lunedì 3 giugno 2013

CHINA STUDY: 1a parte

Di Colin e Thomas Campbell

Visione della Cina rurale

Cari lettori, vi devo confidare un segreto: voglio diventare l’uomo più longevo di questa Terra. Tanti anni fa mi accorsi di essere diventato immune ad ogni tipo di malanno, malessere, indisposizione…d’ogni genere. Ovviamente, uno non si può accorgere immediatamente di essere diventato immune, solo dopo qualche anno noterà di non aver più preso l’influenza, e neanche il raffreddore, il mal di testa, la nausea ed altri inconvenienti di qualsiasi tipo. Facendo ricerche assieme a mia moglie, abbiamo convenuto che la mia fortunata trasformazione era avvenuta intorno alla data del nostro matrimonio, e quindi dura da 58 anni. Ad un certo punto, quasi inevitabilmente, divenni vegetariano assoluto, cioè di quelli che non si proclamano vegetariani per poi rimpinzarsi di caciotte, parmigiano, mozzarelle e zabaioni. E tra le cose cui diedi un addio, quella che mi è costata un vero sacrificio, furono i mezzi litri di latte che tenevo in frigorifero e mandavo giù come fossero champagne. Fu una decisione, eminentemente dettata dalla pietà per gli animali. Ma presto le diedi una interpretazione scientifica per via assiomatica: il progenitore dell’essere umano non aveva un rostro al posto della bocca, non aveva artigli al posto delle unghie, e non aveva zanne al posto dei denti, ed oltre a non essere in grado di combattere contro gli altri animali, scappava di fronte ad una chioccia indispettita se troppo si avvicinava alla sua nidiata di pulcini. Come confermano gli scienziati, il progenitore dell’uomo trovava rifugio sugli alberi, ove si nutriva di frutta, foglie, fiori e noci. Dopo qualche milione d’anni, il progenitore dell’uomo scoprì il fuoco ed il suo uso, ed imparò a rendere commestibili, previa cottura, il grano e tutti i cereali, fagioli e ceci e tutte le leguminose. Dall’altra parte del mondo l’uomo imparò a cuocere la cassava, che cruda è velenosa per via dell’acido prussico, e ne fece, sotto forma di manioca e tapioca, quello che ancor oggi è, forse, il singolo alimento più diffuso al mondo. Il progenitore dell’uomo poteva così abbandonare gli alberi e muoversi per ogni dove, ed imparò anche che, invece di aspettare che maturassero le sue aleatorie piantagioni, con la sua furbizia e con gli strumenti che aveva imparato a costruire, poteva ammazzare qualche animale ed arrostirlo. L’idea sembrava tanto buona che la Bibbia imponeva ai fedeli di offrire a Dio frequenti sacrifici di animali immolati sui loro altari, che erano liturgici mattatoi schizzati di sangue, e spandere nell’aria il profumo che era maggiormente gradito alla divinità, quello del grasso arrostito su un fuoco a legna. Con ciò l’uomo si era trasformato in un animale carnivoro? Manco per sogno: da più di un secolo si sa che il dotto digestivo dell’essere umano, rispetto al proprio diametro, è quattro volte più lungo di quello degli animali carnivori. Come affermò Ilya Mechnikov, premio Nobel 1908, durante questa lunga digestione la carne va in putrefazione ed avvelena l’organismo. Questa è la causa di tutte le malattie. Ciò bastò per formulare il mio assioma: l’alimentazione umana è vegetale. Rendendo inutile il libro che sto per presentarvi? Giammai! Io avevo più volte espresso la convinzione che, nutrendosi solamente di vegetali, l’uomo poteva evitare ogni malattia. I dottori T. Colin Campbell e Thomas M. Campbell Junior, padre e figlio, muovendosi con astuta buona grazia tra i comitati assegnatari di sovvenzioni per la ricerca, nel corso di una trentina d’anni hanno studiato con indefessa e sagace pazienza ogni tipo di male, in primis le cardiopatie, il cancro, il diabete, una vasta schiera di malattie autoimmuni, l’obesità, l’osteoporosi…Ciò in ogni parte del mondo, e il loro libro prende il nome di “China
Edizione italiana di China Study









Study" proprio per l’aiuto determinante fornito dal governo cinese, rendendo possibile un’indagine epidemiologica senza precedenti nella storia. Le ricerche scientifiche si possono denominare in vitro, se vengono eseguite in laboratorio, in corpore se si effettuano sui malati, e populatim, se si effettuano su intere popolazioni, nel qual caso sono vere e proprie ricerche epidemiologiche. Il risultato di tutte queste ricerche fu che ogni male trae origine dall’ingestione di alimenti d’origine animale. Che ogni male può essere bloccato e fatto regredire adottando un’alimentazione totalmente vegetale. La mia pretesa di essere un antesignano dell’alimentazione vegetale impallidisce di fronte al fatto che i dottori Campbell non hanno enunciato un assioma, ma hanno sperimentato e individuato la cura per ogni tipo di male, liberando il mondo dalla maledizione di dover assistere impotenti alla scarnificazione della propria madre, della moglie, della figlia adorata, di tutti i parenti, degli amici con cui si giocava a pallone, dei compagni di scuola, delle ragazze che si corteggiavano…”China Study” dei Campbell padre e figlio costituisce l’evento più importante di tutta la storia del mondo dall’istante della sua creazione. Contro di esso è schierata la mafia mondiale dell’alimentazione e della medicina, i cui mezzi a disposizione sono infiniti. Il mondo non viene scosso dalla pubblicazione di questo libro, che si vuole sopprimere ignorandolo. Di questo libro si parla come di un bestseller mondiale, ma, se non sono cresciute nel frattempo, internet parla di 500.000 copie vendute in USA, e sono poche. Anche in Italia il libro è stato salutato come un bestseller mondiale, ma credo che nessun medico l’abbia letto. Se l’editore italiano, il Gruppo Editoriale Macro di Cesena, non si opporrà, ho intenzione di pubblicare, a piccoli brani, l’intera opera, diluita in una infinità di puntate, su cui potremo anche discutere. Se non riusciremo a salvare l’ “homo sapiens sapiens” prepariamo comunque il terreno all’ “homo neotericus” destinato a subentrargli. Ma, innanzitutto, ascoltate il mio appello: REGALATE UNA COPIA DI “CHINA STUDY” AL VOSTRO MEDICO. (Marino Mariani) 

