martedì 23 novembre 2010

Storia di IWC 2a parte

La cascata del Reno a Sciaffusa 

Vent’anni fa scrissi questa serie di tre articoli per la rivista Chrono Word, descrivendo anche il mio avventuroso acquisto di un orologio IWC avvenuto dieci anni prima, presso il negozio Ruckli di Lucerna, servito dalla signorina Fuchs. Mai, prima d’allora, avevo posseduto un orologio di lusso, e poiché quell’anno festeggiavo il mio 25mo anniversario di matrimonio, sullo slancio acquistai anche la versione in oro massiccio per mia moglie e la versione sportiva per mia figlia. In definitiva, la mia famiglia porta al polso uno Yacht Culb II da ben trent’anni. Ma all’inizio non ero molto felice dell’acquisto: l’orologio non era preciso come desideravo. Lo riportai al negozio, lo controllarono, e lo trovarono regolare. Allora chiesi la sostituzione con la versione al quarzo, e loro lo rispedirono in fabbrica e me lo restituirono col nuovo motore. Direte che commisi un’eresia, rimettendoci un sacco di soldi nella valutazione. Ma qualche tempo dopo, durante una mostra di orologi Omega al Palazzo delle Esposizioni a Roma, convenni con l’allora direttore Sig. Con Caro che un orologio, per quanto prezioso, se sbarella fa infelice il proprietario. E comunque, da quel momento, io riacquistai la piena   felicità di quell’acquisto.

Il "mio" Yacht Club II, ma in versione acciaio, meccanico




Come abbiamo visto nella puntata precedente, la IWC (International Watch Company) venne fondata in Svizzera da un giovane imprenditore americano che, avendo accumulato una felice esperienza dirigendo fabbriche “meccanizzate” del suo paese, aveva intenzione di introdurre i suoi metodi produttivi in un paese la cui fama di assoluta eccellenza manufatturiera in campo orologiero già era divenuta leggendaria nel mondo. Producendo in Svizzera, contava di indorare i suoi prodotti di questa fama, e di ridurre i costi di produzione non solo in virtù dei suoi macchinari, ma per il minor costo della manodopera locale rispetto a quella americana. Il suo proposito originario era quello di stabilire i suoi impianti in Svizzera occidentale, ai confini con la Francia (e cioè nel cosiddetto “Jura”), ove si concentrava la produzione svizzera. Questo proposito subì un immediato mutamento: niente confini francesi, bensì un salto a pié pari ai confini con la Germania, e cioè in un cantone nordorientale. Nella prospettiva storica, questa mossa gli assicurò un notevole vantaggio, che a quel momento non poteva essere preveduto: l’IWC divenne immediatamente beniamina dell’etnia tedesca, che in Svizzera gode di una larga maggioranza rispetto a quella francese, italiana e “ladina” (grigionese). Quando nel 1980 io feci la mia inchiesta tra i migliori orologiai di Lucerna, Zurigo e Winterthur, registrai un plauso unanime nei confronti dell’IWC, che fu da loro annoverata nell’ambito delle cinque marche che costituivano il Gotha dell’orologeria svizzera. Ma io, che avevo dichiarato di essere completamente analfabeta in tema di orologeria, questo lo sapevo già, dalla famiglia di mia moglie, che è di Winterthur: da sempre avevo sentito lodare la marca di Sciaffusa. Mia moglie stessa possedeva un IWC d’argento, quadrato, avuto in regalo da fanciulla, che teneva riposto in una scatola di legno intarsiata. Naturalmente, sin dai primi modelli, l’IWC meritò ampiamente la simpatia di tutta la Svizzera tedesca. Ma poiché questo vantaggio poté manifestarsi solo a posteriori, quale fu il motivo immediato che convinse il giovane imprenditore americano a stabilirsi nella Svizzera orientale? Il Reno è un fiume che, uscito dal lago Botano, e prima di addentrarsi nella Foresta Nera, proprio a Sciaffusa dà una clamorosa prova di vigore buttandosi da una cascata di oltre venti metri, attirando ammiratori da tutte le parti del mondo. Il vigore del fiume poteva essere imbrigliato da poderose pale di molino, e l’energia di rotazione poteva essere trasmessa a fabbriche ed officine mediante lunghe cinghie di trasmissione. A tale piano di sfruttamento energetico fu chiamato a partecipare il fondatore dell’IWC, che aderì con entusiasmo. Avendo ricapitolato la situazione di partenza, voglio fare una breve digressione sulle cosiddette “macchine”. Siamo ancora nell’800: le macchine sono utensili meccanici adibiti ad uno specifico tipo di lavorazione. Esse vengono messe in moto ingranandole ad una cinghia di trasmissione, che prende il movimento da un albero rotante principale, mosso da una macchina a vapore centralizzata, o prende forza dalle acque d’un torrente.


