’équipe di collaboratori in armonia con la mia stessa cultura e col mio credo, al fine di ottenere l’accettazione delle strategie previste e dei loro modi di attuazione, la revisione ed il ringiovanimento dei prodotti. L’eliminazione dei prodotti inutili - come il “placcato in oro” e certi modelli non più rispondenti al rinnovato spirito di Omega. Ed inoltre l’introduzione di nuovi modelli, il miglioramento della qualità, il controllo dei costi, la comunicazione emotiva ed onesta con i diversi miliardi di esseri umani sparsi nel globo, la creazione di un moderno sistema di distribuzione ed assistenza post-vendita. Tutti obiettivi di impossibile realizzazione in un ambiente di incertezza e di disfattismo generale. Obiettivi che siamo fieri d’aver già raggiunti con successo, grazie ad Hand Kurt, Jean-Claude Biver, Bruno Jacober, Aldo Magada, Michele Sofisti, Rainer Paul, Peter Stierli, Pierre-André Affolter ed altri ancora, che hanno affrontato la battaglia in modo esemplare! A partire da questo momento, possiamo agevolente occuparci del miglioramento dei due fattori principali per la buona salute di una marca d’orologeria: l’estetica e la qualità del prodotto. Vale a dire: fare modelli più belli, della massima qualità possibile al prezzo più accettabile, ed una volta che il prodotto è pronto, farlo conoscere ai sei miliardi di abitanti del pianeta con questo messaggio: “Ecco il prodotto – bello, qualitativo, competitivo”. Sono questi i due traguardi che Omega ha regalmente conseguito tra il 1986 ed il 1996, quando la ditta si è subitamente ripresa con una crescita irrefrenabile non solo in termini di pezzi venduti, di cifre d’affari ed utili, ma anche, e soprattutto, in termini di considerazione e di rispetto presso i distributori ed i consumatori. Risultato: il marchio, oggi, è tornato a contare nel novero delle marche svizzere della gamma più prestigiosa. Di tutte le grandi battaglie che ho dovuto affrontare con i miei collaboratori per arrivare all’SMH del 1998 (EM, ETA, Swatch, Swiss Timing, Asulab, investimenti, fusioni etc.) la battaglia per Omega è stata la più lunga e la più difficile, ma anche la più appassionante. Questa vecchia strega abominevole, malvagia, velenosa e disprezzata, l’abbiamo reincarnata in una raggiante principessa, in un’avvenente regina, in una maestosa imperatrice che spande attorno a sé un’aura di commozione e di buoni intendimenti: è così che si presenta ai nostri giorni, ed è cosÎ che la vogliamo vedere in futuro, e non la lasceremo mai scendere da trono. Generazioni future, mi appello a voi per continuare ad accrescere la potenza ed il prestigio di Omega! Sempre e senza soste!”.


Louis Brandt, il capostipite



Nascita di Omega
Non capita sempre che il modo migliore di raccontare una storia sia quello di iniziare dalla fine invece che dal principio. Nel nostro caso crediamo che l’appassionata relazione-esortazione di Nicolas Hayek in occasione del 150mo anniversario della maison tagli la testa al toro: meglio averla posta all’inizio, così sappiamo come interpretare il passato di Omega, sapendo che questo passato non è… passato, ma costituisce, secondo il potente intendimento del condottiero, una solida piattaforma per il futuro. I fatti che precedono la nascita ufficiale di Omega sono l’avvento di Napoleone, prima, e poi la sua caduta. Napoleone impone agli svizzeri l’editto del 1797, che prevede draconiane restrizioni all’artigianato e al commercio di metalli e pietre preziose, rese ancor più rigorose dal blocco navale esercitato dall’Inghilterra su tutta l’Europa. Ma alla caduta di Napoleone i neocastellani, liberatisi dal giogo prussiano ed avvicinatisi alla Confederazione Elvetica, rialzano prepotentemente la testa e danno vita ad una vera e propria rivoluzione industriale. Essi approfittano in pieno dei rovesci subiti dall’orologeria inglese, causati dall’invecchiamento delle loro tecnologie, e dalla concorrenza a basso prezzo proveniente dall’America, e precisamente dal Connecticut. Nel 1848 La Chaux-de-Fonds è un unico laboratorio: all’orologeria è dedicato anche l’ultimo metro quadro disponibile, e la città pullula di orologiai: in quel fatidico anno se ne contano 3574, vale a dire il 43% della popolazione attiva. In tal contesto, sempre in quell’anno, Louis Brandt apre il suo “Comptoir d’établissage” che è all’origine dell’attuale Omega.

La dinastia Brandt
Nato il 13 maggio 1825, Louis Brandt festeggia il suo 23mo compleanno sposandosi con Pauline Mathey dell’Etang, lascia la nativa Brévine per stabilirsi a La Chaux-de-Fonds dove, nel mese di Giugno, si mette in affari, a proprio rischio e pericolo, aprendo il comptoir alla Promenade 51 – “La via più bella del più grande villaggio del mondo” – dice lui. Che cosa sia un “comptoir d’etablissage” noi già lo sappiamo: una forma di organizzazione della produzione e della distribuzione imperante in quei luoghi sin dalla fine del 18mo secolo. Si tratta di un’agenzia in cui il fabbricante-negoziante acquista le casse semilavorate, parti costitutive ed altra chincaglieria dai fornitori specializzati, e poi le passa ad altri laboratori (o ad altri lavoratori a domicilio) per la rifinitura, il montaggio degli scappamenti e delle pietre, il ripasso e il montaggio complessivo, fino alla terminazione completa dell’orologio. È lui che centralizza tutte queste attività. Controlla il grado di manifattura, paga i conti e cerca sbocchi per la vendita della mercanzia così ottenuta. L’inconveniente maggiore di questo tipo di produziione sta nell'incostanza della qualità e nell’irregolarità dei tempi di consegna.


La dinastia Brandt



Nel 1854 nasce Louis-Paul, che nel 1873 si stabilirà per un anno in Germania, e poi frequenterà un biennio di scuola orologiera. Nel 1858 nasce poi César Brandt, che diverrà riparatore. Nel frattempo l’agenzia si è trasferita al n. 59 della “Grande Rue”. Nel 1876 Louis-Paul e César seguono un corso di perfezionamento in Inghilterra. Ma il 1876 è principalmente l’anno dell’Esposizione Universale di Philadelphia che provoca un salutare elettroshock per l’intera Svizzera, che viene a scoprire la potenza, la qualità e la competitività dell’orologeria americana. La superiorità di questa giovane industria è dovuta, innanzitutto, al suo alto grado di meccanizzazione e all’intercambiabilità dei pezzi durante il processo di produzione, con notevole aumento della produttività, facilitazione del montaggio e miglioramento della qualità, il tutto con l’abbassamento dei costi di produzione. Nel 1877 Louis Brandt si ammala e richiama Louis-Paul dall’Inghilterra, ed insieme fondano la società in nome collettivo “Louis Brandt & Fils”. Due anni dopo anche César torna dall’Inghilterra, dedicandosi maggiormente alle vendite, mentre Louis-Paul si occupa della tecnica. Alla morte del padre i due fratelli si associano di nuovo fra loro, mantenendo la ragione “Louis Brandt & Fils”. Resisi indipendenti, i due fratelli decidono di giocare il tutto per tutto, abbandonando il sistema (in definitiva poco soddisfacente) dell’etablissage, e di trasformare la maison in una manifattura basata sul lavoro meccanizzato secondo il sistema Ingold, che tanto successo riportava in USA: La “manifattura” sorta verso la fine di quel secolo era una forma di attività che raggruppava sotto lo stesso tetto tutti i laboratori e tutto il personale necessario alla più razionale produzione di orologi e delle loro parti staccate. Il loro scopo non era quello di ottenere una forte produzione di merce a buon mercato e di facile smercio. Al contrario, essi imboccarono la strada più stretta, quella di utilizzre i nuovi metodi di fabbricazione per ottenere, attraverso una razionalizzazione sempre più spinta, orologi di qualità capaci di dare i migliori risultati di precisione a prezzi più competitivi. Ma a questo punto La Chaux-de-Fonds non parve loro come il luogo ideale per far prosperare una nuova manifattura, per via della penuria di manodopera, la carenza di aree adatte, la difficoltà della fornitura d’energia e l’opposizione della popolazione a questo genere d’impresa. I due giovani si mettono alla ricerca di una località più propizia. Dopo aver visitato numerosi villaggi del Giura Bernese, a metà dicembre del 1879 César giunge a Bienne (o Bienna o Biel, sull’omonimo lago), ove trova i locali adatti alla realizzazione della sospirata manifattura. Il secondo piano della piccola officina Schneider & Perret-Gentil, situata sulla banlieue, al 119 della Route de Beaujean, equipaggiata di una macchina a vapore capace di erogare 60 cavalli di forza motrice idraulica. Iniziate il 18 dicembre, le trattative preliminari filano lisce ed il contratto di locazione viene firmato il 22 dello stesso mese: ebbene, se il librone da cui attingiamo queste informazioni non ci vuole giocare un tiro birbone, nel successivo mese di gennaio 1880, e cioè dopo pochi giorni dalla firma del contratto d’affitto, i fratelli Brandt presentano il loro primo calibro realizzato con procedimento meccanco nella loro nuova fabbrica di Bienne: si tratta di un “remontorio” a buon mercato, vale a dire un orologio da tavolo con dispositivo combinato per la carica e la regolazione dell’ora, con scappamento cilindrico, in boîte d’argento o in metallo. I risultati sono molto convincenti, e questa innovazione ben riuscita darà luogo, poco dopo, a diversi marchi di fabbrica: Jura, Patria, Helvetia, Décimal e, particolarmente, Gurzelen, che conquisterà un immediato successo.

