giovedì 30 giugno 2011

Charlot: Luci della Città

Charlie chaplin

Oramai è diventato un mio marchio di fabbrica: quando devo parlare di Einstein, comincio da Charlie Chaplin, e viceversa. Questa volta, dovendo parlare di Charllie Chaplin, comincio dunque da Einstein il quale, durante il periodo in cui frequentò il Politecnico di Zurigo, si mostrò talmente innsolente nei riguardi della classe insegnante, talché riuscì a malapena a diplomarsi con la votazione più bassa possibile, ed una volta ottenuto il diploma, i titolari di cattedra si passarono parola e gli sbatterono la porta in faccia quando veniva a chiedere loro un posto d’assistente. Fu la fortuna di Einstein che, trovato un posto d’oro all’Ufficio Federale dei Brevetti a Berna, stretto nella cerchia dei suoi cari ed intelligentissimi amici Michele Angelo Besso, Marcel Grossmann, Conrad Habicht e Maurice Solovine, ridotto a ragionare con essi, solo con essi, completamente isolato dal mondo accademico, tirò fuori dal suo ingegno visioni cosmiche che nessuno mai aveva immaginate. E così Einstein non fu assorbito dal mondo accademico, ma lo sgretolò d’un sol colpo, finendo direttamente sulle nove colonne della prima pagina dei maggiori quotidiani. Il pubblico di tutto il mondo lo conobbe, non dalle pubblicazioni scientifiche e dalle dissertazioni accademiche, ma dalle relazioni mozzafiato dei giornalisti. E d’un tratto la fama di Einstein esplose in tutto il mondo, superando quella dei più popolari divi di Hollywood, ma non quella di Charlie Chaplin. I due divennero profondamente amici, ed il pianeta li amava in egual misura, per motivi assolutamente identici …ed opposti: tutti capivano la struggente umanità di Chaplin, e nessuno capiva il pensiero di Einstein! Quando il loro destino non fu identico, fu specularmente opposto al punto da sembrare identico: Einstein dové fuggire dal regno della tirannide, mentre Chaplin dové fuggire dalla terra della libertà. A Chaplin, primatista mondiale di risate, lacrime ed incassi, non fu mai dato un premio Oscar. All’età di 83 anni ci si ricordò di lui, ci si domandò perché non fosse già morto, si pensò di organizzare una bella festa e, per l’occasione, gli si conferì l’Oskar che si dà a chi non si vuol dare l’Oskar: l’Oskar alla carriera…Mentre il mondo accademico non trovò modo di far pervenire al soglio del Premio Nobel né la Relatività Speciale, né la Relatività Generale, e quindi conferì il Premio Nobel ad un suo vecchio lavoro, neppure completamente originale, sull’Effetto Fotoelettrico. Il 30 gennaio 1931 Charlie Chaplin invitò Albert ed Elsa Einstein alla proiezione in anteprima di City Lights al tt di Los Angeles. Scrissi a suo tempo: Einstein e la moglie sedevano accanto a lui. Vi ricordate questo film? È quello della fioraia cieca, di cui Charlot s’innamora e che, sfruttando certe inaspettate, favorevoli circostanze, riesce ad aiutare con cospicue somme di danaro. Così la ragazza, che crede Charlot un milionario, può affrontare un’operazione e riacquista la vista. Mette su un lussuoso negozio di fiori, e tra i ricconi eleganti che lo frequentano cerca sempre di scoprire chi fosse stato il suo ignoto benefattore. Finché un giorno Charlot, stracciato come al solito, e beffeggiato dai ragazzacci, passa avanti al negozio, la vede, la riconosce, e fa per allontanarsi. Ma lei, vedendo quel pover’uomo stracciato e beffeggiato, ne ha compassione, esce dal negozio, gli offre un fiore e gli mette in mano una monetina. Stringendo quella mano, la ragazza riconosce il suo benefattore e….Einstein scoppiò a piangere.