Lorenzo da Ponte





Quand’ero bambino ho visto qualche fabbrica, officina, mulino o segheria disposte in questo antico schema, anche se la forza motrice era quella elettrica: in alto, al soffitto, ruotava l’albero principale, da cui scendevano le cinghie di trasmissione cui le varie macchine s’ingranavano mediante una frizione. Qualche compagno più ricco di me possedeva una piccola officina a vapore con la caldaia da riempire d’acqua ed un fornello a spirito. Quando la macchina raggiungeva la pressione, si moveva lo stantuffo che metteva in rotazione un volano. Si poteva trasmettere il moto ad un piccolo tornio o ad altri dispositivi. Altri bambini avevano una piccola locomotiva a vapore “vera”. E prima di chiudere questa parte riassuntiva, non posso fare a meno di ritornare al nostro “giovane imprenditore americano”. Il libro di Manfred Fritz che ci fa da riferimento, di lui non dice più di tutto quello che vi abbiamo detto noi: non esiste neanche un suo ritratto, e non si sa che fine abbia fatto dopo essersene tornato in America. Ma noi non possiamo abbandonare il personaggio senza un disperato e pur vano tentativo di formulare alcune ipotesi ad uso di chi possa essere in grado di compiere ulteriori ricerche. È il nome stesso del nostro eroe che ci spinge a saperne di più: F.A.Jones. Il cognome significa tutto e nulla. Non solo è un cognome comune quanto Rossi da noi, ma è, per antonomasia, il sinonimo di “chiunque altro”. “ Fa’ quel che fanno i Jones”, e cioè “Fa’ quel che fanno gli altri”. Ma il nome non può lasciarci indifferente: F.A. Jones, e cioè Florentine Ariosto Jones. A quale bimbo americano, nato nel 1841, si dà il nome di Fiorentino Ariosto? Dante, Michelangelo e Leonardo: tutti possono chiamarsi così, ma Fiorentino Ariosto no. Ebbene, io lancio un’esca; nel 1838 muore a New York Lorenzo da Ponte, che sul finire del secolo precedente era stato poeta imperiale alla corte di Giuseppe II in Vienna, e compositore dei libretti d’opera delle “Nozze Di Figaro”, “Don Giovanni“ e “Così Fan Tutte” musicate da Mozart. In America Da Ponte si fece apostolo della cultura italiana ivi “assolutamente ignota”, diede lezioni dantesche ed aprì una libreria italiana. Ma anche ipotizzando che il padre di F.A. Jones fosse un frequentatore di tale libreria, la scelta del nome è tanto specifica da suggerire addirittura una discendenza italiana.

IWC calibro 52
Atto II: di male in peggio
Dunque, nel 1875 la Banca Commerciale di Sciaffusa rileva al prezzo definito “irrisorio” di 143.000 franchi, l’azienda in fallimento che era stata fondata nel 1868. La dizione americana di International Watch Company si trasforma in “Internationale Uhrenfabrik” che significava esattamente lo stesso, e ne diventa direttore generale un altro americano, Frederik Frank Seeland. L’auspicato rilancio dipende dal possibile successo dei nuovi “calibri Seeland”, progettati allo scopo precipuo di ridurre drasticamente i costi di produzione: mentre il miglior calibro Jones costava 90 franchi, Seeland riuscì a contenere a soli 28 franchi il prezzo del suo calibro di punta. Va da sé che quest’economia all’osso non poteva che andare a discapito della qualità. La nuova politica aziendale, comunque, non ottenne il successo sperato: per fortuna, possiamo aggiungere a titolo di commento. Se le cose fossero andate diversamente, infatti, oggi non esisterebbe la IWC come la conosciamo: una manifattura famosa per lo straordinario livello dei suoi prodotti, perciò a Sciaffusa non sarebbe mai nata la “Grande Complication” da polso, che costituisce il tema fondamentale del nostro libro di riferimento. Per farla breve: nei quattro anni del suo mandato direttivo, Seeland non seppe resistere alla tentazione di manipolare i bilanci aziendali per ricavarne, ovviamente, un illecito profitto personale di ben 220.724 franchi. Dopodiché si dileguò fuggendo in America col malloppo. La sua casa con tutto il mobilio e perfino il suo calesse col cavallo furono messi sotto sequestro e venduti all’asta, ma ancora una volta l’azienda si trovò al tracollo. Finalmente, dopo essere arrivata al fallimento per due volte in dieci anni fu rilevata da Johann Rauschenbach-Vogel, industriale meccanico di Sciaffusa, e trasformata in un’impresa completamente svizzera. Già consocio anziano dell’azienda, e quindi fra le principali vittime di Seeland, Johann Rauschenbach intravvide subito la possibilità di un nuovo rilancio.



