lunedì 8 novembre 2010

Alta Fedeltà: la passione che ritorna


Dagli anni 70, se non mi sbaglio, sono passati quarant’anni, quanti la vita di un uomo. Eppure quegli anni 70 per molti di noi vivono ancora, e s’infiammano e divampano al primo minimo accenno di qualche immortale reminiscenza. Erano gli anni di un grande sogno, quelli dell’epopea dell’Alta Fedeltà, la nuova disciplina che la maggioranza di noi chiamava Hi-Fi, abbreviazione della dizione ufficiale anglosassone di Hiigh Fidelity Sound Reproduction, e cioè Riproduzione del Suono ad Alta Fedeltà. Per chi è giovane oggi è difficile immaginare  quale fosse il credo di questa religione. Oggi, in piena epoca di iPod e Blue Ray, è difficile se non impossibile immaginare quali fossero i problemi collegati alla cattiva riproduzione del suono. Ma la riproduzione del suono, sin dalle prime invenzioni di Edison (rulli) e Berliner (dischi) non era giudicata negativamente, ed anzi veniva accolta con meraviglia, stupore e riverenza, ed attorno alla discografia e alla fabbricazione di fonografi nacque e rapidamente si sviluppò l’industria del suono. Il problema della qualità del suono nacque nel 1902, quando in una sala del Grand Hotel Spatz di Milano (ove era morto Giuseppe Verdi l’anno precedente) una squadra di tecnici anglo-americani guidati da Fred Gaisberg registrò dieci brani che cambiarono il mondo. Erano cantati da Enrico Caruso.

Enriico CAruso
Il grammofono a tromba è tutt’ora l’archetipo retrospettivo di una bell’epoca che precede l’invenzione della radio e del cinema sonoro. Prima dell’avvento di Enrico Caruso, questi grammofoni, a rulli o a dischi, erano un’attrazione dei baracconi delle fiere e dei banchi dei mercatini rionali. E lì, per lo più, rimanevano. Ma dopo la messa in vendita dei primi dischi di Caruso, il mondo, letteralmente, cambiò: dischi e grammofoni che si vendevano a migliaia, d’improvviso si vendettero a milioni di pezzi. Accanto ai famosi (e famigerati) impressari teatrali cominciarono a fiorire, e poi ad imporsi, i “discografici”, gli ambasciatori delle grandi Case di produzione, che giravano il mondo a caccia dei più acclamati talenti teatrali. Caruso guadagnò cifre iperboliche con le sue esibizioni canore nei maggiori teatri di tutto il mondo, ma anncor più quattrini guadagnò con i suoi dischi, ancora in vendita a quasi cent’anni dalla sua morte.

Enrico Caruso è stato il più grande cantante lirico di tutti i tempi. Dico di tutti i tempi ed intendo: futuro compreso, poiché è morta la scuola di insegnanti italiani che dettavano legge in tutto il mondo. A quel tempo la voce di un cantante doveva essere “proiettata” nelle migliaia di metri cubi d’aria di una sala teatrale. La voce doveva arrivare senza mostrare alcuna forzatura alle ultime file di platea e di loggione. E ciò valeva tanto per lo squillo d’un tenore di forza, quanto per il sussurrato d’un tenore di grazia. A questa terribile scuola fu forgiato Caruso ed i suoi coetanei. La sua voce era mirabilmente equalizzata in tutti i gradi del suo “strumento” (così in gergo viene chiamata la “voce” di un cantante lirico) e…non voglio fare qui la storia di Caruso, ma aggiungo questo: un tenore del calibro di Alfredo Kraus o di Luciano Pavarotti può infilare ridendo i nove “do di petto” che si trovano nella Figlia del Regimento di Donizetti. Caruso: no. La forza di Caruso era nei toni medio-bassi della sua gamma. Fu definito: baritenore, cioè un connubio tra un tenore ed un baritono, e lui stesso, all’inizio della carriera, non sapeva se sarebbe diventato un baritono o un tenore. E questa fu la chiave del suo immediato successo come stella discografica.