China Study: Introduzione (Colin e Thomas Campbell)
Pur avendo dedicato tutta la mia vita lavorativa alla ricerca sperimentale sull'alimentazione e la salute, la fame di informazioni nutrizionali riscontrabile nella gente non finisce mai di stupirmi. I libri sulle diete sono costantemente in cima alle classifiche di vendita; non c'è praticamente rivista popolare che non dispensi consigli dietetici, mentre i quotidiani pubblicano regolarmente articoli sull'argomento e nei

Visione della Cina rurale
programmi radiotelevisivi si parla in continuazione di alimentazione e salute. Dato il bombardamento di informazioni, siete sicuri di sapere che cosa dovreste fare per migliorare il vostro stato di salute? È consigliabile acquistare alimenti provvisti di etichetta biologica per evitare l'esposizione ai pesticidi? Le sostanze chimiche ambientali sono una delle cause principali del cancro? Oppure la vostra salute è "predeterminata" dai geni che avete ereditato alla nascita? È vero che i carboidrati fanno ingrassare? Dovreste stare più attenti alla quantità totale di grassi che ingerite o preoccuparvi solo dei grassi saturi e dei grassi trans? Quali vitamine è meglio assumere, ammesso che sia necessario prenderle? Comprate cibi a cui sono state aggiunte fibre? Sarebbe opportuno mangiare pesce, e se sì con quale frequenza? Il consumo di alimenti a base di soia previene le cardiopatie? La mia ipotesi è che non siate veramente sicuri delle risposte a queste domande. In tal caso sappiate di non essere i soli: malgrado l'abbondanza di informazioni e opinioni, pochissime persone sanno davvero che cosa dovrebbero fare per migliorare la loro salute. Questo non dipende dalla mancanza di ricerca. Le ricerche sono state fatte, disponiamo di un'enorme quantità di informazioni sui legami fra alimentazione e salute, ma la vera scienza è stata sepolta sotto un cumulo di informazioni irrilevanti, se non addirittura dannose: la scienza spazzatura, le diete di moda e la propaganda dell'industria alimentare. Voglio cambiare questa situazione. Voglio fornirvi un nuovo quadro di riferimento per capire l'alimentazione e la salute, una struttura che elimini la confusione, prevenga e curi le malattie e vi consenta di vivere una vita più appagante. Sono stato "nel sistema" per quasi cinquant'anni, ai massimi livelli, e ho ideato e diretto grandi progetti di ricerca, decidendo quali ricerche dovessero essere finanziate e trasferendo un'infinità di risultati di ricerche scientifiche nei rapporti di commissioni nazionali di esperti. Dopo una lunga carriera nell'ambito della ricerca e dell'elaborazione delle politiche, ora capisco perché gli americani sono così confusi. Come contribuenti che pagano le tasse per la ricerca e la politica sanitaria in America, avete il diritto di sapere che molte delle nozioni comuni che vi sono state trasmesse sul cibo, la salute e la malattia sono sbagliate.

Per quanto problematiche, le sostanze chimiche presenti nell'ambiente e nel vostro cibo non sono la causa principale del cancro. 
I geni che avete ereditato dai vostri genitori non sono il fattore più importante che determina se sarete vittime di una delle dieci principali cause di morte. 
La speranza che la ricerca genetica possa portare a cure farmaceutiche per le malattie ignora le soluzioni più efficaci che possono essere messe in atto oggi.  
Il controllo ossessivo dell'assunzione di una sostanza nutritiva, come ad esempio i carboidrati, i grassi, il colesterolo o gli acidi grassi omega-3, non darà come risultato una salute a lungo termine. 
Le vitamine e gli integratori alimentari non vi forniranno una protezione a lungo termine dalle malattie. 
I medicinali e la chirurgia non sono in grado di curare le malattie che uccidono la maggior parte degli americani.  
Probabilmente il vostro medico non sa di che cosa avete bisogno per ottenere il miglior stato di salute possibile. 

Quella che propongo non è niente di meno che la ridefinizione della nostra concezione di buona alimentazione. I risultati provocatori dei miei quarant'anni di ricerca biomedica, comprese le scoperte risultanti da un programma di laboratorio della durata di ventisette anni (sovvenzionato dalle più rispettabili agenzie di finanziamento), dimostrano che una dieta corretta può salvarvi la vita. A differenza di taluni autori popolari, non vi chiederò di credere a conclusioni basate sulle mie personali osservazioni. Questo libro contiene più di 750 rimandi bibliografici, che sono per la maggior parte fonti primarie di informazione, fra cui centinaia di pubblicazioni scientifiche di altri ricercatori che indicano la via da seguire per ridurre il cancro, le cardiopatie, gli ictus, l'obesità, il diabete, le malattie autoimmuni, l'osteoporosi, il morbo di Alzheimer, i calcoli renali e la cecità. Alcune scoperte, pubblicate nelle riviste scientifiche più prestigiose, dimostrano che: 

un cambio di alimentazione può permettere ai pazienti diabetici di sospendere l'assunzione di farmaci; 

una cardiopatia può essere fatta regredire con la sola dieta; 
il cancro al seno è in relazione con i livelli di ormoni femminili nel sangue, a loro volta determinati dal cibo che mangiamo; 
il consumo di latticini può aumentare il rischio di cancro alla prostata;
gli antiossidanti presenti nella frutta e nella verdura sono collegati a migliori prestazioni intellettuali nella vecchiaia; 
è possibile prevenire i calcoli renali con una dieta sana; 
il diabete di tipo 1, una delle malattie più devastanti che possano colpire un bambino, presenta evidenti correlazioni con le pratiche di alimentazione infantile. 