IWC sitema Pallweber a cifre ssaltanti
“Probus Scafusia”
Da quel momento l’azienda rimase di proprietà della famiglia per quattro generazioni. La ragione sociale divenne “Uhrenfabrik von Johann Rauschenbach”, che significa “Fabbrica di orologi Johann Rauschenbach”. Dopo la morte del proprietario il nome fu modificato in “Uhrenfabrik von J. Rauschenbach Erben”, e cioè Fabbrica d’orologi Eredi J. Rauschenbach”. Alla fine degli anni ‘20 il nome divenne “Uhrenfabrik Ernst Homberger- Rauschenbach”, quindi “Uhrenfabrik H.E.Homberger” e finalmente, agli inizi degli anni ‘70 ricompare il nome imposto dal suo fondatore: “Uhrenfabrik IWC, International Watch Co. H.E.Homberger AG”, in cui “AG” significa “Aktien Gesellschafft”, e cioè “Società per Azioni”. Dal 1978, dopo la più grande crisi che l’industria orologiera svizzera abbia mai attraversato e dalla quale la manifattura fu salvata grazie all’intervento finaziario del gruppo tedesco VDO - essa porta il nome attuale di “IWC, International Watch Co; AG”. Ma comunque, il marchio IWC che Jones aveva portato a Sciaffusa, è sempre rimasto parte dell’identità dell’azienda durante tutta la sua movimentata storia. Da quando la gestione Seeland non fu che un brutto ricordo, invece che in USA, secondo il proposito originale, la sigla divenne proprio in Europa il simbolo di orologi durevoli, di grande precisione ed affidabili in ogni circostanza. IWC ha dato l’ora esatta a sovrani, pontefici, uomini di stato ed esploratori celebri. Durante l’ultima guerra questi orologi marcavano il tempo sia a bordo dei sommergibili tedeschi che sugli aeroplani inglesi. Possedere un IWC e trasmetterlo in eredità alla generazione che segue è espressione di una costanza dei valori e di una comprensione del concetto di “qualità” considerate ancor oggi a Sciaffusa parte integrante e preziosa del capitale sociale. Durante i primi tempi che abitai in Svizzera (seconda metà degli anni ‘50), fui colpito dalla solerzia con cui i miei famigliari badavano ad acquistare determinati prodotti, dal burro ai fiammiferi, da prodotti industriali a prodotti d’abbigliamento, recanti un piccolo marchio: la balestra di Guglielmo Tell. Seppi poi che quei prodotti erano della massima qualità svizzera e godevano della piena fiducia degli acquirenti. Esistevano anche altri marchi di qualità, conferiti a quelle fabbriche che raggiungevano determinati standard in vari settori, per esempio lo scudetto con al centro la croce federale che contrassegna i coltellini Victorinox e Wenger, ed io sono ben lungi da conoscerli tutti. La dicitura “Probus Scafusia”, che è il marchio della qualità affidabile di Sciaffusa, viene impressa su ogni orologio IWC a cominciare dalla fine dell’800, e costituisce ancor oggi l’impegno della casa a produrre sempre il meglio.