Il calibro Gurzelen (1885) conquista un immediato successo

Nel corso del secondo semestre del 1881 la fabbrica Perret-Gentil viene ingrandita con l’aggiunta di due ali, mentre il personale già ammonta a 250 unità. Ma la crescita della società è frenetica, e nel 1882 i due fratelli sono già alla ricerca di nuovi spazi. Nel 1889 l’impresa conta 600 dipendenti e vanta una produzione annua di 100.000 pezzi: è la maggiore di tutta la Svizzera! La sua notorietà è tale che César Brandt, a soli 31 anni, viene nominato, assieme a Charles-Emile Tissot, membro della delegazione svizzera in seno alla Giuria Internazionale dell’Esposizione Universale di Parigi, sezione orologiera, e per questa ragione le ditte Brandt e Tissot sono dichiarate fuori concorso. Ma il titolo di membro della giuria è ben più invidiato dell’assegnazione di un Grand Prix...

(Foto Bing-Google di dominio pubblico. Click per ingrandire)

venerdì 23 dicembre 2011

Genitori in Trappola

Di Marino Mariani
Hayley Mills in "Il Cowboy con il Velo daSposa" (1961)

C’è stato un periodo in cui, pur non essendo io il suo più grande amico, e viceversa, ero strettissimamente legato con il più bravo della classe, che era anche il più ricco, e che, per l’alta posizione di suo padre, disponeva di tesserini e biglietti d’ingresso gratuiti per tutti i maggiori cinema di Roma. Attanagliati dalla comune passione per il cinema, passavamo interi pomeriggi nelle sale a vedere due o tre film di seguito e, in determinate circostanze, andavamo anche alle mattinate. Questa passione maniacale durò anche durante il mio primo periodo universitario, in cui mi iscrissi al “Circolo Romano del Cinema”, diretto da Pasinetti, che teneva le riunioni la domenica mattina al cinema Barberini, e dopo una piccola conferenza con dibattito, assistevamo alla proiezione di film storici che andavano dall'"Incrociatore Potemkin” di Eisenstein, a “Nosferatu il vampiro” di Wilhelm Pompe detto Murnau. Mi sono sposato molto presto, e con mia moglie, dopo cena, non disdegnavamo d’andare al cinema. Ma andavamo al cinema anche prima di sposarci, e cioè da fidanzati: lei, una bionda elvetica scesa in Italia per perfezionarsi nella lingua italiana, alta diversi mezzimetri più di me, ed io a rimirarla estatico. Ma quando una scintilla deve scoccare…Ebbene una sera, al cinema, durante il cinegiornale, la mia vistosa ragazza mi domandò “Perché tutte queste feste per il professor Einaudi?”. Il professor Luigi Einaudi è stato il primo presidente della Repubblica Italiana, spiegai alla fanciulla, ed era logico che nelle cerimonie pubbliche fosse seguito dai suoi Corazzieri e fatto segno dei solenni omaggi da parte delle autorità e del popolo. E lei: “Non lo sapevo. Viene sempre a pranzo da noi!”. Da noi chi? In quel periodo lei faceva l’istitutrice in casa del conte Nicolò Carandini, storico esponente del Partito Liberale Italiano, strettamente legato a Luigi Einaudi da vincoli politici e da lunga amicizia familiare. Il palazzo del conte Carandini era situato sul viale XXIV Maggio, che si riversava sulla piazza del Quirinale, e le abitazioni dei due vecchi amici erano vicinissime. Poi, col passare degli anni, dei lustri e dei decenni, la mia attrazione per il cinema si spense completamente.


Il Libro ispiratore di tutti i film



In un pomeriggio di non ricordo quale anno (mia moglie era in Svizzera ed io mi trovavo a Roma), andai a trovare un mio vecchio amico. Subito dopo di me cominciarono ad arrivare cognati, cugini e nuore, sinché la casa non fu piena di una quantità incontrollabile di bambini, ed allora decidemmo di portarli al cinema e poi in pizzeria (o viceversa), e fu così che vidi “ET”. Doveva essere l’anno 1982 o giù di lì, e fu l’ultimo film che vidi in sala. Ma in questi ultimi anni le cose sono radicalmente cambiate: su Internet, ed in particolare su Youtube, ora vengono offerte opere intere, film e concerti interi, ininterrotti, di una qualità video e audio talora di altissimo livello talché la mia politica nei confronti del computer è totalmente cambiata. Prima utilizzavo il computer solo come macchina per scrivere, e me lo facevo durare parecchi anni, mentre adesso cambio il mio Mac ogni volta che esce il nuovo modello, ed uso lo schermo più grande che viene offerto (attualmente 27”) essendo il computer diventato il mio maggior mezzo di comunicazione, studio ed intrattenimento. Ebbene, lettore. l’introduzione di quest’articolo qui finisce e passiamo all’azione. Se da bambino prediligevo le storie a lieto fine, come, penso, tutti gli altri bambini, adesso, alla mia età, il mio apprezzamento per storie lunghe, intricate, piene di attese, ansie ed incertezze, che si concludono però con un lieto fine che fa tutti felici, si è fatto anche maggiore, ed è diventato, praticamente, una condicio sine qua non nella mia scala delle preferenze. Negli scorsi anni avevo individuato il film che avrei desiderato presentare, per Natale, ai lettori di Famiglia Moderna, ed è il popolarissimo “Genitori in trappola” del 1998. Ma io lo conoscevo solo attraverso brevi brani e, per lo più, in lingua inglese. Finché, da un paio d’anni, ogni muraglia sembra crollata, ed ora trovo disponibile, su Youtube l’intero film, ininterrotto, in lingua italiana.

Prima edizione di Emil



Ma non finisce qui: in una critica, ho letto che questo film della Walt Disney è il “modesto” rifacimento di un altro film della stessa Walt Disney del 1961, dal titolo “Il cowboy col velo da sposa”, film di cui non avevo mai sentito parlare e che, con quel titolo un po’ ridicolo, sicuramente non sarei mai andato a vederlo. Ma non appena ebbi visto qualche brano lo riconobbi subito: l’avevo visto insieme a mia moglie, forse in Svizzera con un altro titolo, ed eravamo entusiasti della sua interprete, Hayley Mills, figlia dell’attore inglese Sir John Mills. Nostra figlia nacque un anno dopo, ed era pronosticata come un bel maschietto, ma io fino all’ultimo speravo che fosse una femminuccia che assomigliasse ad Hayley Mills. Contro ogni pronostico, che a quel tempo non erano precisi come adesso, sognai che ci era nata un bella figlia bionda, ed il giorno dopo mia moglie mi accontentò. Anche del primo film, “Il cowboy col velo da sposa”, all’inizio trovai solo qualche brano di non eccelsa qualità, ma tutt’ad un tratto apparve per intero, ininterrotto, in meravigliosi colori, in italiano, e quindi potevo decidere quale dei due potevo pubblicare. Ovviamente li potevo pubblicare tutti e due, cosa che ho deciso di fare. Ma prima di attuare tale decisione, mi venne uno scrupolo: al contrario di Cenerentola, di Cappuccetto Rosso, del Gatto con gli Stivali, le cui origini affondano nella notte dei tempi, la storia di Mary Poppins, il massimo raggiungimento cinematografico di Walt Disney, era di un’autrice contemporanea P.L. Travers, con cui Disney dovette trattare e litigare per ottenerne i diritti cinematografici, così anche la storia delle due gemelle di “The parent trap” che complottano per far ricongiungere i propri genitori divorziati forse avevano un autore ancora in vita, con cui Walt Disney dovesse trattare. Ed in effetti la storia originale si intitola “Das doppelte Lottchen”, che in lingua tedesca significa “La doppia Carlotta”, pubblicato nel 1949, il cui autore è un grande e celebre scrittore: Erich Kästner, nato prima di Walt Disney (Dresda 1899) e morto dopo (München 1974). Le sue origini non potevano essere più modeste, col padre sellaio e la madre cameriera e casalinga, che poi si improvvisò parrucchiera per contribuire al bilancio domestico. I suoi rapporti con la madre furono particolarmente stretti ed affettuosi. Nel 1913 si iscrisse ad una scuola per insegnanti, ma l’abbandonò nel 1918 prima di conseguire il diploma. Durante la prima guerra mondiale (1914-18) fu arruolato in artiglieria pesante e fu sottoposto ad un corso d’addestramento talmente brutale che non solo fece crescere il suo antimilitarismo, ma lo menomò fisicamente. Alla fine della guerra riprese il corso interrotto e conseguì il diploma d’insegnamento. Quindi s’iscrisse all’università di Lipsia ove si laureò. Cominciò a collaborare con numerosi giornali e subito ebbe successo.