Visione della Cina rurale
Queste scoperte dimostrano che una buona dieta è l’arma più potente di cui disponiamo contro la malattia. La comprensione di questa prova scientifica non è solo importante per migliorare la salute, ma ha anche profonde implicazioni per tutta la nostra società. Dobbiamo sapere perché nella nostra società domina la disinformazione e per quale motivo compiamo errori grossolani nelle nostre ricerche in ambito di dieta e malattia, come pure nel modo in cui promuoviamo la salute e curiamo la malattia. Da qualunque punto di vista la si consideri, la salute degli americani sta venendo meno. La nostra spesa pro capite in assistenza sanitaria è di gran lunga superiore a quella di qualsiasi altra società nel mondo, eppure due terzi degli americani sono sovrappeso, e più di quindici milioni di nostri connazionali soffrono di diabete, una cifra in rapido aumento. Siamo afflitti dalle cardiopatie con la stessa frequenza di trent’anni fa, e la guerra al cancro lanciata negli anni Settanta del Novecento si è rivelata un insuccesso clamoroso. Metà della popolazione americana ha un problema di salute che richiede l’assunzione una volta alla settimana di un farmaco prescritto dal medico, e più di cento milioni di statunitensi hanno il colesterolo alto. A peggiorare le cose, stiamo conducendo i nostri giovani verso un baratro di malattia, di cui cadono vittime in sempre più tenera età. Un terzo dei bambini di questo paese è sovrappeso o a rischio di diventarlo. I nostri piccoli sono afflitti con sempre maggior frequenza da una forma di diabete che un tempo veniva riscontrata solo negli adulti, e assumono più farmaci con obbligo di ricetta di quanto sia mai successo nel passato. Tutti questi problemi si riducono a tre fattori: colazione, pranzo e cena. Più di quarant’anni fa, agli inizi della mia carriera, non avrei mai pensato che il cibo fosse così intimamente collegato ai problemi di salute. Per anni non mi sono domandato più di tanto quali fossero gli alimenti migliori da consumare. Mangiavo quello che mangiavano tutti: il cibo che mi era sempre stato presentato come buono. Noi tutti mangiamo le cose che ci piacciono o che ci convengono o quelle che i nostri genitori ci hanno insegnato a preferire. La maggior parte di noi vive all’interno di confini culturali che definiscono le nostre preferenze e abitudini in termini di alimentazione. Lo stesso valeva anche per me. Sono cresciuto in una fattoria dove si producevano principalmente latticini, e la nostra esistenza ruotava intorno al latte. A scuola ci dicevano che il latte vaccino rende forti e sani i denti e le ossa. Era il cibo più perfetto che la natura avesse da offrirci. Nella nostra fattoria ci nutrivamo quasi esclusivamente dei prodotti dell’orto e dell’allevamento. Nella mia famiglia sono stato il primo ad andare all’università. Ho seguito il corso introduttivo alla medicina veterinaria alla Penn State e poi ho frequentato per un anno la facoltà di veterinaria presso l’Università della Georgia, dopodiché la Cornell University mi ha offerto una borsa di studio per un dottorato di ricerca in “nutrizione animale”. Mi ci sono trasferito, in parte perché sarebbero stati loro a pagarmi per andare a scuola e non viceversa, e lì ho preso una laurea di secondo grado. Sono stato l’ultimo studente a laurearsi con il professor Clive McCay, un docente della Cornell famoso per aver prolungato le vite dei ratti somministrando loro molto meno cibo di quanto avrebbero mangiato normalmente. Il mio dottorato di ricerca alla Cornell era incentrato sulla scoperta di metodi migliori per far crescere più in fretta le mucche e le pecore. Cercavo di apportare miglioramenti alla nostra capacità di produrre proteine animali, il fondamento di quella che mi era stata presentata come “buona alimentazione”. Mi accingevo a promuovere una salute migliore perorando il consumo di una maggiore quantità di carne, latte e uova. Era un’ovvia conseguenza della mia vita alla fattoria ed ero felice di credere che la dieta americana fosse la migliore del mondo. Nel corso di quegli anni di formazione mi sono imbattuto in un tema ricorrente: ritenevamo di mangiare i cibi giusti, soprattutto abbondanti dosi di proteine animali di alta qualità. Ho passato gran parte della prima fase della mia carriera a lavorare con due delle sostanze chimiche più tossiche mai scoperte, la diossina e l’aflatossina. In un primo tempo ho lavorato al MIT, dove mi è stato assegnato un difficile problema relativo al mangime per polli. Milioni di pulcini morivano ogni anno a causa di una sconosciuta sostanza chimica tossica presente nel loro mangime, e io avevo il compito di isolare quella sostanza e determinarne la struttura. Dopo due anni e mezzo, ho contribuito alla scoperta della diossina, probabilmente la sostanza chimica più velenosa mai individuata finora. Da allora questa sostanza è stata oggetto di grande attenzione, soprattutto perché era una componente del diserbante 2,4,5-T o Agente Arancio, usato all’epoca per defogliare le foreste durante la guerra del Vietnam. Dopo aver lasciato il MIT e aver assunto un incarico al Virginia Tech, ho cominciato a coordinare l’assistenza tecnica per un progetto su scala nazionale nelle Filippine condotto su bambini malnutriti. Parte del progetto si è trasformata in un’indagine sull’insolita incidenza nei bambini filippini di cancro al fegato, una patologia che di solito interessa i soggetti adulti. Si pensava che la causa del problema fosse un elevato consumo di aflatossina, una micotossina riscontrata nelle arachidi e nel frumento. L’aflatossina veniva definita come uno dei più potenti carcinogeni mai scoperti. Per dieci anni il nostro obiettivo principale nelle Filippine è stato migliorare la malnutrizione infantile fra i poveri, un progetto finanziato dall’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale. Alla fine