Virginia Cherrill

Nascita di “City Lights”
Quando Chaarlie Chaplin intraprese la lavorazione di City Lights, erano già passati tre anni da che il film sonoro era stato inventato e lanciato sugli schermi di tutto il mondo. Intendiamoci, il termine film sonoro merita qualche precisazione: anche ai tempi del muto il film muto non era silenzioso: prima era accompagnato dalle risate e dalle esclamazioni di stupore del pubblico, il quale si precipitava verso le uscite quando i gangsters sparavano pistolettate…silenziose. Era tale il potere suggestivo dello schermo d’argento che sono celebri le scene di panico destate dall’Arrivo di un treno alla stazione de la Ciotat. Poi divenne di prammatica l’accompagnamento musicale di un pianoforte in sala, o di un organo, o di un complessino di musicanti. Ma persino dopo l’avvento della colonna musicale bisogna distinguere tra il film sonoro, ed il film parlato, in cui il dialogo viene sincronizzato col cosiddetto labiale dell’attore. Ebbene, nel 1927 era uscito nelle sale, destando un indicibile scalpore, The Jazz Singer, (Il cantante di Jazz), il primo film sonoro parlato, ed in quello stesso istante il film muto morì. Ma non per Charlie Chaplin, il quale concepiva la recitazione dei suoi film come una pantomima, cioè una recitazione totale, alla quale tutto il corpo veniva chiamato a partecipare con tutta la sua capacità espressiva. Egli riteneva che questo tipo di recitazione era più adatto del parlato a svolgere la storia del suo nuovo film City Lights, imperniato su un sub-plot (una trama secondaria che si sviluppa parallelamente alla vicenda principale) di un’intensità sentimentale tale da intimorire lo stesso Chaplin: la storia della fioraia cieca che riacquista la vista. Per questa sua determinazione a voler girare un film muto invece che seguire l’onda del parlato, Chaplin gettò nella costernazione l’intera cerchia delle sue amicizie, che fecero ogni tentativo per dissuaderlo. Ma City Light era intrinsecamente un film muto per eccellenza, Chaplin ne era convinto, e la sua preoccupazione era che tre anni di parlato avessero in un certo senso ridotto le capacità pantomimiche degli attori: “Adesso, invece di recitare, parlano e basta. Il loro senso del tempo va in parole invece che in azione”. Un’altra fonte di preoccupazione era quella di trovare una ragazza che sembrasse cieca senza alcuno scapito alla bellezza e al fascino. La maggior parte delle ragazze che si presentavano guardavano verso alto mostrando il bianco dell’occhio, spettacolo piuttosto controproducente. “Ma il destino mi venne incontro: un giorno sulla spiaggia di Santa Monica c’era un gruppo cinematografico che girava un film. E c’erano molte belle ragazze in costume da bagno. Ed una mi salutò. Era Virginia Cherrill che avevo già incontrato precedentemente”, racconta Chaplin. Questa si avvicinò e disse: “Quando vengo a lavorare per voi”? Lì per lì le sue forme così attraenti nel suo costume blu non suggerivano l’idea che ella potesse interpretare un ruolo altamente spirituale.

La fioraia cieca

Nascita della fioraia
“Ma dopo aver provato con altre attrici, nel pieno dello sconforto, la chiamai. Con mia sorpresa, ella aveva la facoltà di sembrare cieca. La istruii su come volgersi verso di me, ma guardando all’interno, senza vedermi e…sapeva farlo!” “La Cherrill era brava e fotogenica, ma aveva poca esperienza di recitazione, e ciò si rivelò come un vantaggio, specie in un film muto in cui la tecnica del movimento riveste un’importanza fondamentale. Le attrici esperte spesso sono troppo fissate nelle loro abitudini, mentre nella pantomima la tecnica del movimento è così meccanica da essere sentita come un elemento di disturbo. Quelle con minor esperienza recitativa si adattano più facilmente alla meccanica”. Il battesimo del fuoco della fioraia si ha in una scena in cui Chaplin (“The Tramp”), per evitare il blocco del traffico, attraversa la strada entrando in un macchinone di lusso ed uscendo sul marciappiede sbattendo lo sportello. Viene udito dalla fioraia che gli si avvicina e gli porge il suo mazzetto, pensando che sia il proprietario dell’automobile. Con la sua ultima monetina il Tramp acquista un fiore per l’occhiello, ma urta la mano della fioraia ed il fiore cade per terra. Lei si piega su un ginocchio e lo cerca. Lui glielo indica e lei non lo vede, finché il Tramp capisce che la fanciulla è cieca. La durata della scena è di settanta secondi, ma ci vollero cinque giorni di continue riprese finché Chaplin fu soddisfatto. “Non per colpa della ragazza, ma, almeno in parte, per colpa mia, perché mi ero portato in uno stato neurotico di inattuabile perfezionismo”. Per finire le riprese di City Light ci volle ancora un anno.