Isa e Jutta Günther nel film capostipite "Das doppelte Lottchen"

Un successo strepiitoso lo ebbe come scrittore di libri avventurosi per ragazzi. Celebre è il suo “Emil und die Detektive”, pubblicato nel 1928, che nella sola Germania raggiunse il traguardo di 2 milioni di copie vendute, ed in seguito fu tradotto in 59 lingue e più volte fu filmato in vari paesi di tutto il mondo. Ovviamente il protagonista, Emil, divenne l’eroe di tutta una serie dedicata alle sue imprese. L’originalità del libro consisteva essenzialmente nel fatto che non fosse ambientato in un irreale e fiabesco regno della fantasia, bensì nel centro di una città moderna e pulsante come Berlino. Con l’avvento del nazismo (30 gennaio 1933) subì immediatamente la persecuzione da parte del nuovo regime, ma al contrario di numerosi suoi colleghi artisti, studiosi e letterati, non si rifugiò all’estero, tranne che per brevi escursioni a Merano e in Svizzera. Assisté al rogo dei suoi libri, ma volle restare per testimoniare i fatti in prima persona. Scrisse:


Erich Kästner

Nacqui tedesco in terra di Sassonia
Giammai voll'io fuggire dalla Patria.
Come quercia che nacque in Alemagna
Qui dove crebbi attenderò la morte.

Subì perquisizioni, interrogatori ed angherie da parte della Gestapo. Fu espulso dal sindacato degli scrittori, e quando la guerra finì ed il nazismo obliterato, lungi dall’essersi placati il suo pacifismo ed il suo antimilitarismo si accesero contro il regime di Adenauer, che aveva portato, sì, la Germania del dopooguerra al “miracolo economico”, ma aveva aderito alla NATO e consentito che in Germania stazionassero armi nucleari. Comunque il suo successo era irresistibile: scriveva per i giornali, per le stazioni radio e per il cabaret. Scriveva testi umoristici, dialettici, sentimentali, poesie e parole per canzoni. Scriveva sceneggiature per il cinema (il suo linguaggio letterario era di tipo spontaneamente cinematografico). Scriveva romanzi seri, semiseri, licenziosi, politici e polemici, ma soprattutto magici libri per i ragazzi. Nel 1949 apparve “Das doppelte Lottchen”. Oramai la storia la conoscono tutti. Due ragazzine che si somigliano come due gocce d’acqua, s’incontrano casualmente in un campeggio estivo, e capiscono di essere sorelle gemelle i cui genitori hanno divorziato, e si erano divise le due bambine. Le quali vogliono riunire i loro genitori, ed escogitano i loro tranelli e le loro finzioni. Non passa un anno dall’uscita del libro che la trama viene trasposta in chiave cinematografica, in cui lo stesso Erich Kästner fa la sua apparizione nella parte del narratore. Le due gemelle che si somigliano come due gocce d’acqua vengono interpretate da due sorelle che si somigliano come due gocce d’acqua: sono le sorelle Isa e Jutta Günther. Il film fu coronato dal massimo successo, e la sua storia venne ripresa in ogni parte del mondo facendone nuovi film e cartoni animati. E venne ripresa dalla Walt Disney Production che sfruttò la trama per ben due volte: nel 1961 utilizzando una sola genella che recitava per due, ed era la prodigiosa piccola inglese Hayley Mills, quindicenne, ed una seconda volta nel 1998 utilizzando ancora una sola gemella, la sorprendente banbina americana Lindsay Lohan, di soli 11 anni, al suo esordio cinematografico assoluto.

Lindsay Lohan: gran tecnica in "Genitori in Trappola" (1998)

Prima di allora, in piena puerizia, faceva la modella in sfilate di moda infantili. Ricapitolando: nel “Cowboy col velo da sposa”, in cui le due gemelle quindicenni sono interpretate da Hayley Mills, la parte del padre è affidata a Brian Keith, mentre quella della madre è impersonata dall’indomita, fiera, torreggiante rossa irlandese Maureen O’Hara, la quale potrebbe in un batter d’occhio disfarsi della sua…..Sua che? Convinti che tutti conoscano la trama di questa storia, forse sono andato un po’ troppo avanti. Riprendiamo il filo: delle due gemelle una è stata affidata al padre, e l’altra alla madre. La prima non ha mai visto la madre, la seconda il padre, quindi decidono di scambiarsi i ruoli, in modo che ognuna di esse potesse conoscere l’altro genitore. Il fatto che dopo tanto tempo nessuno dei due si sia risposato le convincono che c’è ancora una fondata speranza di poterli riunire. Ma la gemellina destinata a raggiungere il padre, giunta a destinazione, ha un’amara sorpresa: trova il padre completamente irretito dai vezzi e dalle lusinghe di una giovane e graziosa cacciatrice d’oro, decisa a diventare la matrigna della figliolanza (per il momento non sa che le figlie sono due) e ad impadronirsi della chiave della cassaforte. La situazione sembra disperata, le nozze sono già state fissate, e la gemella paterna avverte l’altra, ed insieme determinano la lieta conclusione del finale. Nel "Cowboy col velo da sposa", l’intrigante pretendente è la graziosa e vezzosa Joanna Barnes, ma minuscola rispetto alla possente Maureen O’Hara, che in effetti prevale. 37 anni dopo, e cioè nell’anno 1998, la stessa Joanna Barnes, impersona la parte della madre della nuova intrigante pretendente di "Genitori in trappola*, la quale non è una ragazza qualunque, bensì una bellezza moderna ed esplosiva come quella di Elaine Hendrix. La quale, non appena appare sullo schermo, sembra già coronata dalla vittoria. Nel rifacimento disneyano la coppia di genitori delle gemelle è costituita da Dennis Quaid e da Natasha Richardson, e mentre il papà è alto, grosso e possente quanto il suo predecessore nel "Cowboy col velo da sposa", la madre, questa volta, è la delicata e dolcissima Natasha Richardson. Se non sapessimo a priori che alla fine il bene trionfa, ci sarebbe l’impressione che la Hendrix potesse fare un sol boccone della Richardson, invece...Comunque la Hendrix offre una grande prova di se stessa quando esprime, con estrema comicità, il suo disappunto rispetto ai tiri burloni delle due gemelle impersonate da Lindsay Lohan. Benchè molto spesso i rifacimenti risultino inferiori all’originale, a me sembra che "Genitori in trappola" non sia per nulla inferiore al "Cowboy col velo da sposa", anzi.... I 37 anni d’intervallo tra i due film sono serviti al cinema per arricchirsi di notevoli progressi tecnici.