Visione della Cina rurale
abbiamo fondato circa centodieci centri educativi di “autoaiuto” in tutto il paese. Lo scopo di quell’impegno nelle Filippine era semplice: assicurarsi che i bambini ottenessero quante più proteine possibile. Era opinione corrente che gran parte della malnutrizione infantile fosse causata da una carenza di proteine, in particolare di quelle presenti nei cibi di origine animale. Le università e i governi di tutto il mondo erano all’opera per attenuare quello che veniva percepito come un “gap proteico” nei paesi in via di sviluppo. Tuttavia lavorando a quel progetto ho scoperto un oscuro segreto: i bambini la cui dieta era più ricca di proteine erano quelli che avevano la maggior probabilità di ammalarsi di cancro al fegato! Erano i bambini delle famiglie più benestanti. Mi sono poi imbattuto in un rapporto di ricerca proveniente dall’India che presentava alcune scoperte rilevanti e davvero provocatorie. I ricercatori indiani avevano studiato due gruppi di ratti. A un gruppo avevano somministrato l’aflatossina cancerogena e l’avevano poi sottoposto a una dieta composta per il 20% da proteine, un livello analogo a quello consumato da molti di noi in Occidente. All’altro gruppo era stata somministrata la stessa quantità di aflatossina, ma la dieta a cui era stato sottoposto era costituita da proteine solo per il 5%. Incredibilmente, ognuno degli animali che avevano seguito la dieta con il 20% di proteine presentava un cancro al fegato, mentre ognuno di quelli la cui alimentazione era composta per il 5% da proteine non si era ammalato di quel tumore. Era un punteggio di 100 a 0 che non lasciava alcun dubbio sul fatto che nel controllo del cancro l’alimentazione ha la meglio sui carcinogeni chimici, anche se molto potenti. Queste informazioni erano in contrasto con tutto quello che mi era stato insegnato. Era un’eresia affermare che le proteine non facessero bene alla salute, per non parlare poi del fatto che favorissero il cancro. Quello è stato un momento di svolta nella mia carriera. Mettermi a indagare su una questione così provocatoria in quella fase del mio percorso professionale non era una scelta molto saggia. Ponendo in discussione le proteine e i cibi di origine animale avrei corso il rischio di essere bollato come eretico, anche se le mie ipotesi avessero passato il test che le definiva “buona scienza”. Ma non mi è mai piaciuto seguire una direzione tanto per farlo. Quando ho imparato per la prima volta a guidare un branco di cavalli o a radunare il bestiame, ad andare a caccia di animali, a pescare nel nostro torrente o a lavorare nei campi, ho accettato che il pensiero indipendente facesse parte del gioco. Doveva essere così. Affrontare problemi sul campo significava che dovevo immaginare la mia prossima mossa. È stata una grande scuola di vita, come qualsiasi ragazzo cresciuto in una fattoria può confermarvi. Quel senso di indipendenza mi accompagna tuttora. Così, trovandomi di fronte a una decisione difficile, ho scelto di iniziare con un approfondito programma di laboratorio che avrebbe analizzato il ruolo dell’alimentazione, e soprattutto delle proteine, nello sviluppo del cancro. I miei colleghi e io eravamo cauti nel formulare le nostre ipotesi, rigorosi nella metodologia e prudenti nell’interpretazione delle scoperte. Avevo scelto di compiere quella ricerca a un livello scientifico molto basilare, studiando i dettagli biochimici della formazione del cancro. Era importante capire non solo se ma anche come le proteine potessero favorire il cancro. Era la situazione migliore. Seguendo scrupolosamente le regole della buona scienza, avevo la possibilità di studiare un argomento stimolante senza suscitare le classiche reazioni alle idee radicali. Quella ricerca finì per essere ben sovvenzionata per ventisette anni dalle fonti di finanziamento più rinomate e competitive, prevalentemente dagli Istituti nazionali di sanità (National institutes of Health, NIH), dall’Associazione americana per la lotta contro i tumori (American Cancer Society) e dall’Istituto americano per la ricerca sul cancro (American Institute for Cancer Research). Poi i nostri risultati furono sottoposti a revisione (una seconda volta) per essere pubblicati su molte fra le migliori riviste scientifiche. Quello che avevamo scoperto era scioccante: le diete a basso contenuto di proteine inibivano la formazione del cancro da parte dell’aflatossina, indipendentemente dalla quantità di questo carcinogeno somministrata agli animali. Una volta completata la formazione del cancro, le diete a basso contenuto proteico bloccavano sensibilmente anche la successiva crescita del tumore. In altre parole, gli effetti cancerogeni di quella sostanza chimica altamente carcinogena venivano resi irrilevanti da una dieta a basso contenuto proteico. Di fatto, le proteine alimentari si sono rivelate così potenti nei loro effetti da permetterci di attivare e bloccare la crescita del cancro semplicemente modificandone il livello di assunzione. Inoltre, le quantità di proteine somministrate con il cibo corrispondevano a quelle che noi esseri umani consumiamo abitualmente. Non ne abbiamo utilizzati livelli straordinari come avviene così di frequente negli studi sui carcinogeni. Ma non è tutto: abbiamo anche scoperto che non tutte le proteine avevano quell’effetto. Quali sono le proteine che favoriscono sempre e in grande misura il cancro? La caseina, che costituisce l’87% delle proteine del latte vaccino, favoriva tutti gli stadi del processo tumorale. Quale tipo di proteina non favoriva il cancro, perfino se assunta in dosi elevate? Le proteine sane erano quelle vegetali, comprese quelle del frumento e della soia. Man mano che si faceva nitido, questo quadro cominciava a mettere in discussione e a mandare in frantumi alcune delle supposizioni alle quali ero più affezionato. Quegli studi sperimentali sugli animali non si sono fermati lì: ho proseguito dirigendo lo studio più completo su dieta, stile di vita e malattia mai effettuato sugli esseri umani nella storia della ricerca biomedica. Si è trattato di un’impresa imponente, sotto la gestione congiunta della Cornell University, dell’Università di Oxford e dell’Accademia cinese di medicina preventiva. Il New York Times l’ha definito il “Grand Prix dell’epidemiologia”. Questo progetto ha preso in esame un’ampia gamma di malattie e fattori legati all’alimentazione e allo stile di vita nella Cina rurale e, più di recente, a Taiwan. Più comunemente noto come lo “studio Cina” (The China Study), il progetto ha finito per produrre più di 8.000 associazioni statisticamente significative fra vari fattori dietetici e le malattie! Ciò che lo rende particolarmente degno di nota è il fatto che, fra le numerose associazioni relative al rapporto fra dieta e malattia, moltissime giungevano alla medesima conclusione: i soggetti che si nutrivano prevalentemente di cibi di origine animale erano quelli che si ammalavano delle patologie più croniche. Perfino le assunzioni