Il crollo in borsa
Durante la lavorazione di City Light avvenne il crollo della Borsa di Wall street. Fortunatamente Charlie Chaplin non vi fu coinvolto, come racconta nella ”My Autobiography”: “Avevo letto Social Credit, il llibro del maggiore H. Douglas, che analizzava e metteva in diagramma il nostro sistema economico, stabilendo che, basilarmente, tutto il profitto proviene dai salari. La disoccupazione, perciò, costituiva una perdita di profitto ed una diminuzione di capitale. Rimasi così impressionato da questa teoria che, nel 1928, quando la disoccupazione negli Stati Uniti raggiunse i 14 milioni vendetti tutte le mie azioni e tenni il mio capitale liquido. Il giorno prima del crash pranzai con Irving Berlin, che era pieno di speranze sull’andamento della borsa. Disse che una cameriera dove pranzava aveva guadagnato $ 40.000 in meno di un anno raddoppiando i suoi investimenti. Lui stesso possedeva un capitale azionario quotato qualche milione di dollari, che gli assicurava una rendita maggiore di un milione di dollari. Mi domandò se anch’io giocavo in borsa e risposi che non credevo ai valori della borsa quando c’erano 14 milioni di disoccupati. Quando gli consigliai di vendere tutte le azioni finché poteva ricavarne un profitto, lui si indignò. Scoppiò un litigio: ‘Perché disprezzi così l’America?’ e mi accusò di essere un disfattista. Il giorno dopo il mercato crollò di cinquanta punti e la fortuna di Irving Berlin fu spazzata via. Due giorni dopo venne nel mio studio: era sbalordito e si scusò, e volle conooscere la fonte delle mie informazioni”.

Prime prove in pubblico
Alla fine le riprese di City Lights furono completate, e rimaneva solo da comporre la colonna sonora, lavoro che Charlie Chaplin intraprese con entusiasmo, perché moriva dalla voglia di comporre lui stesso la musica. “Cercavo di comporre musica elegante e romantica per dare alle mie commedie una cornice in contrasto col Tramp, lo straccione vagabondo che ne era il protagonista. La musica elegante dava alle mie commedie una nuova dimensione emotiva. Questo, gli arrangiatori musicali non lo capivano. Loro volevano che la musica fosse divertente, ed io spiegavo loro che non volevo competizione, volevo solo che la musica fosse un contrappunto di grazia e di incanto, che esprimesse un sentimento senza il quale un opera d’arte rimane incompleta.