Elaine Hendrix, la pretendente intrigante


Già si gridava al miracolo quando Hayley Mills apparve sdoppiata nelle due gemelle talché, insieme a tanti altri, anch’io pensavo che si trattasse di due personcine uguali e distinte. Solo dopo inoppugnabili prove successive mi convinsi che si trattava di un trucco cinematografico, consistente nel dividere lo schermo in due parti e di coprirne una, che rimaneva vergine mentre veniva girata l’altra. Poi si invertivano i ruoli. E comunque un attento osservatore si sarebbe accorto che tra le due gemelle si interponeva una certa, seppur infinitesima, distanza. Nel rifacimento tale tecnica è stata migliorata al punto che le due gemelle appaiono spesso inestricabilmente abbracciate e intrecciate l’un l’altra! Per dovere storico ho deciso di pubblicare anche il film originale in bianco e nero e con le due gemelle reali invece che una sdoppiata: "Das Doppelte Lottchen". È parlato in tedesco, e quindi non siete tenuti a capirlo tutto parola per parola. Ma le immagini parlano chiaro, e costituiscono l’imperituro messaggio del passato, quello di un mondo che hanno conosciuto i vostri padri e i vostri nonni. Potrei aggiungere che l’autore, Erich Kästner confessò che l’idea del suo romanzo gli era venuta da un film americano intitolato “Three smart girl” con la giovane attrice prodigio Deanna Durbin. Chissà se c’è ancora qualcuno che ricorda il film del 1936 intitolato “Le tre Ragazze in Gamba”, seguito poi da “Le tre Ragazze in Gamba Crescono”. Io mi ricordo benissimo che questo film, ed il suo seguito, era in circolazione e tutti ne parlavano, ma non mi ricordo se l’ho visto o no. Cercando con pazienza su internet c’è la possibilità di ritrovare questo interessante capostipite, basato sulla storia di tre sorelle che vivono in Svizzera con la loro madre, divorziata da una decina d’anni. Ma tutto ad un tratto giunge la notizia che il loro padre, a New York, vuole risposarsi ed allora…Qui però, non ci sono gemelli o gemelle indistinguibili. Ce ne sono invece nella commedia di Shakespeare intitolata “The Comedy of Errors”, pubblicata per la prima volta nell’in-folio del 1623, e ripresa dalla commedia latina di Plauto “I Menaechmi”. Il quale Plauto, che visse al tempo delle guerre puniche (ca. 200 avanti Cristo) in pratica, tradusse in latino commedie greche, principalmente di Menandro.…..Cari amici, tanti auguri di buone feste e buon divertimento.

"Das doppelte Lottchen"






(Foto Bing-Google di pubblico dominio. Click per ingrandire)

venerdì 16 dicembre 2011

L'uomo neoterico, 2a parte: dottrina dell'11mo comandamento


Di Marino Mariani 
Idillio dei bambini e degli animali

Facevo la terza elementare, eravamo nel bel mezzo dell’anno scolastico, quando mio padre fu trasferito dalla città ad un paesino che faceva parte del Governatorato di Roma, che si chiamava, per l’appunto, Cesano di Roma. Aveva la carica di “Delegato Governatoriale”, che costituiva indubbiamente una promozione, non certo una condanna all’esilio o, come si diceva allora, un invio al “confino”. Dall’anonimato della grande città venivamo sbalzati in una sede invero modesta ma dove la nostra famiglia, ora che rappresentavamo la massima autorità amministrativa, balzava in primo piano ed era sotto il fuoco dell’opinione pubblica che non ci risparmiava elogi e, probabilmente, pettegolezzi. I nostri interlocutori per censo e lignaggio, erano il parroco, l’ufficiale postale, il medico condotto, la levatrice, il direttore della scuola elementare, il comandante della tenenza dei carabinieri e qualche ricco possidente. Sopra mio padre c’era il segretario politico Polletti di stanza a Roma, che faceva saltuarie visite nel nostro paesello. Che una volta ci invitò nella sua lussuosa abitazione a Roma e ci mostrò la sua Enciciclopedia Treccani nel suo bel mobile in Chippendale massiccio (Cinquant’anni dopo anch’io acquistai, per diversi milioncini di lire, l’Enciclopedia Treccani originale degli anni ’30, col loro mobile, da un antiquario di piazza Fontanella Borghese). Di quei tempi il sabato era il “Sabato Fascista”, e da Roma venivano due giovani graduati della Milizia, Ceciarelli e Fumagalli, a farci marciare e cantare gli inni patriottici. E noi Balilla, assieme alle Piccole Italiane, marciavamo e cantavamo “Giovinezza” con due ritornelli supplementari. Di cui il primo era rivolto al Sovrano Vittorio Emanuele, e diceva “E per Vittorio Emanuele, eja eja alalà”. Ma, nella mente di quei piccoli figli di contadini e di modesti artigiani il nome del Re veniva interpretato come “Vittorio e Manuele”, per cui il secondo ritornello, che era: “E per Benito Mussolini, eja eja alalà”, veniva cantato così: “E per Benito e Mussolini, eja eja alalà”. Finchè rimasi a Cesano, nonostante l’intervento dei graduati, ma anche degli insegnanti, l’esecuzione di quei ritornelli rimase immutata ed anch’io mi uniformai. Dopo la marcia ed il canto di inni patriottici, venivamo adunati nel campo sportivo ove venivano lette le disposizioni del partito. Una di queste stabiliva che: “Ogni qualvolta veniva citata la persona del Duce, bisognava scattare sull’attenti”. Prima di tornare a Roma, la sera, Fumagalli e Ceciarelli venivano a cenare a casa nostra, ed era una piccola lieta festicciola. Zia Giulia, dopo un accurata indagine, stabilì che Ceciarelli era un nostro parente, perché, in quanto nipote della signora Pieralice…Durante questo piccolo banchetto, il Duce veniva citato spesso ed io, puntualmente scattavo sull’attenti, finché non fu stabilito che questa disposizione non valeva per riunioni familiari svolte in casa.

J. Ratzinger militare a 16 anni


Ma la mia apoteosi, si può dire, non era di questo mondo, bensì sfiorava la sfera celeste: non so per quali meriti, ero diventato il beniamino delle monache, che avevano la loro sede proprio avanti a casa nostra. Forse perché parlavo in un ottimo, forbito e dotto italiano invece che mugugnare in dialetto. Forse perché vestivo buoni abiti lavati e stirati invece delle giacchette e pantaloni gualciti, sdruciti e rappezzati dei bambini indigeni. O forse anche perché mia sorella ed io, studiando il pianoforte, riempivamo di nobili concenti la piazza antistante. Fatto sta che ogni volta che bussavo al loro uscio il loro sembiante si illuminava dell’ineffabile gaudio di una grazia ricevuta. Anch’io mi sentivo attratto da queste brave signore gentili e delicate, e condividevo volentieri i loro usi e costumi, partecipando a certe funzioni, recitando con loro il rosario, andandomi a sedere in chiesa accanto a loro, nel posticino che sempre, tacitamente, mi riservavano. Ma quello che, dopo numerosi decenni, ricordo con sempre maggior rimpianto sono le belle giornate di primavera ed estate, quando, ognuno di noi armato di un cestino di paglia o di vimini e di un coltellino, andavamo a fare l’insalata in aperta campagna! Traversavamo l’abitato diretti verso la parte bassa del paese, e le donne ci salutavano e qualcuna di esse parlava con le monache. I paesani erano assai rispettosi, e chi aveva il cappello se lo levava. Poi, ad un certo momento le case scomparivano e la strada si trasformava in un sentiero, appena accennato, che ci portava alla “marana”, un piccolo stagno circondato da giunchi e canne, cui non bisognava avvicinarsi troppo perché il terreno attorno era acquitrinoso e facilmente ci si affondava. Questo stagno era un punto di ritrovo per noi fanciulli, perché da qui si dipartivano numerosi avventurosi sentieri. Costeggiando lo stagno, quasi completando un cerchio, c’era il sentiero che conduceva al bosco dove raccoglievamo gli aculei degli istrici e cercavamo tra i rami le migliori forcelle per le fionde. Ad un certo punto il bosco sprofondava in una forra quasi inaccessibile, ma mio padre, andando a caccia, vi penetrò e si ritrovò in una radura, in cui si fermò ad ammirare un grosso ramarro lungo più di un metro: un lucertolone verde-azzurro. Io, per mio conto, qualche volta venivo allo stagno da solo, verso il tramonto, a studiare certi esserini stupendi: le libellule. Ma nelle escursioni con le monache non prendevamo il sentiero del bosco. Fermavamo a metà il nostro periplo dello stagno, e ci incamminavamo per un sentiero in salita che, oltrepassato un macchione, raggiunta la sommità dell’altura, ci spalancava la vista su certi pratoni illimitati, che costituivano la meta della nostra escursione. Lì posavamo gli impicci che ci eravamo portati appresso e cominciavamo la ricerca delle più tenere piantine. Io non tradivo le aspettative, e svolgevo il ruolo per il quale ero designato, quello del piccolo apprendista botanico che tutto vuole imparare, che tutto vuole sapere. E così, sotto stretta sorveglianza di quelle esperte cercatrici, anch’io potevo rincasare col mio cestino di raponzoli, cicoria, portulaca (detta porcacchia), mentuccia…Non avrei assolutamente il coraggio di andare a ritrovare quei luoghi: il paesino di Cesano si è notevolmente espanso, e quei prati di libertà hanno fatto posto agli edifici.