Piatto vegetale del Punjab

relativamente ridotte di alimenti animali erano associate a effetti sfavorevoli. Le persone che mangiavano le maggiori quantità di cibi vegetali erano le più sane e tendevano a evitare le malattie croniche. Questi risultati non potevano essere ignorati. Dai primi studi sperimentali condotti su animali a proposito degli effetti delle proteine animali a questo imponente studio sui modelli alimentari di soggetti umani, le scoperte si sono dimostrate coerenti. Le implicazioni per la salute a seconda del consumo di alimenti animali o vegetali erano sostanzialmente diverse. Per quanto impressionanti, non potevo basarmi esclusivamente sui risultati dei nostri studi effettuati sugli animali e sul vasto studio condotto in Cina, e ho quindi cercato le scoperte di altri ricercatori e clinici, che si erano rivelate fra quelle più entusiasmanti degli ultimi cinquant’anni. Quelle scoperte, che costituiscono l’argomento della II parte di questo libro, dimostrano che le cardiopatie, il diabete e l’obesità possono essere fatti regredire mediante una dieta sana. Da altre ricerche emerge che varie forme di cancro, le malattie autoimmuni, la salute delle ossa e dei reni, i disturbi visivi e cerebrali in età avanzata (come la disfunzione cognitiva e il morbo di Alzheimer) sono sensibilmente influenzati dall’alimentazione. Ma la cosa più importante è che la dieta che si è ripetutamente dimostrata in grado di far retrocedere e/o prevenire queste malattie è la stessa dieta a base di cibi naturali e vegetali che nelle mie ricerche di laboratorio e nello “Studio Cina” è risultata capace di favorire la salute ottimale. I risultati sono coerenti. E tuttavia, nonostante il potere di queste informazioni, nonostante la speranza che generano e nonostante l’urgente bisogno di questo modo di intendere la nutrizione e la salute, la gente è tuttora confusa. Ho amici con cardiopatie che sono rassegnati e avviliti di essere alla mercé di quella che considerano una patologia inevitabile. Ho parlato con donne talmente terrorizzate dal cancro alla mammella che sarebbero disposte a farsi asportare chirurgicamente il seno, e perfino quello delle loro figlie, se questo fosse l’unico metodo per ridurre al minimo il rischio. Tante sono le persone da me incontrate che sono state indotte a seguire un percorso di malattia, sconforto e confusione riguardo alla loro salute e al modo in cui proteggerla. Gli americani sono confusi, e vi dirò il perché. La risposta, illustrata nella IV parte, ha a che fare con le modalità di generazione e comunicazione delle informazioni sulla salute e con chi controlla tali attività. Essendo stato così a lungo dietro le quinte a produrre le informazioni sulla salute, ho visto che cosa accade in realtà e sono pronto a raccontare al mondo che cosa non va in questo sistema. Le linee di demarcazione fra governo, industria, scienza e medicina sono diventate indistinte, come pure quelle fra il perseguimento del profitto e la promozione della salute. I problemi connessi al sistema non si presentano sotto le forme di corruzione che siamo abituati a vedere nei film hollywoodiani. I problemi sono molto più sottili, e tuttavia molto più pericolosi. Ne risulta un’enorme disinformazione, per cui i consumatori medi americani pagano due volte: da un lato versano le tasse per la ricerca e dall’altro forniscono il denaro affinché l’assistenza sanitaria curi malattie che potrebbero essere ampiamente evitate. Questa storia, che ha inizio dal mio personale retroterra e culmina in una nuova concezione dell’alimentazione e della salute, è il tema di questo libro. Sei anni fa ho organizzato e condotto un corso facoltativo chiamato “Alimentazione vegetariana”. È stato il primo corso di questo genere in un campus universitario americano e ha riscosso molto più successo di quanto potessi immaginare. Il corso si concentra sul valore in termini di salute di una dieta a base vegetale. Dopo aver lavorato al MIT e al Virginia Tech ed essere ritornato alla Cornell University trent’anni fa, mi è stato affidato il compito di integrare i concetti e i principi della chimica, della biochimica, della fisiologia e della tossicologia in un corso di alto livello in alimentazione. Dopo essermi occupato per quattro decenni di ricerca scientifica, istruzione ed elaborazione delle politiche ai massimi livelli nella nostra società, ora sento di poter integrare adeguatamente queste discipline in una storia convincente. È quanto ho fatto per i miei corsi più recenti, e molti studenti mi hanno riferito che la loro vita è cambiata in meglio al termine del semestre. È ciò che intendo fare per voi, e spero che anche la vostra vita subirà una trasformazione positiva. (Seguita).
Colin e Thomas Campbell

giovedì 30 maggio 2013

L'Appassionata e le piccole Imperatrici

Di Marino Mariani

Moderna Musa di Tony Morton

Sono immerso nel mondo musicale, in particolare pianistico, sin dalla nascita, e forse anche prima. Infatti nonna Adele mi raccontava che, quand’era incinta di me, mia madre studiava il piano sei ore al giorno, e qualcuno sostiene che in futuri bambini, dalla pancia della mamma, sentono tutto. Il cavallo di battaglia di mia madre era la Ballata n.1 op.23 di Chopin, ed io, se dicessi che la ricordo nota per nota, rimarrei molto al di sotto della realtà. Ogni volta che la sento, “rivivo” ogni sobbalzo di mia madre sul seggiolino, ogni contrazione muscolare, lo slancio con cui si avventava nell’interminabile sequenza finale di ottave che noi, in famiglia, chiamavamo “la risata”. Non ho fatto una carriera musicale semplicemente perché, da bambino, vivevo nella musica, anzi “convivevo” con la musica, ma non l’amavo, e fui ben lieto quando, entrato in ginnasio dopo le elementari, mi liberarono dall’obbligo di studiare il pianoforte. Naturalmente, da grande, sorse il rimpianto…Ma. tanto per contenere questo racconto nelle giuste dimensioni di un articolo di giornale e tenendo pur conto che questo giornale ha per scopo quello della grande orologeria e non quello della musica classica, facciamo un saltino di mezzo secolo…abbondante. Ci fu, nella mia vita, un’improvvisa, inaspettata rinascita allorché, qualche anno fa, volli far ascoltare ad un mio amico la “Campanella” di Paganini-Liszt da me scaricata da internet, nell’esecuzione di Arturo Benedetti Michelangeli. 

