sabato 7 agosto 2010

Valentina Lisitsa: Venus Victrix

Valentina Lisitsa

E' dunque vero che, qualche volta, scoperte della massima importanza avvengono in maniera del tutto casuale, e se non fosse sopravvenuta quella casualità, certe scoperte non sarebbero mai state fatte: poco tempo fa volevo far ascoltare ad un mio amico la Campanella di Paganini–Liszt suonata da Arturo Benedetti Michelangeli, ma non ricordando dove l’avevo archiviata, mi sono impegolato su YouTube, ove mi sono imbattuto su ciò che credevo non esistesse, e cioè in una Campanella suonata nientedimeno che da Ferruccio Busoni, un pianista trascendentale morto nel 1924. Immaginando che si trattasse di un’incisione quantomeno arcaica, per pura curiosità volli (volemmo) ascoltarla, e rimanemmo ammutoliti investiti da un turbinio di suono brillante, squillante, nitido e possente…… Ma non è questa la scoperta che, implicitamente, ho annunciato. Innanzitutto, dopo lo stupore iniziale, chiarimmo che quella di Busoni non era un’incisione grammofonica, bensì un rullo perforato per i pianoforti automatici Welde-Mignon: grazie tanto! Ma l’impressione che costituisse comunque un picco interpretativo inarrivabile avanì quasi immediatamente, perché, come se fosse stato magneticamente attirato, sullo schermo del Mac il cursore del mouse si era già spontaneamente sistemato su un’altra esecuzione della Campanella, quella della pianista Valentina Lisitsa. Premuto il mouse, sullo schermo da 27” illuminato a Led apparve la donna più bella del mondo, con le mani più grandi del mondo, a suonare la Campanella più argentina del mondo alla velocità più folle del mondo.


Valentina Lisitsa
A chiunque può capitare di fare una gradita, inaspettata scoperta come quella che sto descrivendo. Nel mio caso le probabilità a priori che potessi imbattermi in una pianista di prima grandezza di cui, fino a quel momento, ignorassi l’esistenza, erano praticamente nulle. Sono nato tra i pianisti: mia nonna, mia madre e mia zia (entrambe diplomate a Santa Cecilia), e poi due zii e due sorelle, tutti a suonare giorno e notte ballate, studi, notturni. improvvisi, preludi, preludietti fughe e sonate di Beethoven. E poi, ogni anno, nella casa di via Tagliamento, il saggio finale che si concludeva con l’esecuzione per due pianoforti a 8 mani, con una ouverture di Beethoven (tipo Leonora, o Coriolano, o Egmont) ed un tempo d’una sinfonia (di regola la Quinta o l’Eroica), nelle trascrizioni pianistiche di Liszt, zio Bruno e zio Ferruccio ad un pianoforte, mia madre e zia Elisa all’altro, e nonna Adele al centro della sala provvedeva alla direzione orchestrale. I migliori “scolari” di cotanto corpo insegnante, venivano avviati a Santa Cecillia, e alcuni di essi sono diventati direttori di Conservatorio. Io ho cominciato a studiare il pianoforte all’età di quattr’anni, ma siccome da bambino ero sempre malato, finite le elementari ed entrato al ginnasio (a quel tempo non c’erano le medie), fui “esentato” dal pianoforte, con mio grande sollievo. Ma poi, per il resto della vita, sentii il rammarico per quell’abbandono, che compensai proprio stringendo rapporti con numerosi illustri esecutori, specie nel decennale periodo in cui pubblicai la mia rivista Audiovisione. Ebbene, considerando anche che per mio particolare interesse non ho mai perso un numero della "Penguin Guide to Compact Discs and DVDs", è veramente strano che io non avessi mai incontrato il nome di Valentina Lisitsa. La quale non è un astro nascente, ma una signora che a dicembre compirà 41 anni, e che ha mietuto  successi in tutte le parti del mondo. Che sia nata in Ukraina è fuor di dubbio, tant’è vero che un sito la fa nascere a Sebastopoli, uno a Leopoli, ed un altro a Kiev. Quest’ultima è l’ipotesi più probabile, dato che le biografie concordano nell’affermare che ha frequentato, a Kiev, l’istituto Lisienko pere bambini prodigio, dopo essersi esibita in pubblico all’età di 3 anni. I genitori non erano musicisti, e Valentina non sembrava particolarmente lusingata dall’idea di una carriera da pianista. Voleva diventare una famosa giocatrice di scacchi, ma non mancò di diplomarsi al Conservatorio di Kiev. Comunque un bravo pianista, Alexei Kutznetzow, l’indusse a partecipare, insieme a lui, a concorsi e competizioni internazionali per duo pianistico a due pianoforti. Ed in tale categoria vinsero i massimi trofei mondiali. E nell’euforia Alexei riuscì in due intenti: quello di sposare Valentina e di indurla ad intraprendere seriamente la carriera di pianista. L’intento di far carriera si concretizzò nel loro trasferimento in USA e conseguimento della cittadinanza americana. Valentina ha anche un figlio che ora dovrebbe avere 5 anni. La sua casa discografica è la Audiofon Records, o la Naxos secondo un’altra fonte. Io credo di capire che la Naxos subentrerà, con la pubblicazione di CD e DVD a partire dal mese di settembre del 2010, mentre i brani registrati per la Naxos sono temporaneamente disponibili solo per streaming e download, vale a dire via computer, o, se vogliamo, per il tramite della rete telematica.