J. Ratzinger cardinale a 50 anni


Dopo un periodo relativamente breve, mio padre fu trasferito a Maccarese: un’ampio territorio di bonifica, comprendente una trentina di centri agricoli autonomi e distinti, ed una sovranità che copriva anche la lussuosa e riservata località marina di Fregene, che allora era proprietà privata della Banca d'italia, e per accedervi bisognava pagare un pedaggio. Ma, al contrario di Cesano ove ero in stretto contatto con le monache ed assolutamente nulla ricordo del parroco, a Maccarese non ho rilevato l’esistenza di conventi di monache, ma divenni immediatamente il pupillo del parroco Don Pietro e del suo assistente Don Idelmo (che mi faceva studiare il latino). Sotto la guida di quei sant’uomini divenni l’astro nascente della Religione Cattolica, e vincevo a colpo sicuro tutte le gare di Dottrina Cristiana che venivano periodicamente indette in chiesa, accumulando così un vero e proprio tesoretto di catenine da rosario, medagliette e santini. Da non sottovalutare, perché a quei tempi tra noi ragazzini decenni non circolava danaro se non sotto forma di monetine da un soldo (pari a 5 centesimi di lira) o, al massimo, un nichelino da 20 centesimi. Tra noi gli scambi avvenivano a base di bottoni, figurine, liquerizia, temperini, zampette di lepre, zanne di cinghiale o artigli di falco, forcelle ed elastici per fionda, pietre focaie, calamite ed oggetini vari che entravano nelle nostre tasche. Per cui, disponendo come moneta di scambio di catenine, medagliette e santini, era come gestire una grossa Banca Centrale. 

Heidi e la capretta



Le gare di Religione consistevano nel rispondere a tamburo battente, senza indecisioni e senza imprecisioni, alle 433 domande contenute (con le relative risposte) nel volumetto di Catechismo della Dottrina Cristiana redatto dal cardinale Pietro Respighi e inizialmente pubblicato con l’approvazione e la lode del papa San Pio X, al secolo Giuseppe Sarto, nell’anno 1912. L’edizione miracolosamente ancora in mio possesso, dopo tanti traslochi e vagabondaggi, è quella del 1935, redatta dal cardinale Pietro Respighi, che si apre con la lettera di papa Giuseppe Sarto (San Pio X) che approva l’opera, se ne compiace e ne dispone l’adozione nella diocesi di Roma, augurandosi che essa potesse  diffondersi nelle altre diocesi. Sembra un programma minimalistico, per un papa di universale autorità. Ma la lettera risale alla prima edizione di questo catechismo, ed è datata il 18 ottobre 1912, un periodo in cui la Chiesa è in pieno litigio con lo stato italiano, a seguito della presa di Roma del 1870, ed il papa si considerva un prigioniero nel ristretto territorio della Città del Vaticano, e non scendeva neanche a salutare i fedeli in piazza San Pietro. Questo litigio si concluse, con soddisfazione di entrambe le parti, il giorno 11 febbraio 1929, due mesi prima della mia nascita, e due anni dopo la nascita di Joseph Ratzinger, attuale pontefice Benedetto XVI. Quando Hitler salì al potere in Germania, alla fine di gennaio del 1933, fu lesto, a metà luglio dello stesso anno, a firmare un analogo Concordato con la chiesa, per cui possiamo dedurre che anche Joseph Ratzinger studiò i primi elementi di religione su un Catechismo analogo a quello ormai d’uso comune in Italia. Entrambi i Concordati, con l’Italia e la Germania, avvennero durante il papato di Achille Ratti (Pio XI), che regnò dal 1922 al 1939, e fu successore di papa Sarto e predecessore di papa Pacelli, Pio XII (1939 – 1958). Ebbene, con lo scarto di due soli anni di anzianità a favore di Joseph Ratzinger, ritengo che il papa ed io abbiamo ricevuto i primi rudimenti di Dottrina Cristiana sullo stesso, o analogo, volumetto promulgato da papa San Pio X che, accanto alle preghiere quotidiane, all’elenco delle virtù e dei peccati, presentava la dottrina sotto forma di un repertorio di proposizioni assiomatiche da imparare e recitare a memoria. Per noi bambini era un gioco…da bambini, in cui ci sfidavamo tra noi, e poi in chiesa nelle gare in cui mietevo tutti gli allori. Ecco la prima raffica che ci investiva:

1. Chi ci ha creato?
    Ci ha creato Dio
2. Chi è Dio?
    Dio è l’essere perfettissimo Creatore e Signore del cielo e della terra
3. Che significa perfettissimo?
   Perfettissimo significa che in Dio è ogni perfezione, senza difetto e senza limiti, ossia 
   che Egli è potenza, sapienza e bontà infinita
4. Che significa Creatore?
    Creatore significa che Dio dal nulla ha fatto tutte le cose.
5. Che significa Signore?
     Signore significa che Dio è padrone di tutte le cose.
6. Dio ha corpo come noi?
    Dio non ha corpo, ma è purissimo spirito.
7. Dov’è Dio?
    Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo: Egli è l’Immenso.
8. Dio è sempre stato?
    Dio è sempre stato e sempre sarà: Egli è l’Eterno.
9. Dio sa tutto?
    Dio sa tutto: Egli è l’Omnisciente.
10.Dio può far tutto?
     Dio può far tutto: Egli è l’Onnipotente.
……………………………………………………………etc

Ma a prescindere dall’epoca, dalla nazione e dal testo utilizzato, indubbiamente il catechismo godeva di una istintiva simpatia da parte dei giovani alunni. Non solo cristiani ma anche di altre religioni: la famiglia ebrea di Albert Einstein considerava i rituali religiosi come il residuo di una vecchia e inveterata superstizione (vedi “Albert Einstein 1a parte”, FM ottobre 2010). Quando Albert fu maturo per andare a scuola a sei anni (1885) non si preoccuparono minimamente di trovare una scuola ebraica, ma lo mandarono alla più vicina chiesa cattolica, la Peterschule. Era l’unico ebreo in una classe di settanta scolari, ed era così bravo in catechismo tanto da aiutare i suoi compagni. 

Nicolò Copernico

Quando compì nove anni fu iscritto ad una scuola secondaria di Monaco, il Luitpold Gymnasium, ritenuto una scuola illuministica, specializzata nell’insegnamento della matematiche e delle scienze, che disponeva di un insegnante di religione riservato a lui e ad altri bambini ebrei. Nonostante il secolarismo della sua famiglia, o forse a causa di questo, Albert sviluppò un improvviso entusiasmo per il giudaismo, al punto (come afferma sua sorella Maja) non solo di rispettare tutti i costumi, le usanze e le prescrizioni alimentari della religione, ma di comporre lui stesso inni religiosi a maggior gloria di Dio. Ma attorno all’età di 13 anni, dopo essere stato avviato alla lettura della Critica alla Ragion Pura di Kant, e di altri testi filosofici e scientifici, subì una improvvisa profonda trasformazione: il rigetto della religione con tutti i suoi ritualismi e le sue falsità. Come pure il rigetto del principio di autorità e di ogni tipo di autoritarismo, da quello scolastico a quello militaristico. Persa la “fede nella fede”, per tutto il resto della vita Einstein si astenne dal partecipare a qualsiasi cerimonia rituale, ma non abbandonò la visione di un’essenza divina che si manifestava nell’armonia del creato….
Il bimbo ed il delfino



Nel 1939 io compivo 10 anni e fui iscritto al Regio Liceo Ginnasio Giulio Cesare a Roma, cosa che comportava il mio trasferimento nella casa romana di nonna Adele per tutto il periodo scolastico e conseguente distacco dalla corte di Don Pietro e Don Idelmo e conseguente addio ai miei catechistici trionfi. Allo studio del catechismo nonna Adele sostituì lo studio rigoroso del pianoforte, solfeggio compreso, per il quale, evidentemente, non avevo sufficiente vocazione. Col tempo, negli anni successivi, in vista anche dei gravosi impegni scolastici, ottenni di essere esentato da questo studio supplementare, anche se per il resto della mia vita ho rimpianto quell’occasione perduta. Nel 1943, a 14 anni, non ebbi quella crisi di rigetto improvvisa, netta e recisa come la ebbe Einstein a quell’età, ma certo la mia attività religiosa andava attenuandosi. In quello stesso anno Joseph Ratzinger, che studiava in seminario, compiva 16 anni e fu arruolato come ausiliario nella difesa antiaerea. Mi domando se il futuro Papa svolgesse solo compiti di protezione civile, oppure sia stato accanto a quei mirabolanti cannoni antiaerei Krupp 88 mm capaci di sparare 28 colpi al minuto in caricatori da 8. Roma era difesa da cannoni tedeschi di quel tipo, e durante le incursioni aeree questi colpi di cannone sembravano quelli di una mitragliatrice, tanto si susseguivano rapidamente, ed il cielo si costellava di nuvolette bianche a quota 2-3.000 m. Passata la guerra, la mia fede si attenuò in larga misura, e non mi ricordo perché. Ho tentato di ricostruire, anche chiedendolo a vecchi compagni di scuola, le motivazioni di questa mia deriva di così alta importanza verso il secolarismo, e la risposta più probabile è che l’uomo (ritenevo) dovesse essere un essere morale per sua natura, e non secondo le modalità dettate dalla Chiesa.