Sconfinati orizzonti 
Lì per lì non la ritrovai, e quindi seguitai la ricerca su YouTube, ove inaspettatamente mi sono imbattuto in una Campanella suonata nientemeno che da Ferruccio Busoni, il mostruoso pianista italiano morto nel 1924. Mi aspettavo una registrazione arcaica del suono, ed invece mi trovai di fronte ad una fantasmagoria musicale strepitosa e scintillante. Rimasi stupito, ma poi capii che si trattava non di un’incisione discografica, ma di un rullo perforato per pianoforti automatici Welde Mignon. Nel frattempo il cursore s’era fermato su una Campanella suonata da Valentina Lisitsa. E così conobbi per la prima volta questa prodigiosa ed avvenente pianista ukraina. Ancora mi domando come mai né io né i mei amici non l’avessimo mai sentita prima d’ora. Ma presi atto del fatto che la lettura delle recensioni dei dischi, ed anche dell’annuario della Penguin Book, era diventato completamente inutile, e che la vera ricerca andava fatta su YouTube, il luogo del Web in cui si trova anche l’introvabile. Anzi, specie l’introvabile: poco fa, senza nessuna speranza, ho cercato il nome di Carlo Zecchi, ed ecco spuntare una manciata di sue registrazioni degli anni trenta e quaranta, cioè del periodo in cui tutti gli amanti di musica pianistica lo sentivano suonare nei concerti ed alla radio, e lo reputavano il rivale più accreditato di Arturo Benedetti Michelangeli. Poi sparì dalla circolazione, e si sussurrava che avesse avuto un incidente che gli aveva fatto perdere l’uso di una mano o di tutte e due. E circolava anche la voce che stava benissimo, ma per riscuotere un’ingente assicurazione… Tutte voci, ma comunque, col tempo la gente si domandò se Carlo Zecchi era veramente esistito o se ce l’eravamo sognato. Non era un sogno: Lo ricordavamo come l’esecutore principe delle sonate di Domenico Scarlatti. E puntuale YouTube, con una qualità del suono incredibilmente buona, fa risorgere Carlo Zecchi, e non solo lui. Non conosco (ancora) i meccanismi del funzionamento di YouTube: chi gli manda tutto questo patrimonio musicale, e quanto durerà, prima che i pezzi che abbiamo registrato svaniranno senza preavviso? Nessun collezionista, nessun ricercatore ha a disposizione tanti brani musicali, alcuni rarissimi, alcuni giudicati inesistenti, quanti ne fornisce YouTube. Quello che sto scrivendo adesso riflette timori, esitazioni e perplessità degli anni passati, quando YouTube, per non ledere gli interessi dei discografici, trasmetteva brani della durata limitata a 10 minuti, e quindi non opere e sinfonie, ma solo frazioni di esse, che andavano ricostruite i base a perigliose operazioni di cucitura, la creazione di playlist. Poi la durata massima fu portata a 15 minuti, e tutt’a un tratto…all’infinito! Il navigatore di oggi si trova di fronte ad un universo musicale senza dimensioni misurabili: dalle dieci mirabili registrazioni della voce di Enrico Caruso effettuate l’11 aprile a Milano 1902, in una sala del Grand Hotel Spatz, da Fred Gaisberg per conto della Gramophone and Typewriter Company, ai più recenti fasti e nefasti musicali. Ebbene, ho quindi scoperto il filone delle piccole pianiste, spesso giapponesi e cinesi che, all’età in cui uno se le porta a cavalluccio sulle spalle, suonavano come…Busoni, Paderewski. Rachmaninoff!

Aimi Kobayashi suona l'Appassionata sullo Steinway della Philia Hall

Aimi Kobayashi 
Tra esse, la figura predominante era quella di Aimi Kobayashi, di Ube, prefettura di Yamaguchi (Giappone) un batuffolino alto alcuni centimetri, che si arrampicava a fatica su un seggiolino munito di pantografo che la portava all’altezza della tastiera dello Steinway, e poggiava i piedi su una cassetta di congegni che gli permettevano di agire sui pedali. Ebbene, all’età di tre anni eseguiva senza esitazioni una composizioncina giapponese ed uno studio di Bela Bartok della durata di pochi secondi. Le sue biografie affermano che la bambina fu introdotta allo studio del pianoforte all’età di tre anni: ma se a quella stessa età suonava in concerto, quando aveva trovato il tempo di studiare? Il mistero insolubile aveva una facile spiegazione: un spettatore di quelli che inviano commenti ai brani trasmessi su YouTube, spiegò che queste bambine sono la reincarnazione dei grandi autori del passato: Chopin, Beethoven, Schubert, Scarlatti,,,! Che sciocco, non ci avevo pensato. Ebbene, Aimi Kobayashi, che ora si avvia a compiere i 18 anni, all’età di cinque anni figura su YouTube per la sua esecuzione delle sei variazioni di Beethoven sul tema della Bella Molinara di Paisiello “Nel cor più non mi sento”. Infiniti pianisti e pianistoni hanno eseguito questo pezzo, ognuno condendolo con quel tipo di autocompiacimento che in lingua italiana si esprime con la parola “birignao”. L’esecuzione della piccola Aimi è assolutamente esente da ogni accenno di “birignao”. A sette anni ella esegue in maniera mirabile l’Improvviso op.90 n.2, che costituiva l’orgoglio della mia collezione, avendolo nell’esecuzione di Dinu Lipatti. Ebbene, Aimi lo batte per decisione e qualità del tocco, ed a questo punto non ho avuto più alcun dubbio che Aimi Kobayashi, già a quell’età appartenesse alla categoria di “migliore del mondo”, ove siede al fianco dei maggiori di tutti i tempi. Aimi Kobayashi, negli anni successivi, ha fatto più volte il giro del mondo invitata dalle maggiori istituzioni concertistiche, a cominciare dalla Carnegie Hall di New York, ed ha partecipato ad infiniti concorsi internazionali. Finalmente, due anni fa, e cioè all’età di sedici anni, Aimi Kobayashi ha eseguito un recital alla Philia Hall di Yokohama, una sala acusticamente allestita come una delle più avanzate del mondo, in cui ha eseguito la sonata n.23, op. 57 in fa minore di Beethoven, detta Appassionata. Per me questo fatto è importantissimo, perché, finalmente, mi consente di fare un confronto diretto con una sua illustre collega e rivale, Tiffany Poon di Hong Kong.