Giovane ragazza con i guanti (de Lempicka)


Il ritratto di Valentina
Direte che il titolo di questo articolo costituisce il trionfo dell’ovvio: "Venus Victrix", Venere Vincitrice ovviamente di tutti i concorsi di belleza indetti nella sommità dell’Olimpo e poi traferiti sulla Terra per lo storico spareggio con Era ed Atena, passato alla storia come Il Giudizio di Paride che, come tutti sanno, ebbe per conseguenza la guerra di Troia. Ma il mio intento non era tanto ovvio come parrebbe, perché la mia Venus Victrix non è tratta dalla mitologia, bensì dalla storia: Caio Giulio Cesare era convinto che Venere fosse sua nonna ancestrale, e la nominò protettrice delle sue legioni: quando faceva cenno a Labieno di iniziare l’attacco, l’ala destra dello schieramento di Cesare si scagliava contro il nemico, che di regola era da 3 a 10 volte numericamente superiore, al grido di "Venus Victrix". Ecco, la Venere che dico io è la dea guerriera che vinceva sui campi di battaglia, ovunque Cesare portasse le insegne del Popolo e del Senato Romano. Nel suo ritratto fotografico la vediamo nelle sembianze di una gentildonna italiana in posa nella bottega  di Leonardo, Botticelli, Raffaello o Tiziano. Il suo volto è quello classico, sereno, olimpico di una Madonna fiorentina. Il suo braccio è il collo di un cigno, ma da esso sprizza tutto il vigore di una lanciatrice di giavellotto scolpita da Policleto, Fidia, Mirone, mentre la mano mi suggerisce un’analogia…..aeronautica: come certi aerei militari da battaglia sono classificati "velivoli da superiorità aerea", così la mano di Valentina è da "omnipotenza pianistica". Ma per una straordinaria casualità Valentina Lisitsa può anche identificarsi  con un ritratto dipinto da Tamara de Lempicka (pronuncia: Lempisca) dal titollo: Giovane Ragazza con i Guanti, dipinto nell’anno 1930 (io avevo già un anno!). Le braccia sono proprio quelle di Valentina, e sortono da un panneggio futurista che si espande in tutto ill quadro come espressione di un decorativismo totalitario. La mano sinistra tambureggia sull’ottava bassa l’accompagnamento incalzante del terzo tempo della sonata al Chiaro di Luna, mentre la mano destra piega la falda del cappellino, ed impedisce allo sguardo di perdersi nell’infinito. Lo respinge in una visione introspettiva: la concezione interpretativa della sonata Hammerklavier.