 Giovanni Keplero


In effetti, come Einstein, raggiunta la notorietà mondiale, accettò incarichi di così alta importanza da comportare automaticamento il riacquisto della cittadinanza tedesca, che aveva ripudiato da giovanetto, ed alla voce “Religione” non se la sentì di figurare come ateo, e riassunse la denominazione di “ebreo”, così io, che non combattevo la religione, ma solo rilevavo certe contraddizioni in essa contenute, ho passato il resto della mia vita come un semplice cristiano cattolico, come tutti gli altri. D’altra parte mi rendo pur conto che sono proprio le contraddizioni che, come l’acqua cheta, fanno crollare i ponti. E quale è l’essenza stessa della fede? Credere a cose incredibili, contrarie al senso comune, solo perché le aveva dette qualche entità molto in alto? Comunque, come sarà capitato a chissà quanti giovanetti, il primo urto frontale con la Chiesa l’ebbi al racconto di Galilei costretto ad abiurare perché sosteneva che la Terra si movesse intorno al Sole, mentre la chiesa sosteneva il contrario, e cioè che la Terra fosse al centro dell’universo, e che l’universo, a cominciare dal Sole, ruotava attorno ad essa.

1a e 2a legge di Keplero

L’idea dell’eliostasi si fa risalire ad Aristarco da Samo, ma fu ripresa con rigore scientifico da Nicolò Copernico, nato nel 1473 e morto nel 1543. La vita di Copernico ha qualche cosa di incredibile: egli ricoprì un numero infinito di cariche onorifiche, diplomatiche, amministrative, ecclesiastiche, laiche, artistiche, scientifiche, scolastiche, giuridiche….talché per lui, il re degli astronomi, lo studio dell’astronomia non poté che costituire un saltuario passatempo! Ma la chiesa minacciosamente vigilava sulla sua opera di astronomo eretico. Copernico sentì il peso di questa minaccia, e cercò di rimanere in ombra. Come vuole la tradizione, la pubblicazione della sua opera fondamentale. “De revolutionibus orbium coelestium” fu rimandata di volta in volta, finché Copernico ebbe tra le mani la prima copia del suo libro proprio nel suo ultimo giorno di vita: lo carezzò, cercò di sfogliarlo, rasserenato sorrise e morì. Il titolo della sua opera significa, in italiano e nelle altre lingue di tutto il mondo: “Sulle orbite dei corpi celesti”, ma ancor oggi, o forse oggi più che mai, l’oratore, lo scrittore, il giornalista di cultura incompleta, per sottolineare l’eccezionalità di un evento, di una scoperta o di un provvedimento governativo, lo annunciano come una vera e propria rivoluzione copernicana, quando in Copernico la rivoluzione è il completamento della curva chiusa che il corpo celeste compie attorno al Sole. Dopo Copernico il maggior contributore non solo all’idea eliocentrica, ma allo sviluppo di tutta la moderna meccanica celeste fu Giovanni Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630) che determinò con esattezza le leggi del moto dei pianeti attorno al Sole: essi descrivono una ellisse di cui il Sole occupa uno dei fuochi (1a legge), ed il raggio vettore che unisce il pianeta al Sole spazza in tempi uguali aree uguali (2a legge). La 3a legge è un po’ più complessa e la sua dimostrazione non balza evidente da una semplice illustrazione, quindi la menziono solo per completezza: i quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori della loro orbita. Dall’illustrazione si vede invece, molto chiaramente, che l’orbita di un pianeta (Terra) è un’ellisse, e che, affinché l’area spazzata dal raggio vettore rimanga uguale in tempi uguali, avvicinandosi al perielio (distanza minima dal Sole), poiché s’accorcia il raggio vettore, s’allunga l’arco di traiettoria. Al contrario, verso l’afelio (distanza massima dal Sole, cioè in prossimità del secondo fuoco, quello vuoto) il raggio vettore s’è allungato e l’arco di traiettoria percorso s’è accorciato, e ciò significa che la velocità di un pianeta attorno al Sole non è costante, ed è massima al perielio (quando l’arco percorso è massimo), ed è minima all’afelio (per la ragione inversa).

Tycho Brahe



Nella formulazione di queste leggi Keplero si avvalse dei dati e delle tabelle di Tycho Brahe (1546-1601), di incredibile precisione, considerando che non si era avvalso del telescopio, successivamente inventato da Galileo. Tycho Brahe non si convertì alla teoria eliocentrica di Copernico, ma rese compatibili le traiettorie osservate con le tabelle tolemaiche introducendo artifici geometrici come gli eccentrici e gli epicicli. Keplero ebbe la sorella di sua madre arsa viva sotto l’accusa di stregoneria, mentre sua madre fu imprigionata e torturata per un anno ed infine liberata, perché neanche sotto la tortura rivelò una reale attinenza con la pratica della magia nera. Keplero, che nella storia della fisica si trova a mezza strada tra Galileo e Newton, a sua volta, nella storia del suo sviluppo personale, si trova stretto (e sostenuto) da Tycho Brahe e dallo stesso Galilei. A quest’ultimo doveva la visione panoramica delle stelle e dei pianeti remoti, lo sguardo nelle profondità dell’universo, ottenuto mediante l’invenzione del telescopio. In definitiva fu Galilelo (1564-1642) il bardo della scienza moderna fondata sul principio induttivo e sulla prova sperimentale. Diciotto secoli prima, il siracusano Archimede aveva gridato: “Datemi un punto d’appoggio e solleverò la Terra!”, e dopo un silenzio di quasi due millenni la voce del pisano diede risposta a questa istanza, con l’enunciato del principio d’inerzia (prima legge della dinamica): “Un punto materiale non soggetto a forze permane nel suo stato di moto”. Cioè, se al momento dell’osservazione è fermo, seguita a rimanere fermo. Ma se in quell’istante si muove con una certa velocità, seguita a muoversi mantenendo immutata quella velocità. Si muoverà quindi di moto rettilineo uniforme, cioè senza variare il valore della velocità e senza cambiare direzione. Quando sono entrato all’Università, il nostro testo di Fisica Sperimentale offriva l’illustrazione di un’esperienza didattica atta a dimostrare la validità del principio d’inerzia: si dispone di un piano levigato, e di certi dischetti metallici; all’atto dell’esperienza vengono estratti da un apposito frigorifero altrettanti dischetti di “ghiaccio secco”, cioè di dischetti di anidride carbonica congelata, detta ghiaccio secco perché, a contatto con l’aria a temperatura ambiente, l’anidride carbonica sublima immediatamente, cioè passa dallo stato solido direttamente allo stato gassoso senza passare attraverso lo stato liquido. Ed allora i dischetti metallici posti su questi dischetti di ghiaccio secco, si troveranno sospesi su cuscinetti d’aria, eliminando in preponderante misura il loro attrito col piano levigato. Misurando i tempi di percorrenza di spazi eguali, si trova che questi tempi rimangono eguali entro i consueti limiti d’errore sperimentali. Ai suoi tempi, Galileo non disponeva di queste commodità sperimentali, e quindi dovette immaginare l’esistenza di una condizione in cui un corpo approssimasse la condizione ideale di assenza assoluta di ogni forza perturbatrice. E trovò questa condizione ideale nel moto delle comete naviganti nelle profondità sideree, ben lontane da ogni altro corpo celeste che ne influenzasse il moto. Il passo successivo fu un balzo mentale induttivo avente la forza di un’evidenza sperimentale assoluta: se la cometa stesse a distanza infinita da ogni altro corpo celeste, il suo moto sarebbe rettilineo uniforme, e non riapparirebbe più all’occhio dell’astronomo né dopo anni, né dopo decenni, secoli e millenni, e procederebbe nel suo stato di moto iniziale per tutta l’eternità. L’intervento del principio d’induzione, accanto alla verifica sperimentale, nella formulazione di ogni legge fisica, ridava voce alla scienza dopo il mutismo dogmatico e deduttivo aristotelico in cui si era racchiusa la chiesa. Il Santo Uffizio ed il cardinale (poi Santo) Roberto Bellarmino determinarono che la Bibbia era stata scritta sotto diretta dettatura dello Spirito Santo, e quindi ogni frase, ogni parola, ogni episodio scritto e descritto nella Bibbia costituiva una verità assoluta, ed ogni contestazione di ognuna di queste verità costituiva eresia. La mente impetuosa di Galileo, lanciata ormai senza freno alla descrizione scientifica della natura in base alla ricerca ed alla sperimentazione e non all’interpretazione di antichi testi dogmatici, lo portò ad aderire alla concezione eliocentrica di Copernico.

