martedì 30 novembre 2010

Valentina Lisitsa: l'Appassionata

di Marino Mariani

Clara Wieck Schumann

Donne primeggianti nel campo dell’arte, invece che nelle virtù dell’economia domestica, ce ne sono sempre state, anche se non numerose. La prima di esse fu la somma poetessa Saffo, lodata e idoleggiata da tutti, compreso l’ironico e disincantato poeta romano Catullo che si provò ad imitarla (“Ille mi deo par esse videtur…”), e la virtuosa Cornelia madre dei fratelli Gracchi, che fu la prima donna latina a scrivere opere in prosa invece che in versi: avanti a lei si fermava il corteo dei Littori, i portatori del Fascio, che al suo cospetto si irrigidivano nel saluto romano a mano tesa, come di fronte ai consoli, ai senatori e ai generali vittoriosi. In inghilterra la fama e la popolarità del bardo nazionale William Shakespeare sono contese in primis da Jane Austin (Emma, Orgoglio e Pregiudizio…), nonché dalle sorelle Charlotte, Emily ed Anne Brontë (Jane Eyre, Cime Tempestose…). In Italia Grazia Deledda dovette interrompere gli studi alla quinta elementare, perché gli usi e costumi dell’Isola (Sardegna) malvedevano una donna che frequentasse la scuola invece che coltivare la vita domestica. Comunque Grazia Deledda, spalleggiata da Mussolini, si rivalse vincendo il premio Nobel, con grave scorno di Benedetto Croce e degli altri suoi denigratori. Ma la più grande fu la nobile signorina Fujiwara Fuji, che, entrata nella corte imperiale giapponese come dama di compagnia, col nome di Murasaki Shikibu scrisse, nell’anno mille, un romanzo di mille pagine intitolato “Genji Monogatari”, la storia di Genji, il principe splendente: L’interesse destato da quest’opera nell’ambito della corte e della nobità era tale che, pare, l’imperatore in persona consigliò (ordinò) di omettere la morte di Genji, che troppo dolore e costernazione avrebbero destato nel pubblico che ansiosamente seguiva il procedere dell’opera. Di questo libro posseggo le traduzioni in inglese dall’originale giapponese in caratteri Kana di Edward Seidensticker e di Royall Tyler, che insieme all’opera omnia di Jane Austin, e a quanti più libri di Grazia Deledda ho potuto trovare (quasi tutti), costituiscono il cuore della mia letteratura favorita, che leggo e rileggo con infinito amore. Ma dal titolo avrete capito che, invece, voglio parlare delle donne pianiste, e la più celebre del passato fu Clara Wieck, che nell’800, e per una sessantina d’anni, riempì dei suoi successi le cronache di tutta Europa. Fu una somma pianista, figlia del maestro Friedrich Wieck, che la istruì e accompagnò per tutta la vita anche dopo il divorzio dalla moglie Marianne. Fu anche una grande compositrice. E fu moglie dell’elegiaco Robert Schumann. La sua fama era tale che, nell’intrattenimento dopo un concerto, un ospite si rivolse a Robert Schumann e gli domandò se anche lui si interessase di musica. Interpretò con tale maestria la sonata detta Appassionata di Beethoven che il poeta Grillparzer scrisse un poema intitolato “Clara Wieck e Beethoven”. All’età di undici anni eseguì un ciclo di concerti, e a Weimar Göthe le regalò una medaglia ed un ritratto autografato, mentre a Parigi Nicolò Paganini si offrì di suonare con lei. Chopin parlò di lei a Franz Liszt, che accorse a sentirla. Dopo la malattia di Schumann, che lo portò ad essere ricoverato in una clinica per malati mentali, ed infine alla morte, Clara fu molto vicina ad un loro amico di famiglia, di nome Johannes Brahms, che la venerava, e ne divenne la ninfa ispiratrice, la protettrice e fors’anche di più. Assieme al violinista Joseph Johachim, Clara riceveva le opere che le inviava Brahms: le correggeva, le commentava e lo incoraggiava. Tutte le opere di Brahms furono lette in prima istanza da Clara Schumann.

Mieczyslaw Horszowski fanciullo (Arturo Rietti)