Il primo talkie del 1927



Qualche musicista voleva fare il saputo con me e mi parlava della restrizione degli intervalli presenti in una scala cromatica ed in una diatonica, al che rispondevo, col tono dell’ingenuo: ‘Basta che ci sia la melodia, il resto è accompagnamento’. Niente c’è di più avventuroso ed eccitante che ascoltare per la prima volta la propria musica suonata da un’orchestra di cinquanta elementi”. Quando finalmente City Lights fu sincronizzata Charlie Chaplin volle sapere che effetto faceva, ed organizzò una proiezione non annunciata in un teatro del centro. Fu una macabra esperienza, perché il film fu proiettato in una sala semivuota, avanti ad un pubblico che era entrato per assistere ad un drama ed invece si trovava di fronte ad una commedia, ed era quantomeno stupefatto, e ci mise un bel po’ prima di potersi capacitare. Ci furono anche deboli risate. Ma prima che il film fosse finito “vidi gente che si alzava e veniva su per il corridoio. Domandai se tutti stavano andandosene, ma il mio assistente mi disse che quelli andavano alla toilette. Dopo un po’ bisbigliai che nessuno tornava indietro, e mi fu fatto notare che qualcuno avrà dovuto prendere un treno. Alla fine avevo la sensazione che fossero svaniti nel nulla il lavoro di due anni e l’investimento di un milione di dollari. All’uscita il direttore del teatro mi aspettava nell’atrio e si congratulò con me. ‘È molto buono’, disse sorridendo, e come ulteriore complimento aggiunse: ‘Adesso, Charlie, voglio vedervi fare un talkie (film parlato) – è il mondo intero che lo sta aspettando”. Abbozzai un sorriso. La nostra squadra era uscita dal teatro e tutti stavano aspettando sul marciapiede. Li raggiunsi. Reeves, il nostro amministratore, di soliito sempre serio, questa volta con una sorta di gorgoglio nella voce, si congratulò: ‘Risultato splendido, mi sembra, considerando che..’ A questo punto mi resi conto che non avevo ancora fatto nulla per vendere il film. Ma in definitiva ciò non mi parve un problema insormontabile, con tutta la fama e la popolarità che mi circondava. Joe Schenck, il presidente della nostra United Artists, mi avvertì che i proprietari delle sale non mi avrebbero più offerto le stesse condizioni di qualche anno prima, al tempo di The Gold Rush (La Corsa all’Oro)”. Prima tutti attendevano col fiato sospeso ogni minima novità da parte di Charlie Chaplin, adesso preferivano temporeggiare e vedere come si sviluppavano le cose. La distribuzione si presentava particolarmente difficile a New York, ove tutte le sale erano prenotate e bisognava aspettare il proprio turno. L’unica soluzione disponibile a New York era il teatro George M. Cohan con una capienza di 1.150 posti e che non era situato nelle zone più frequentate della metropoli. E non era neanche un cinema vero e proprio: si dovevano affitare le quattro mura a 7.000 dollari la settimana, per un minimo garantito di otto settimane, e provvedere a tutto il resto: direttore, cassa, usceri, operatori, manodopera, insegne luminose e pubblicità. Poiché Chaplin era esposto di tasca sua per una somma di due milioni di dollari, decise di prendere il toro per le corna e stipulò il contratto d’affitto. Nel frattempo Reeves aveva combinato di esordire a Los Angeles in un locale appena finito di costruire.


Albert Einstein e Charlie Chaplin alla prima di City Lights



I signori Einstein
Come avevo avvertito, parlare di Einstein e di Chaplin contemporaneamente è un fatto ineluttabile, ed ora riascoltiamo la storia della prima, anzi dell’anteprima di City Lights a Los Angeles, questa volta per bocca stessa del titolare della vicenda, cioè di Charlie Chaplin, che così scrive nella sua autobiografia: ”Poiché gli Einstein erano già sul posto (Los Angeles), espressero il desiderio di intervenire alla presentazione, ma penso che non si rendessero minimamente conto in che ginepraio si stessero cacciando. Alla vigilia della première essi vennero a mangiare a casa mia, e poi ci avviammo tutti verso il centro. Per diversi isolati il corso era bloccato dalla folla. Auto della pollizia ed ambulanze tentavano di scavarsi un passaggio tra la folla che aveva infranto le vetrine dei negozi adiacenti all’ingresso del cinema. Con l’aiuto di uno squadrone di agenti, fummo spinti verso il foyer. Come odio quelle serate inaugurali, la tensione, l’odore disgustoso misto tra il muschio, il sudore ed il fumo! E l’effetto nauseante sul sistema nervoso! Il proprietario aveva costruito uno splendido teatro, ma, come gran parte degli esercenti di allora, aveva poca dimestichezza con la proiezione dei film. Lo spettacolo ebbe inizio con la presentazione dei titoli e riscosse il primo applauso della serata. E finalmente apparve la prima scena, Il mio cuore prese a battere furiosamente: era la scena dell’inaugurazione di un monumento. La gente cominciò a ridere. Le risate divennero ruggenti: era andata! Tutti i miei dubbi e timori cominciarono a svanire. Volevo piangere, Per tre bobine il pubblico non fece che ridere, e per i nervi e l’eccitazione io ridevo insieme a loro. Poi accadde una cosa incredibile: improvvisamente, nel bel mezzo delle risate il film s’interruppe! Si accesero le luci ed una voce attraverso gli altoparlanti annunciò: ‘Prima di riprendere la proiezione di questa meravigliosa commedia, vogliamo prenderci cinque minuti del vostro tempo per esporre i meriti di questo bellissimo nuovo teatro’. Non potevo credere alle mie orecchie. Diventavo matto! Saltai su dalla mia poltrona e corsi per il corridoio gridando ‘Dov’è quello stupido figlio d’un cane del direttore? Io l’ammazzo!’. Il pubblico era tutto con me, cominciò a battere i piedi e ad applaudire mentre quell’idiota inneggiava alla bellezza di quell’appuntamento in teatro. Ma quello smise all’improvviso non appena il pubblico cominciò ad inveire. Ci volle un’intera bobina prima che le risate riprendessero il loro volume. In fin dei conti le cose erano andate bene. Durante la scena finale mi accorsi che Einstein si asciugava gli occhi, prova definitiva che gli scienziati erano incurabili sentimentaloni!” Bene, anche Charlie Chaplin se n’era accorto.