Giosué chiede a Dio di fermare il Sole


E poiché la Bibbia contiene numerosi passi in cui è conclamata la posizione centrale fissa ed immutabile del nostro pianeta rispetto all’universo rotante attorno ad essa, fu prima sospettato, poi accusato e ritenuto colpevole di eresia. L’episodio biblico scatenante che veniva narrato a noi giovinetti era l’invocazione di Giosuè e l’aiuto del Signore ad Israele nella battaglia di Gàbaon (Gs10.10…):

Il Signore mise lo scompiglio in mezzo a loro dinnanzi ad Israele, che inflisse loro in Gàbaon una grande disfatta, li inseguì verso la salita di Bet-Coron e li batté fino ad Azeka e fino a Makkeda. Mentre essi fuggivano dinnanzi ad Israele ed erano alla discesa di Bet-Coron, il Signore lanciò dal cielo contro di essi come grosse pietre fino ad Azeka e molti morirono. Coloro che morirono per le pietre della grandine furono più di quanti ne uccidessero gli Israeliti con la spada. Allora, quando il Signore mise gli Amorrei nelle mani di Israele, Giosuè disse al signore sotto gli occhi di Israele:

    “Sole, fermati in Gàbaon
    e tu, luna, sulla valle di Aialon”
    Si fermò il sole
    E la luna rimase immobile
    Finché il popolo non si vendicò dei nemici.

Non è forse scritto nel libro del Giusto: “Stette il sole fermo in mezzo al cielo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero…"

La struttura dell’Universo vedeva, dunque, secondo la visione della chiesa, la Terra al suo centro e poi, intorno ad essa, varie sfere di cristallo (i cieli), contenenti il Sole, la Luna, i pianeti, le stelle fisse. Queste sfere ruotavano l’una sull’altra, sospinte da schiere di angeli. Nessun astronomo, neanche quelli arabi che osservavano il cielo da millenni, avevano mai potutto osservare queste sfere di cristallo, e tantomeno le schiere di angeli che ne assicuravano il moto. Non furono viste neanche col telescopio di Galileo. Chi non fosse dotato di fede cieca ed assoluta difficilmente avrebbe potuto immaginare la funzionalità di questa composita struttura, ma ben la conoscevano i membri del collegio chiamati a giudicare Galileo Galilei accusato di eresia. Invano costui illustrò il suo modello astronomico aggiornato di tutte le più moderne osservazioni scientifiche. Gli fu fatto osservare che il suo era, è vero, proprio un bel modello, che poteva anche rappresentare una transitoria possibilità. Transitoria possibilità, non una legge di natura! Perché Dio, essendo omnipotente, non può soggiacere ad alcuna legge, ed in ogni istante può invertire moti, distanze e rapporti di ogni corpo celeste. 


Renato Cartesio



Basta inviare un messaggio alle schiere degli angeli che sospingono il cosmo! In nome dell’omnipotenza di Dio si poteva risolvere, senza calcoli e senza misure, ogni sorta di problemi concernenti la natura delle cose. La natura è fatta di particelle indivisibili (atomi) o è un continuum? Cartesio diede questa dimostrazione: se prendiamo una porzione di materia, cioè di res extensa (materia inerte, priva di vitalità), e la frazioniamo, ogni frammento sarà ancora res extensa, e quindi ulteriormante frazionabile, e nuovamente ogni frammento avrà la natura di res extensa. Si dà luogo quindi ad un processo iterativo fino al punto in cui l’uomo non sarà più in grado di macinare la materia in una polvere più fina. Ma tale processo non altera la prerogativa di omnipotenza di Dio, il quale potrà, quindi, seguitare a frazionare la materia fino a renderla fina quanto egli vuole, fino a ridurre la materia ad un continuum privo di particelle inscindibili. E se non sbaglio Cartesio è anche il creatore del dualismo, la divisione dell’essere umano in un corpo materiale fatto di res extensa, e di un’anima (immortale) costituente la res cogitans, la parte spirituale dell’uomo, che dovrà sottoporsi al giudizio divino dopo la morte. Da cui la consuetudine dei tribunali inquisitori, quella di bruciare il corpo per salvare l’anima. Anche se riuscì a salvare la vita, Galileo uscì completamente distrutto dai due processi intentatigli dall’Inquisizione, affranto, indignato e disperato per essere stato oggetto non di una disputa scientifica ma di un indiscriminato assalto alla libertà di pensiero. Finì la sua vita in domicilio coatto, e non finì sul rogo perché fu giudicato inopportuno infierire su un personaggio universalmente amato e famoso. Così,  penso, molti ragazzi come me, legati con innocente ed ingenuo legame alla chiesa, ruppero questo legame e cominciarono a diventare critici sulla condotta storica della chiesa e sul contenuto di quelle che cominciammo a chiamare le “cosiddette” Sacre Scritture, che la chiesa caparbiamente anteponeva ad ogni trattato scientifico. Per noi ragazze e ragazzi cattolici la Bibbia non è mai stata un libro di testo, ma durante le ore di religione e, principalmente, dal pulpito della messa domenicale, le lugubri maledizioni dell’antico Testamento giungevano alle nostre orecchie, scendevano nel nostro animo e creavano una ferita insanabile nella nostra fede in un amore, in una docezza, in una clemenza universale. Alla donna disse:

        “Moltiplicherò
          i tuoi dolori e le tue gravidanze,
          con dolore partorirai figli.
          Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
          ma egli ti dominerà”.

All’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare,

          maledetto sia il suolo per causa tua!
          Con dolore ne trarrai il cibo
          Per tutti i giorni della tua vita.
          Spine e cardi produrrà per te
          E mangerai l’erba campestre.
          Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;
          finché tornerai alla terra,
          perché da essa sei stato tratto:
          polevere tu sei e in polvere tornerai!”.

Al contrario, nell’11mo capoverso del Catechismo di papa Sarto, leggiamo:

    11. Dio può fare anche il male?
     Dio non può fare il male, perché non può volerlo, essendo bontà infinita, ma lo tollera, per lasciar  
     libere le creature, sapendo poi ricavare il bene anche dal male.