Il primo dei pochi dischi LP microsolco in vinile da me aquistato, fu la sonata Hammerklavier di Beethoven suonata dal pontificio pianista Mieczyslaw Horszowski. Dico pontificio perché Horszowski fu pianista beniamino di diversi papi anteriori a Pio XII, e solo adesso vengo a sapere che visse molto a lungo, dal 92 al 93, e quindi visse non un anno, ma centouno, dal 1892 al 1993. Poiché fisicamente era molto minuto, un vero e proprio esserino, gli intenditori asserivano che non avrebbe potuto compiere una carriera paragonabile a quella di Horowitz, Serkin, Kempf, Backhaus, Gieseking, Gulda, Magalov, Benedetti Michelangeli….e tutti gli altri. Io però sarei contento di risentire la sua Hammerklavier. In compenso su YouTube ci sono un paio di brani di Chopin da lui eseguiti, alla Carnegie Hall nel 1990. Facendo i conti aveva 97 o 98 anni. Era bellissimo, minuto, agile, cortese e di genile portamento, ornato da una invidiabile capigliatura bianca. In compenso su YouTube (non è una ripetizione, è una voluta reiterazione) ho scoperto inaspettatamente il mondo delle moderne pianiste che mi hanno letteralmente conquistato. E, come ho già più volte asserito, non (solo) dal punto di vista virtuosistico, ma specialmente da quello interpretativo, in cui si mostrano intrepidamente fedeli allo spartito e all’autore. Assolutamente aliene da ogni esibizionismo e compiacimento. Un vero esempio di abnegazione, cioè della negazione di se stesse, che finisce per non essere un atto di modestia ed umiltà, ma la direttissima per l’Olimpo. Ove siedono al fianco di Beethoven, di Chopin, Brahms, Schumann, Schubert, Scarlatti, Mozart….Avviene in tutte le arti, ma specie nel pianismo l’indugio di un millisecondo rivela una falla nella linea interpretativa. A me sembra che la Lisitsa e la Kobayashi questo millisecondo se lo siano sempre tenuto stretto in pugno e non l’hanno mai perso di vista. Prima di mandare in rete l’Appassionata di Beethoven suonata da Valentina Lisitsa, ho passato varie ore ad ascoltare attentamente altri illustri pianisti, e sono rimasto stupefatto di quante ragazzine di dieci undici anni pertecipano a concorsi ed esibizioni, e suonano tutte benissimo. Ma un colpo m’è arrivato, del tutto inaspettato e da tutta una altra parte. Conoscete Lang Lang? Io l’avevo sentito nominare ma non l’avevo mai sentito suonare. Ebbene, quando ho visto su YouTube apparire il nome di Lang Lang accanto a quello dell’Appassionata, non ho voluto perdere l’occasione di vederlo. Ebbene, provate anche voi, e vedrete uno spettacolo da cartoni animati della Pixar: lui che suona leggendo la musica, ed un anziano signore gli gira le pagine! A mano a mano che procede, lui atteggia la faccia, in particolare gli occhi e la bocca, alle più espressive…espressioni: di delizia, di apprensione, di stupore, di sorpresa, di terrore, come se stesse raaccontando ai piccoli la favola di Cappuccetto Rosso. Si vede, perché ce l’ho anch’io, che il suo libro delle sonate di Beethoven è l’edizione Bärenreiter. Si vede anche che il signore anziano che gli gira le pagine è Daniel Baremboim. La mia sorpresa è stata grande, ma, come nei racconti di Sherlock Holmes, la spiegazione era molto semplice. C’è il maestro Daniel Baremboim, che oltre ad essere un consumato direttore d’orchestra è anche un pianista di riferimento, che sta tenendo corsi di perfezionamento, e per una delle sue lezioni evidentemente ha invitato Lang Lang, con cui ha recitato questa sceneggiata. Però un elemento m’è sembrato vero: Lang Lang suonava leggendo veramente la musica, perché Baremboim voltava la pagina dopo aver scambiato un cenno d’intesa con lui.

Valentina Lisitsa in concerto

Quindi, dopo aver passato la totalità della vita a studiare passo passo l’attività dell’empireo pianistico che ho tratteggiato, tutto ad un tratto, per il tramite di YouTube, ho scoperto questo paradiso femminile prevalentemente orientale. È come se la cultura greca, diventata europea per opera di Roma, fosse per intero trasmigrata in Giappone e vicinanze. Se si pensa alla difficoltà per un cinese ed un giapponese di intendere le lingue europee, c’è da meravigliarsi, anzi da ritenere impossibile che possano non solo intendere, ma di magistralmente interpretare le nostre opere d’arte, a cominciare non tanto dalla musica pianistica, quanto dalle opere liriche italiane. Vi faccio un esempio: loro non devono imparare la ventina di lettere con cui noi europei formiamo tutto il nostro vocabolario. Devono bensì imparare duemila ideogrammi (i giapponesi, i cinesi dieci o venti volte tanti), ognuno dei quali equivale ad una parola, per cui capiscono per forza tutto quello che leggono e che scrivono. Ma chi di noi sa, per esempio, che cosa significa stafilococco ematolitico? Ovviamente in giapponese la cosa è del tutto differente: le parole che ho detto si realizzano con quattro ideogrammi che in totale significano “micro organismo che rende il sangue duro come la pietra”. Questo significa che in giapponese un sostantivo contiene anche il proprio significato. In quanto alla pronuncia, in cinese “I ta li a” è formata da quattro fonemi che per loro suonano come: “paese dei ladri”: è una storica sventura, compensata dal fatto che molte parole straniere in italiano hanno un significato del tutto differente.
Lang Lang, infine, è un pianista cinese di ventott’anni che si è assunto la missione di diffondere nel mondo la musica pianistica classica. Più facile è credere alla missione di Valentina Lisitsa che, essendo ucraina, non ha problemi neurolinguistici ad assorbire di prima mano tutta la cultura europea. Ma mi meraviglia sempre il fatto che le femmine le assorbano meglio dei maschi. Comunque questo giudizio ha tutto il tempo per essere dibattuto. Ma lasciatemi annunciare una novità: ho imparato che, espletate alcune formalità, su YouTube è possibile compilare vere e proprie playlists, cioè ordini di esecuzione di brani in ordine prestabilito. Con tale clausola, l’Appassionata di Valentina Lisitsa, invece di richiedere la ricerca separata del primo, del secondo e del terzo tempo, viene suonata tutta intera con i tre tempi cuciti uno appresso all’altro.




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