Il phonograph a rulli di Edison

In quanto la tromba di quei grammofoni si sovrapponeva, deformandola, alla voce dei cantanti ed al suono degli strumenti musicali. Ma la struttura spettrale della voce di Caruso, per un puro miracolo divino, consonava (nel senso che era consonante) con quella del grammofono a tromba. I due fattori risultarono positivamente interferenti tra loro, si moltiplicavano a vicenda, e crearono un vero furore per i dischi di Caruso. E per la discografia in generale, che benedisse quel giovane tenore venuto da Napoli. Ma dopo la morte di Caruso (1921) furono inventati i microfoni, gli ampli-ficatori e gli altoparlanti elettrodinamici, ed i cantanti furono liberati da quel terribile allenamento che stroncava la loro carriera, che forgiava le loro corde vocali e poi le squarciava. Quando Caruso morì aveva 48 anni.

Ma con Caruso era comunque liniziata la corsa al bel suono, che culminò con la nascita dell’Alta Fedeltà negli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando tornarono alla vita civile aviatori, marinai e genieri inglesi, americani e tedeschi che erano venuti a contatto con i maggiori e segretissimi progressi dell’elettronica militare. Un nome per tutti: il radar. Costoro furono in grado di mettere sul mercato amplificatori a bassa distorsione, a basso rumore di fondo, di inaudita potenza che, collegati a mostruosi altoparlanti in bass-reflex o a tromba esponenziale, creavano clangori inauditi. Io mi trovai avvantaggiato per il fatto di aver sposato una biondona svizzera che mi portò a vivere a casa sua a Winterthur nel Canton Zurigo, dove fui impiegato nella ditta Gebrüder Sulzer Ag, produttrice di grandi motori marini e di treni diesel elettrici, e che si  avvalse della mia opera nella progettazione del primo reattore nucleare elvetico. Poiché provenivo dall’università di Roma, che era stata l’Alma Mater di Enrico Fermi e dei “ragazzi di via Panisperna” i quali, ridendo e scherzando, avevano finito per costruire il primo reattore nucleare e la prima bomba atomica, ero tenuto in grandissima considerazione dai dirigenti della fabbrica e dai tecnici che lavoravano nel settori degli studi radiofonici e delle PTT (poste e telegrafi), negli studi discografici e nelle industrie elettroniche come Thorens, Revox, Nagra, Stellavox. Senza contare gli ingegneri e i tecnici che lavoravano nelle rappresentanze di grossi nomi stranieri come EMI, Leak, Goodmans, McIntosh, Quad, Marantz, Philips, EMT Franz e tanti altri, con cui ci incontravamo e discutevamo nelle fiere e nelle manifestazioni del settore elettro-musicale.


Il gramophone a dischi di Berliner

Quando tornavo a Roma per terminare i miei esami universitari, i miei colleghi di Fisica pendevano dalle mie labbra, ed in quel periodo ebbi una vera comunanza con uno la cui grandezza ho realizzato pienamente solo dopo la sua recente morte: Nicola Cabibbo. Nel settore di cui parlo l’Italia era infinitamente indietro rispetto alla Svizzera, paese sempre all’avanguardia nel campo delle telecomunicazioni, nella meccanica fine, nell’elettronica &c. La Svizzera, che si era mantenuta neutrale nella II Guerra Mondiale, poté iniziare lo sviluppo di una propria industria atomica, quando questa attività era tenuta congelata in Italia, paese sconfitto (anche se patria di Fermi, Rasetti, Segré). Il fatto che io potessi accedere ad un impiego nell’industria atomica svizzera era dovuto alla specialissima condizione di essere coniugato con una cittadina svizzera. I miei colleghi d’Università, ben più bravi di me, mi invidiavano questa posizione. Quuando ancora ero fidanzato di mia moglie, in Svizzera era già in circolazione il Telefonrundspruch, vale a dire la filodiffusione, che presto divenne stereofonica e costituiva una fonte di suono hi-fi in tutte le case. In Svizzera venne ben presto adottata la modulazione di frequenza per le trasmissione ad onde ultracorte, ed altrettanto presto le trasmissioni FM divennero anch’esse stereofoniche. Con la modulazione di frequenza le trasmissioni vennero liberate dalle interferenze atmosferiche, e le trasmissioni dei concerti dal vivo in FM divennero la migliiore sorgente possibile di suono hi-fi. E siccome, al contrario, di dischi LP in vinile erano pieni di difetti e facilmente deperibili, il 28 aprile 1962, in occasione del mio trentatreesimo compleanno, comprai il mio ultimo LP in vinile. Erano le Danze Slave di Dvorak, disco Decca, orchestra diretta da Fritz Reiner. Il disco presentava i soliti difetti degli LP e quindi diedi un addio a quel tiipo di hi-fi, e mi rifugiai nelle registrazioni con un registratore a nastro Revox, ed all’ascolto FM con un sintonizzatore Leak Throughline ed antenna sul tetto.