La Grande Complication da taschino
Le tappe fondamentali
Il mese scorso abbiamo pubblicato l’immagine del “primo IWC” corredata da una fuggevole didascalia. Considerando che, nonostante le sfortunate vicende che all’inizio sembrarono spezzare il volo della fabbrica di Sciaffusa, sin dai suoi primi modelli l’IWC conquistò l’attenzione ed il rispetto del gran pubblico e degli esperti, sarà bene riprenderlo e dare una migliore descrizione del “calibro Jones”. Purtroppo, come abbiamo già detto, del fondatore Jones non si è riusciti a trovare neanche una fotografia. L’orologiaio di Boston ci ha però lasciato un’inconfondibile espressione di sé col calibro per orologi da tasca che prende il suo nome, calibro che ha continuato ad essere costruito fino alle soglie del 1890. Le sue caratteristiche peculiari sono: la tipica platina da 3/4, lo scappamento ad àncora svizzera in linea retta, il bilancere bimetallico compensato, la racchetta extralunga per la regolazione di precisione della marcia. Questo “Jones” con movimento n. 1410 e l’incisione della data di fabbricazione (15 settembre 1868), con la cassa in oro a 18 carati, comprova anche l’esattezza dell’anno di fondazione dell’IWC a Sciaffusa, il 1868. L’aggiunta “New York” al logotipo della casa si dimostra giustificata dal fatto che, all’inizio, Jones produceva solo per il mercato americano. Questi particolari sono visibili nella seconda foto del calibro Jones pubblicata nella puntata precedente. Per la sua enorme importanza storica, dobbiamo segnalare l’”IWC digitale”, un modello che, a partire dal 1884, ha fatto scalpore in orologeria. Questo IWC da tasca con indicazione digitale, prodotto a Sciaffusa, ha precorso i tempi di almeno ottant’anni. L’IWC chiuse comunque molto presto questo capitolo: l’invenzione dell’ingegnere austriaco Joseph Pallweber, legato contrattualmente all’IWC, non riuscì a detronizzare l’indicazione analogica a lancette. Quest’ orologio sistema Pallweber, con cassa d’oro in versione Savonnette o Lépine fornisce un’indicazione simultanea delle ore e dei minuti nella grafica allora di moda. Anche Ferdinando I, Zar di Bulgaria, ne possedeva un’esemplare fabbricato nel 1884/85. C’è poi il cosiddetto “IWC di lunga vita”. Il calibro 52 è stato uno dei movimenti per orologi da tasca più utilizzati dalla manifattura. La sua costruzione accurata e precisa ha reso nel mondo famosi gli orologi IWC verso la fine dell’800 ed anche per molti anni successivi. La caratteristica qualitativa più particolare è la regolazione di precisione detta a “collo di cigno”, l’invenzione di maggior successo fra tutti i dispositivi di correzione degli errori di marcia. La sua realizzazione si deve all’americano George P. Reed, che per lungo tempo aveva lavorato presso la “E. Howard Clock & Watch Co.” di Boston, la fabbrica in cui Jones aveva iniziato la sua carriera di orologiaio. L’”IWC complicato“: a partire dal 1890 la IWC comincia a creare regolarmente nuovi prodotti di particolare livello, generalmente in quantitativi limitati. Uno di essi è la Grande Complication da tasca, che ancor oggi può essere fornita su ordinazione. Per questo capolavoro meccanico sono ancora disponibili soltanto pochi movimenti di base, costruiti diverse decine d’anni fa. Negli anni ‘30 e ‘40 le forze armate di molti paesi si servirono dei cosiddetti “orologi di controllo” costruiti a Sciaffusa. Questi modelli venivano impiegati tanto nei sommergibili quanto sulle navi di superficie. Gli orologi, con un movimento di precisione, spirale Breguet, regolazione fine e bilanciere compensato dovevano garantire i massimi livelli di precisione e robustezza.

Lo storico Fliegeruhr, l'orologio dell'aviatore
Ancora oggi, nei moderni sommergibili della marina tedesca continuano a prestare servizio i tradizionali IWC meccanici. Passiamo all’IWC con calendario: agli inizi degli anni ‘70, con i modelli da tasca ormai da tempo soppiantati da quelli da polso, l’IWC costruì un nuovo modello con calendario e fasi lunari molto complesso, ma di facile consultazione. Il movimento è un 17 linee, calibro 9721 con scappamento ad àncora, 31 rubini, regolazione di precisione e protezione antiurto. Questo “classico” ha rappresentato per la IWC il trampolino di lancio per arrivare al perfezionamento di meccanismi ancor più complessi; rappresenta quindi una colonna della Grande Complicaton da polso. C’è poi un IWC definito “Anticonformista”: chi mai poteva concepire un classico orologio da tasca non soltanto impermeabile, ma addirittura antimagnetico, grazie alla cassa supplementare interna in ferro dolce? Solo l’IWC, naturalmente. L’Ingenieur SL d’acciaio in versione Lépine conferma, nella nostra età moderna, la tradizione della fabbrica d’orologi da taschino per eccellenza. Per chi non è disposto a nessun costo a lasciarsi “ammanettare” il braccio, l’Ingenieur SL è la perfetta alternativa agli omonimi modelli da polso di grande successo. Passiamo poi ad un modello da polso, il Fliegeruhr, l’orologio per aviatori, con cassa in acciaio antiriflesso, quadrante nero e grandi indici trattati con materiale luminescente. A partire dal 1940 è entrato in dotazione ai piloti della RAF (Royal Air Force, l’aviazione militare britannica). Il movimento è da tasca, a 19 linee. Si tratta in sostanza del precursore di tutta una generazione di orologi, il cui successo dura ancora oggi: i famosi “Ingenieur”, noti tra l’altro per la particolare resistenza alle sollecitazioni e dotati di speciale protezione antimagnetica.
Marino Mariani

(Foto Google di dominio pubblico. Click per ingrandire)