Autobiografia di Charlie Chaplin



Il bollettino della vittoria
“Il giorno dopo partii per NewYork senza attendere le recensioni, perché avevo solo quattro giorni a disposizione prima della prima. Arrivato, mi accorsi con orrore che non era stata fatta nessuna pubblicità, tranne che lo stantìo annuncio che ‘Un vecchio amico torna fra noi’. Presi una mezza pagina pubblicitaria nei maggiori giornali di New York con la scritta: CHARLES CHAPLIN AT THE COHAN THEATER IN CITY LIGHT. CONTINUOUS ALL DAY AT 50 CENTS AND ONE DOLLAR. Spesi così altri $30.000 per i giornali, poi presi in affitto un impianto elettrico per l’illuminazione della facciata del teatro per altri $30.000. Non c’era tempo da perdere. Stavo in piedi tutta la notte per mettere a punto ogni dettaglio. Il giorno dopo conferenza stampa in cui spiegavo perché avessi deciso di girare un film muto. La United Artists era dubbiosa sui miei prezzi d’ingresso. I maggiori teatri caricavano al massimo 80 e 35 cents, per di più con film parlati ed avanspettacolo. La mia psicologia era basata proprio sul fatto che ssi trattava di un film muto (ma sonoro), e chi lo voleva vedere non si sarebbe spaventato per il prezzo. E tenni duro. Alla première il film venne fuori benissimo, ma a volte le première non sono del tutto indicative. Era il pubblico normale quello che contava. Chi era ancora interessato ad un film muto? Stetti sveglio tutta la notte, ma la mattina fui svegliato dal mio pubblicitario, che bussò alla mia porta alle undici in punto e strillava tutto eccitato: ‘ Ragazzi, ce l’abbiamo fatta. Che successo! Ce la fila tutta intorno all’isolato già dalle dieci del mattino ed il traffico è bloccato. Ci sono dieci agenti a tenere ordine, fanno a botte per entrare, e dovete sentire che baccano!’ Mi rilassai, ordinai da mangiare e mi feci dire dove c’erano state più risate, ed alla fine mi recai sul posto di persona…..In una sala da 1.150 posti facemmo $80.000 la settimana per tre settimane. La Paramount che ci stava di fronte, con 3.000 posti a sedere, e con Maurice Chevallier presente in persona nella stessa settimana raccolse solo $38.000. City Lights proseguì per dodici settimane e, tolte tutte le spese, guadagnò $400.000. La ragione perché fu tolto, fu a causa della richiesta dei circuiti cittadini, che volevano far anche loro la loro parte di guadagno prima che noi spremessimo la fonte fino all'ultima goccia".



(Foto Google di dominio pubblico. Video YouTube. Click per ingrandire)