In italia le cose andavano a rilento. Le trasmissioni FM venivani effettuate sempre sotto la condizione di “in via sperimentale” e la filodiffusione era confinata nelle sale d’aspetto dei dentisti. E quindi, per diversi anni, rimasi assente dal mondo  dell’Alta Fedeltà. Ma nel 1972 in Italia era scoppiata, in ritardo, la passione per il bel suono e cominciarono a fioccare le riviste di settore. Ed a me si presentò l’occasione di fondarne una, col nome di Audiovisione (perché, oltre che di hi-fi, avevo l’intenzione di trattare anche la TV a colori e la videoregistrazione, due settori che  si stavano aprendo proprio in quei tempi). Gli inizi furono molto difficili, per via dell’estrema sottocapitalizzazione della nostra società. Ma ebbi la fortuna di trovare collaboratori straordinariamente bravi, che mi consentirono di introdurre una sorta di test estremamente scientifici (non alla portata dei nostri concorrenti), che in breve conquistarono la fiducia assoluta dei lettori e degli operatori del settore (inportatori, distributori, agenzie pubblicitarie, negozianti…) che non ci fecero mancare il loro solido appoggio. Quando lo stato maggiore della Matsushita di Osaka (oggi Panasonic) ci venne a far visita nella nostra sede di Olgiata, furono stupiti della nostra camera anecoica e della nostra dotazione di strumenti d’avanguardia. Dissero che un’attrezzatura simile non ce l’aveva neanche l’Università di Tokyo. Gli artefici della nostra ascesa tecnica furono dapprima l’ingegnere elettrotecnico Paolo Nuti. Poi il trio di fisici Stefano Sgandurra, Stella Marotta ed Egidio Mancianti, laureati con brillanti votazioni, uno di essi con 110 e lode. Con loro Audiovisione, oltre che test delle apparecchiature, cominciò a produrre anche ricerche scientifiche con l’ausilio dei centri di calcolo dell’Università, e fummo i primi ad utilizzare il computer. Questi tre fisici ebbero come successori un duo stra ordinario formato da Marco Bandiera e Mario Taccini, uno dei quali laureato in Fisica con 110 e lode, avendo presentato come tesi il progetto di un amplificatore digitale, una vera novità mondiale. Ma nel 1982 l’Italia fu colpita da una grossa crisi economica: l’inflazione superava il 20%, ed altrettanto faceva il rendimento dei Buoni del Tesoro. Il governo adottò severe misure restrittive, tra cui la tassazione del 16% sul valore di gmagazzino dei distributori. Inoltre sugli apparecchi hi-fi veniva imposta un’IVA del 35% come articoli di lusso. Le nostre entrate erano costituite quasi totalmente da introiti pubblicitari, ed in breve vedemmo che alle nostre fatture i nostri inserzionisti, anche i più antichi, i più fedeli ed affezionati, rispondevano con insoluti. Non avemmo il cuore di intentare causa a nessuno di loro, tanto sapevamo che si trattava di una situazione di disagio generale. Così mia moglie ed io, che non eravamo nati commercianti, declinammo ogni pressante offerta di aiuto da parte delle banche, e piuttosto che indebitarci preferimmo chiudere senza preavviso la bottega.

Ciò avveniva nel 1983, proprio quando l’alta fedeltà cambiava la sua struttura fondamentale. Prima di stampare l’ultimo numero, avevamo potuto annunciare ai lettori l’avvento del Compact Disc, il disco digitale che spazzava via tutto d’un colpo i difetti e le lamentazioni degli LP in vinile. Questa rivoluzione fu effettuata dalle ditte Philips e Sony con la mediazione del Maestro Herbert von Karajan, che era stato bravo ad ottenere sovvenzioni dal governo austriaco. Feci in tempo a vaticinare che con l’avvento del digitale l’Alta Fedeltà avrebbe fruito di tutti i vantaggi legati allo sviluppo dei computer. E fui un ottimo profeta.