Tiffany Poon 

Nell’anno 2004 l’eminente professore Gary McPherson, uno specialista americano nello studio dello sviluppo musicale nei bambini, tenne una conferenza a Hong Kong. Al termine, recandosi in un ristorante, il professore si accorse di essere seguito da un signore, che era poi il padre di Tiffany Poon, che gli espose il caso di sua figlia, dotatissima nel pianoforte, che suonava a memoria, ma con una strana idiosincrasia per i suoi insegnanti, al punto di averli rifiutati, uno dopo l’altro, tutti e dieci! A questo punto le notizie in mio possesso si fecero lacunose, incerte ed ambigue, e mi portarono a confondere le carriere di due fanciulline: Tiffany Poon e Tiffany Koo, entrambe pianiste di eccezionale talento. Nella rivista “Famiglia Moderna”, progenitrice di “Orologi dal Mondo”, il 20 giugno 2011, scrissi un articolo intitolato: “Un Fazioli alla Juilliard School: suona Tiffany Poon”, contenente, appunto qualche errore. Errore che non sfuggì al professore Gary McPherson, che il 6 luglio dello stesso anno mi scrisse la seguente email:

Hi Marino,
The video of the 7 year old girl you have on the website isn't Tiffany Poon.
Tiffany is learning at the Juilliard School and comes from Hong Kong (not
California).
I'd be happy to answer questions and guide you with correct information if
you need any further information.  However, Tiffany Poon is now 14, studying
at Juilliard in New York and she comes from Hong Kong.
Gary

 Professor Gary McPherson
Ormond Chair of Music and Director,
Melbourne Conservatorium of Music
The University of Melbourne
Victoria 3010 Australia
......................................

Prof. Gary McPherson (foto.Brams Laboratory)












Ebbene, ciò chiarito, risulta che l’allora settenne Tiffany Po-on, a seguito del col-loquio tra suo padre ed il professor Gary  McPherson, fu invi-ata in America, a New-York, a studia-re presso la scuola di musica più celebre al mondo, la Juilliard School of Music, e che lo “specialista americano” di musicologia infantile è titolare di una importantissima cattedra all’Università di Melbourne, Australia. Ebbene, fortunata bambina, le cui doti naturali hanno trovato un padre voglioso e capace di coltivarle in modo ottimale. La fanciullina ha già fatto più volte il giro del mondo presso tutte le maggiori  istituzioni musicali, ed ultimamente, il 20 settembre 2012, ha vinto a Mosca l’ottavo Concorso Internazionale Frederick Chopin per giovani pianisti, eseguendo nella finale il concerto n. 1 di Chopin per pianoforte ed orchestra. In data ancor più recente, il 22 febbraio 2013, YouTube ha pubblicato il video di un recital tenuto da Tiffany Poon nella sala Claude Champagne presso l’Università di Montreal (Canadà) il 19 gennaio 2013. Il video ha la durata di un’ora e 58 minuti, durante il quale si alternano vari oratori tra cui il professor Gary McPherson, ed in cui Tiffany Poon suona diversi brani, tra cui un’Appassionata di Beethoven di valore cosmico. Ecco l’occasione che aspettavo da anni: avere due esecuzioni, di Aimi Kobayashi e di Tiffany Poon, di un pezzo serio, per poterle confrontare! Bene, io il confronto l’ho fatto, ma per poter pubblicare entrambe le Appassionate, affinché anche i lettori potessero emettere il loro giudizio, ho chiesto al mio tecnico se era possibile isolare l’esecuzione dell’Appassionata  dal video della durata di quasi due ore, Per un paio di settimane non ho avuto più alcuna notizia da parte del mio tecnico, ma dopo mi ha comunicato di aver risolto tutto: aveva caricato l’Appassionata di Tiffany Poon su YouTube, a mio nome, come se io possedessi i diritti di quell’esecuzione. Immediatamente ho scritto a “Brams Laboratory” di Montreal, scusandomi per il malinteso, ma ancora non mi hanno risposto. Quindi pubblico l’Appassionata di Aimi Kobayashi e di Tiffany Poon, col rischio di vederle cancellate da YouTube. Spero comunque di aggiustare le cose nel modo migliore.

La competizione tra Euterpe e Polimnia 
Le nove Muse. figlie di Giove e Mnemosine, hanno brillantemente sorpassato i limiti della mitologia pagana, e sono trionfalmente entrate nella nostra tradizione culturale come simbolo della più alta perfezione nelle varie espressione dell’arte e della scienza. Due di esse, Euterpe e Polimnia erano titolari dell’arte musicale sotto forma di canti, danze e partiture sacre e profane, e così le canta Orazio nella prima ode del primo libro delle Odi ed Epodi:

D’edera il serto, emblema dei poeti,
Mi porta in cielo. Il fresco dei boschetti,
Lievi cori di satiri e di ninfe
Dal volgo mi levar, seppur d’Euterpe
Il flauto sibilar e se Polimnia
Non fugge d’accordar Lesbica lira. 

Queste due Muse le prendo in prestito per definire la valentìa musicale di queste due giovinette: Devo subito dire che esse non sono sole nell’emergere come esponenti di una nuova scuola. C’è una massa di piccole pianiste che stupisce non solo per la loro “bravura” personale, ma per un modo di suonare che immediatamente ci comunica la sensazione che sia il modo giusto di suonare, cioè di esporre l’intima essenza del pensiero del compositore. Ci sono figure mitologiche nella storia del pianismo, che vanno da Steibelt, Stavenhagen, Clara Wick (moglie di Schumann) fino ai più recenti Ferruccio Busoni, Dinu Lipatti, Clara Haskil, Wladimir Horowitz…per non parlare dei pianisti hollywoodiani come Josè Iturbi, Oscar Levant…uno più bravo dell’altro: Ma vi faccio un esempio storico che illustra il mio pensiero: una volta il soprano Adelina Patti eseguì funambolicamente un’aria di Rossini di fronte a Rossini stesso, ed al termine Rossini scoppio in un frenetico applauso e domandò: “Favoloso, vorrei conoscere l’autore!” In linea generale il pubblico dei concerti, della radio e della televisione, per non parlare di coloro che acquistano i dischi dei loro interpreti favoriti, è pronto ad applaudire le bravure del suo beniamino, che seguano o no la volontà dell’autore che si esprime, accanto alle note, con le consuete notazioni del tipo: ppp–cresc-legato-morendo-vivace…nonché le varie indicazioni metronomiche. Al tempo del ginnasio e liceo, ci furono continue dispute tra i miei compagni di classe, la cui maggioranza sosteneva che l’interpretazione si fondava sulle varie interpretazioni che l’esecutore dava alle notazioni espressive, e che pertanto di un determinato brano le interpretazioni possibili erano molteplici. Io sostenevo esattamente il contrario, e cioè che l’interpretazione delle notazioni espressive andava fatta misurandole ognuna in funzione di tutte le altre, in mondo che la costruzione complessiva risultasse smaltata, ricca di particolari, brillante, ma soprattutto equilibrata ed armoniosa, la configurazione ottimale in cui i vari fattori più che sommarsi (o addirittura elidersi) si moltiplicano per dar vita ad un opera maggiore della somma dei suoi componenti. Come quando due sistemi ondulatori interferiscono tra loro, e se sono in concordanza di fase, la loro ampiezza si moltiplica a dismisura e dà luogo alla risonanza. Ciò avviene in queste giovani pianiste di nuova scuola: per loro il problema della tecnica sembra non esistere, e le loro interpretazioni sembrano, anzi sono, intrinsecamente risonanti, dando luogo alla spontanea esaltazione dell’ascoltatore che vorrebbe piangere, abbracciarle, rapirle e portarsele via con sé. Aimi Kobayashi e Tiffany Poon sono due picchi emergenti di un misterioso, incommensurabile iceberg culturale.