Gallileo si difende di fronte all'Inquisizione

C’è indubbiamente una differenza d’intonazione tra il Catechismo e la Bibbia a proposito della tolleranza o dell’intolleranza di Dio nei confronti del male, ma al tempo delle nostre gare in parrocchia nessuno di noi se ne rendeva conto. Oggi, in cui m’illudo di aver raggiunto l’età della ragione, mi sembra che tra Catechismo e Bibbia ci sia un contrasto insanabile. Ho letto diverse tesi sull’origine della Bibbia, e sembra che la sua redazione abbia coperto un periodo che va da un millennio e mezzo prima di Cristo, ad un secolo dopo, comprendendo anche un periodo di tradizione orale. Si afferma che i suoi autori furono 40 o 45, che fu scritta in tre lingue (ebraico, aramaico e greco) in tre continenti (Asia, Africa ed Europa) Una notizia di forte probabilità storica è che Tolomeo terzo abbia ordinato alla Biblioteca di Alessandria, nel terzo secolo avanti Cristo, di effettuarne una traduzione in lingua greca. Cosa che fu eseguita da settanta traduttori in settanta giorni, dando luogo alla “Septuaginta”, ovvero “La 70”. Gli esperti mettono in evidenza la mirabile coerenza delle varie narrazioni, dovute ai vari autori, che si connettono l’un l’altra con perfetta corrispondenza ed attinenza. La Bibbia che sto consultando per scrivere questo articolo, e cioè l’ottava edizione (1988) della “Bibbia di Gerusalemme” pubblicata in lingua italiana dalle Edizioni Dehoniane di Bologna, sin dall’esordio attrbuisce a “fonte sacerdotale” il racconto della “Genesi”, con tutti i suoi significati simbolici, ma la prima cosa che avevo capito sin da piccolo è che ognuno dei sette giorni della creazione rappresentava, in realtà, un’intera epoca. Il Catechismo e la Bibbia sono concordi nell’affermare che Dio creò l’uomo (e tutte le cose) dal nulla, e proprio nel momento in cui sto scrivendo questo articolo giunge la notizia che i laboratori del CERN a Ginevra credono di aver scoperto il “bosone di Higgs”, la particella che creerebbe la massa “dal nulla”. Vedremo se la notizia verrà confermata, confermando altresì una facoltà del Creatore di questo mondo. Ma le discrepanze non tardano ad avvenire: il Catechismo afferma che Dio non ha corpo, ma che è purissimo spirito, mentre la Bibbia afferma che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, e nei versetti successivi sembra che avvenga il contrario, e cioè che Dio si comporti esattamente come l’uomo, in particolare nel preferire la carne della cacciagione e d’allevamento offertagli da Abele, e disprezzando i prodotti vegetali offertigli da Caino. Purtuttavia la primissima citazione della Bibbia sull’alimentazione dell’uomo e di tutti gli animali, nei versetti 1.29-31, è la seguente:

Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra ed ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.

L’esegesi afferma che la Bibbia, quanto meno, sia stata ispirata da Dio, se non scritta espressamente di suo pugno. Io seguo comunque il principio che “ogni cosa detta è stata detta da qualcuno, ed ogni cosa scritta è stata scritta da qualcuno”. E se la Bibbia nelle mie mani è d’origine sacerdotale, qualche sacerdote, in qualche epoca, avrà detto e scritto tali versetti. Il commento della mia Bibbia a tali versetti è il seguente: Immagine in una età dell’oro in cui uomini ed animali vivono in pace nutrendosi di piante. Ma questi versetti sono posti proprio all’inizio del racconto biblico. 


Il bimbo ed il porchetto


Le altre 2.700 pagine della Bibbia, quindi, in pratica, la sua totalità, non sono altro che il racconto della degenerazione dell’uomo il quale, in seguito, non è stato più capace di recuperare l’affetto e la protezione della divinità, anche se questa ha lasciato aperta la via della redenzione. Questo distacco dell’uomo dalla divinità è lamentato in molte religioni e molte leggende, e dà l’idea che nella storia dell’evoluzione umana ci sia stato un evento determinante che, inavvertito nel lento procedere dei tempi, ha assunto dimensioni tali da non poter essere ricacciato e minaccia l’ulteriore esistenza dell’umanità. In miei precedenti articoli sull’alimentazione ho fatto presente che l’uomo non ha, né ha mai posseduto, zanne ed artigli che gli potessero consentire una vita da animale carnivoro. Che con la scoperta del fuoco ha potuto cuocere e rendere commestibili tanti vegetali, come cereali e fagioli, che gli consentivano di abbandonare gli alberi su cui si rifugiava e liberamente scorrazzare per tutto il pianeta, senza rimanere legato ad un particolare habitat. Col fuoco ha potuto anche ingerire la carne degli animali che allevava o cacciava, e con ciò ha creduto di essere diventato anche carnivoro, e quindi, in totale, omnivoro. Ma gli scienziati hanno posto in evidenza che l’apparato digerente dell’uomo è lungo 12 volte il proprio tronco, mentre lo stesso rapporto, in un animale carnivoro, è di solo 3 volte. Quindi l’apparato dell’uomo è 4 volte più lungo di quello di un carnivoro, e gli scienziati, e prima di tutto il premio Nobel Metchnikoff, hanno messo in guardia contro il danno provocato dalla putrefazione della carne durante la digestione umana. Nel corso della mia vita il vertiginoso aumento del consumo di carne, latte e latticini ha portato mali, nella mia infanzia quasi sconosciuti, come l’osteoporosi, il diabete e il cancro, ad assumere proporzioni che minacciano la continuità non solo del genere umano, ma dell’intero pianeta, inquinato non solo dai fumi industriali, ma dai residui e dalle emanazioni degli allevamenti intensivi del bestiame (vedi il libro di Jeremy Rifkin: “Beyond beef: rise and fall of the cattle culture”, “Ecocidio” in italiano e “Das Imperium der Rinder” in tedesco). L’ Homo Sapiens è diventato Homo Inferior quia Necrofagus dal momento che è diventato necrofago, e cioè divoratore di cadaveri putrescenti ed è diventato incapace di volere il bene e rifuggire dal male, perché la sua mente è ottenebrata, ed è assillato dalle esigenze e dalle costrizioni della civiltà moderna, che lo tiene prigioniero in cambio di vantaggi illusori (aumento della durata media della vita). Sant’Agostino (354-430) durante il corso della sua vita divenne dapprima adepto della religione manichea, e poi la confutò per questioni di principio. Ma sapete qual era il decalogo manicheo? Il seguente:

        Non
          1. adorare gli idoli
          2. seguire falsi profeti
          3. eseguire pratiche magiche
          4. essere irriverenti verso gli Eletti
          5. bestemmiare o mentire
          6. macellare animali e bere bevande fermentate
          7. spaventare, ferire e uccidere uomini e animali
          8. sposare più di un coniuge e commettere adulterio
          9. omettere di soccorrere bisognosi ed afflitti
        10. rubare e ingannare

Sant'Agostino



C’è da domandarsi se l’adozione di questo decalogo, a prescindere dal grosso di quella religione, avrebbe potuto cambiare l’andamento evolutivo della specie umana. È comunque da notare che al comandamento n.6, che vieta di mangiare carne ed alcool, si accompagna il comandamento n.7, dal contenuto altamente umanitario, di non spaventare, ferire ed uccidere uomini e animali. È assolutammente vano cercare una risposta a questo quesito, ma questi due comandamenti oggi vieterebbero non solo di mangiare la carne, ma anche di maltrattare gli animali ed utilizzarli per esperimenti di vivisezione. È del pari vano sperare in una riesumazione di questi due comandamenti, e di una loro riedizioni in chiave civile e religiosa? A questo punto invoco un disperato appello alle autorità politiche, ma soprattutto a Joseph Ratzinger, che da questo momento in poi chiamerò Sua Santità Benedetto XVI. Per mia esperienza personale affermo che i bambini sentono istintivo affetto e rispetto per la chiesa e i sacerdoti. Il mio cordiale, affettuoso rapporto con le monache di Cesano e con il parroco don Pietro ed il suo vice don Idelmo di Maccarese costituiscono parti integranti del ricordo della mia gioventù. Ma c’è un affetto cosmico e travolgente che va valutato come la prova provata definitiva della natura non carnivora della specie umana, ed è l’amore, l’irresistibile attrazione dei bambini verso gli animali d’ogni genere, anche quelli che maggiormente si distaccano dall’archetipo di peluche. Evidentemente l’assassinio degli animali da parte dell’uomo non è frutto di un patrimonio ereditario, l’istinto dei bambini esclude questa ipotesi. Esso è frutto di caratteri acquisiti attraverso un’errata educazione. Sono pronto a giurare su questa ipotesi. Un paio di settimane fa in tutto il mondo è stata propalata la notizia di una strage di cani in Ucraina. Sotto questo titolo (“Strage di cani in Ucraina”) su internet è possibile osservare documentari in cui i cadaveri di queste povere bestioline, abbandonati sui marciapiedi e sui vialetti dei giardini, venivano vegliati dai bambini, che si chinavano per carezzarli, sperando con ciò di riportarli in vita. Forte delle seguenti prove: mancanza di zanne ed artigli, lunghezza dell’intestino che determina la putrefazione della carne durante la digestione, ma soprattutto l’amore istintivo dei bambini verso gli animali, propongo a tutti di aggiungere alla propria religione l’undicesimo comandamento, l’unico della dottrina neoterica (innovativa):

L’uomo è il fratello maggiore degli animali: li ama, li rispetta e li protegge.

Heidi ed il suo cane

(Tutte le foto Bing Google di dominio pubblico. Click per ingrandire)