L’interpretazione di Beethoven
C’è un’inveterata tradizione tedesca che descrive l’intero corso dell’arte pianistica come un Vangelo, di cui Il Clavicembalo Ben Temperato di Giovanni Sebastiano Bach rappresenta l’Antico Testamento, mentre il Nuovo Testamento è costituito dalle sonate di Beethoven. Sono del tutto contrario alla visione evangelica dell’opera pianistica di Bach, la quale ha un importanza fondamentale dal punto di vista scientifico e didattico, ma dal punto di vista stilistico si scontra con le 555 sonate di Domenico Scarlatti. Costui, figlio dell’illustre cavalier Alessandro Scarlatti operista napoletano, trascorse la maggior parte della vita come maestro della principessina Maria Magdalena Barbara della Casa Reale portoghese. La vide crescere e formarsi come piccola allieva diligente, ed ebbe la commozione di vederla incoronata come Regina di Spagna: per me è la più grande storia d’amore, per lo meno nell’ambito musicale. Quanto alle sonate di Beethoven, senz’altro rappresentano, assieme ai suoi quartetti d’archi, il più alto raggiungimento nel campo della musica strumentale. È difficile descrivere in che  cosa consista il modernismo di Beethoven, perché, storicamente parlando, l’evoluzione musicale si esprime, in termini tradizionali, come il passaggio dal classicismo al romanticismo, all’impressionismo, all’espressionismo, alla dodecafonia, all’atonalità…e non è possibile andare avanti perché nel frattempo la musica è morta. I punti culminanti di tale  evoluzione sono stati raggiunti dalla "Seconda scuola di Vienna" con le composizioni di Berg, Schönberg, Webern… musica nata già morta, perché l’umanità non riconosce e non accetta come musica ciò che non è cantabile. Evidentemente Beethoven non ha seguito e non ha comunque indicato ai posteri questa linea evolutiva. Dico che l’evoluzione beethoveniana è una mutazione di visione del mondo: le cose, il paesaggio rimangono al loro posto, ma vengono viste con una prospettiva diversa, che rivela, o comunque lascia intendere l’esistenza di altre verità. È la visione della fisica moderna, che lascia immutate le leggi che regolano gli eventi della vita quotidiana, ma ne cambia la catalogazione nell’ambito della costituzione di un Universo più ampio e più profondo. È l’evoluzione del sapere introdotta da Einstein, quando interpreta l’effetto della gravitazione come un teorema puramente geometrico, in cui la materia traccia le traiettorie modificando la struttura dello spazio. Da quel momento il sasso scagliato da un monello non segue più una parabola balistica, ma percorre una geodetica dello spazio-tempo. Che sono la stessa cosa, incastonata in due contesti diversi
Queste concezione appartenente alla Teoria della Relatività Generale è del tutto evidente nella maggiore delle 32 sonate di Beethoven, l’opera 106 detta “Hammerklavier”, ove l’autore inizia a comporre una struttura musicale convenzionale romantica, eroica e celebrativa: ma è come se salisse i gradini di una torre, ed ogni tanto volgesse lo sguardo fuori dalle finestrelle dalle quali si scorge il panorama di un mondo parallelo. Allora Beethoven si lascia rapire dalla contemplazione, si abbandona alla fantasticheria, i fortissimi diventano pianissimi, i tempi metronomici si allungano e lasciano spazio al rubato. Gli accenti marziali dell’Eroica si smorzano nelle Scene Infantili di Schumann. Ma l’opera non si frammenta in una successiione di quadri, guai al pianista che introduce indugi meditativi nel tentativo di sottolineare le intenzioni dell’autore. Le intenzioni dell’autore sono chiaramente espresse nello spartito, e bisogna avere la forza e il coraggio di seguirle con determinazione. Ebbene, Valentina Lisitsa, lei stessa ci suggerisce questo modo di interpretare: la sua forza immensa le consente di dominare i fortissimi e i pianissimi sfruttando a pieno l’intervallo dinamico offerto dalla registrazione digitale. La registrazione analogica dei grandi del passato non consentiva loro un intervallo dinamico paragonabile, per cui le contemplazioni beethoveniane delle forme e dei colori del suo universo parallelo, eseguite da Valentina, emergono e si dileguano al di qua e al di là della linea di confine col silenzio assoluto. Questo è solo l’inizio di un dialogo sulla forza interpretativa di Valentina Lisitsa. Per cominciare, sentiamo la prima delle sue due interpretazioni dell’Hammerklavier.
AGGIORNAMENTO: Rispetto all'edizione originale di questo articolo abbiamo apportato il seguente aggiornamento, aggiungendo alla prima delle sue due interpretazioni dell'op.106 anche la seconda, in cui la Lisitsa appare in un conturbante abito da gran sera, e viene inquadrata in una prospettiva in cui non solo appare ogni dettaglio delle mani sulla tastiera, ma anche dei piedi sui pedali. È mia impressione che in questa seconda interpretazione il pianoforte sia piuttosto fuori tono.