Tiffany Poon suona l’Appassionata sul Faziioli dell’Università di Montreal

Beethoven, sonata op.57 n.23 in fa minore, detta “Appassionata” 
Diverse, tra le 32 sonate per pianoforte di Beethoven, sono accompagnate da un soprannome, affibbiato da chissà chi, certamente all’insaputa dell’autore, che nel frattempo aveva lasciato questo mondo. C’è una Patetica, un Chiaro di Luna, un’Aurora (Waldstein), una Tempesta, gli Addii, Hammerklavier, ed al momento non me ne viene in mente nessun’altra. Anche questa, chiamata “Appassionata”, avrebbe potuto essere chiamata Tempesta, Vortice, Terremoto o con qualsiasi altro nome capace di far oscillare i lampadari ed infrangere la cristalleria, data la sua natura tellurica. A dire la verità tutte le composizioni di Beethoven hanno un che di tellurico, contengono sempre una forte dose di auto asserzione, per poi distendersi in irresistibili cantabili, in appassionate perorazioni amorose che toccano il cuore. Ho detto “appassionate perorazioni”? Ebbene sì, l’Appassionata è veramente la sonata della passione d’amore con le sue tempeste che si placano in momenti di struggente languore, di sentimentale proclamazione, di attesa fidente. Ma poi riprendono con maggiore impeto, per culminare in una sorta di giuramento finale. Credetemi, quest’analisi che ha ben poco di musicologico è una vera e propria radiografia di questa sonata, quando l’ascoltate (e vedete) eseguita da Aimi Kobayashi e da Tiffany Poon, la prima di due anni più anziana della seconda, ma entrambe sedicenni all’epoca dell’esecuzione. La prima è l’Idolo del Giappone, l’altra la Perla di Cina. Ovviamente il giudizio io ce l’ho già pronto, avendo ascoltato e riascoltato ventine di volte entrambe le esecuzioni, ma per curiosità, più che per scrupolo, sono andato a caccia di varie Appassionate su YouTube. La prima in cui mi sono imbattuto con video in bianco e nero, è quella di Claudio Arrau, da considerarsi arcaica per via della registrazione analogica, sfigurata dalle varie curve di equalizzazione RIAA e dallo smanettamento dei tecnici del suono. Per cui il risultato è quello di una registrazione poco dinamica, nel senso che i pianissimi sono tutt’altro che sussurrati e confinanti col silenzio, mentre i fortissimi sembrano sempre pestati. Il tocco di Arrau non è omogeneo e vellutato: Per di più il pianista ha dovuto esibirsi in condizioni tutt’altro che ottimali: stretto e costretto nel pesante costume di gala, ben presto ha cominciato a sudare e mostrare segni di stanchezza, Le mie principesse, invece, vestite di seta impalpabile, braccia e spalle nude danzavano sulla tastiera, ed ognuna di esse è arrivata al traguardo finale con quattro minuti di vantaggio su Arrau, senza neanche dare l’idea di affrettarsi. Senza le immagini video, ho sentito le Appassionate di Rubinstein e di Richter, sempre in debito d’ossigeno. Una registrazione più moderna, con video a colori, è quella di Daniel Barenboim, in cui il suono è migliore, ma sempre rimbombante, tronfio e congestionato. Per nessuno di questi illustri maestri m’è venuta voglia di risentirli, ed il mio unico desiderio è quello di vedere altre fanciulline prodigio eseguire gli stessi brani per poterle confrontare tra loro. Aspetto Umi Garrett, Ain Yoon, qyunqyun….e tutte le altre. Come saranno da grandi? Una risposta ce la dà Valentina Lisitsa, la quarantenne di Kiev, trapiantata in USA e stabilmente insediata nel gruppo dei migliori del mondo. Nel novembre del 2010 pubblicai la sua Appassionata su Famiglia Moderna, dove potrete ritrovarla in playlist semplicemente scrivendo “appassionata” nell’apposito riquadro targato “Cerca”
La Juillard Music School a New York

Il verdetto 
Niente suspense, niente improvvisi capovolgimenti, nessuna febbrile attesa per il giudizio della giuria: l’applausometro ha lampeggiato senza posa per entrambe le ragazze. Entrambe hanno suonato con egual tecnica trascendentale. Nessuna delle due ha mostrato di indulgere ad effetti speciali, a indugi calcolati, ad accentuazioni plateali, ad ingiustificati ritardi ed accelerazioni. Entro la tolleranza di un nanosecondo, si sono strettamente attenute alla tabella di marcia voluta da Beethoven, per cui le loro esecuzioni sono risultate risonanti, emotive, commoventi ed esaltanti, suscitando l’irrefrenabile manifestazione di stima e di compartecipazione da parte del pubblico. Aimi Kobayashi ha manifestato la tendenza ad essere giudicata più lirica, rapita e dettagliata nel canto, ottenendo il massimo dal suo Steinway & Sons. Tiffany Poon si è avvalsa del suo Fazioli per dare maggior definizione al suono in generale, ma specialmente nelle ottave basse, ed ha prodotto uno stupefacente legato dei bassi e dei pianissimi, creando nuove melodie nell’Adagio con Moto alternando la conduzione del motivo tra la mano destra e la mano sinistra, tanto da rivaleggiare con l’Allegretto della Settima. Entrambe hanno concluso con un Prestissimo velocissimo, vertiginoso e vorticoso, interpretando in modo ideale lo slancio con cui Beethoven sigilla il suo giuramento d’amore.




Courtesy by Brams Laboratory