I nuovi prodotti della rinascita hi-fi: il braccio tangenziale Thales di Micha Huber (Svizzera)
Credevo di aver chiuso i miei conti con l’Alta Fedeltà, quando, a trent’anni di distanza, il richiamo della foresta ha fatto sentire il suo ululato. Chiusa la mia rivista Audiovisione ed entrati sul mercato i CD, ne feci una scorpacciata, comprandone quasi tutti in un colpo circa seicento, quando di LP, in tutta la vita, non ne avevo comprato più di dieci. L’Alta Fedeltà diventava una denominazione storica, come l’Impressionismo, il Cubismo, il Divisionismo, il Futurismo &c. L’industria del suono progrediva insieme ai computer, come avevo previsto, e dopo il Cd erano sorti il DVD e l’iPod, quando, prima a livello di notizia curiosa, e poi come una precisa informazione industriale, si dovette constatare il ritorno sul mercato dell’Alta Fedeltà storica, con i giradischi, bracci e pick-up e, pensate un po’, i dischi in vinile! La notizia non mi rallegrò, ma dovetti constatare che il pubblico interessato a questo ritorno al passato esisteva e si faceva sentire. Avevo ritrovato un vecchio amico dei tempi passati, Paolo Corciulo, quando io pubblicavo Audiovisione e lui militava nel gruppo editoriale “Suono”, vale a dire presso i miei rivali ed avversari giornalistici. Lui, nel frattempo, aveva rilevato la testata proprio di Suono, la vecchia ammiraglia del gruppo, e ne era diventato direttore, Siccome voleva ampliare il settore culturale della rivista, mi offrì di collaborare con articoli non tecnici, che dapprima sembravano godere i favori dei lettori, che mi scrivevano assiduamente, ma poi si dileguarono sopraffatti da una maggioranza che pretendeva la pubblicazione di test e di notizie tecniche, come se veramente avessimo fatto un balzo all’indietro di trent’anni. E questo balzo all’indietro mi fu confermato da un altro vecchio amico col quale non avevo mai interrotto i rapporti: Carlo Capitta. Anche costui militava in campo avverso, ed era direttore di Stereoplay, altra testata del gruppo editoriale Suono, che poi, fra tutte, era la rivista più diffusa in tutte le edicole e che, al tempo della crisi, era stata acquistata all’estero e seguita ad essere pubblicata in Germania. Questo amico, anche lui dovette constatare che il passato stava ritornando con furore, talché, senza dire niente a nessuno, tutto da solo, si mise a realizzare un’opera ritenuta impossibile senza una forte organizzazione editoriale alle spalle: E cioè la pubblicazione di un enorme catalogo di ogni tipo di apparecchiatura attinente con l’alta fedeltà, vale a dire non solo i componenti di base fondamentali, ma anche ogni sorta di accessorio. La pubblicazione su web porta il titolo di Annuario Audio, ma è più veritiero il sottotitolo “La Grande Vetrina del Suono”, perché, a dire il vero, Annuario è una pubblicazione che si effettua una volta all’anno, mentre il catalogo di Capitta viene aggiornato in tempo reale, vale a dire istante per istante, registrando ogni minima novità che appare sul mercato. Un vanto di questa pubblicazione è l’imponente scenario storico di cui s’ammanta, fatto della puntigliosa raccolta delle vecchie testate, della ripubblicazione del test di apparecchiature famose e…Scusate, mi dimenticavo che basta fare un click sul suo striscione pubblicitario (detto banner in italiese) per farvi passare ore ed ore di interessante lettura. Quanto a noi, cari amici, vi annuncio che c’è un particolare settore dell’antica Alta Fedeltà che particolarmente mi interessa, in cui Audiovisione introdusse test mai effettuati da qualsiasi altra rivista al mondo, e che ritorna dì attualità proprio con questa rinascita di antiche passione. Di che si tratta ve lo dirò quando avrò avuto il tempo per scrivere il prossimo articolo. MM


Un altro esempio del neoesoterismo: il Da Vinci Monument (Svizzera)
(Foto Google di pubblico dominio. Click per ingrandire)