mercoledì 8 dicembre 2010

Aimi Kobayashi e l’ombra di Walter Gieseking


Aimi Kobayashi (www.paintingsbymargaret.com)

Aimi Kobayashi. la perla del Sol Levante, la più grande piccola pianista di questo pianeta sta uscendo dalla sua infanzia, ora ha quindici anni, e chi ha da essere una donna, a quest’età lo è. Finora ha dominato con mano sicura la scena pianistica mondiale per la sua fenomenale celeste istintiva spontanea capacità di tradurre istantaneamente il suo patrimonio genetico fatto di caratteri rappresentativi e di fonemi nella sintassi occidentale fatta di singole lettere, di sostantivi e di costruzione della frase in base all’analisi logica. Neanche Lafcadio Hearn (Koizumi Yakumo), uno dei pochissimi scrittori occidentali ad essere naturalizzato in Giappone nella seconda metà dell’ottocento, è riuscito a compiere il cammino inverso, quello di entrare nel canone letterario giapponese, non avendo compiuto opere in lingua giapponese. Alla fine dell’ottocento, l’imperatore Meiji ristabilì l’autorità della famiglia imperiale al di sopra del potere dello Shogun, la famiglia che per quasi un millennio aveva fatto sue le funzioni di Capo dello Stato. L’imperatore Meiji per far uscire il Giappone dal suo stato di isolazionismo, importò dall’Europa colonnelli, avvocati, medici, ingegneri, artisti ed imprenditori, ed introdusse il latte nel rancio militare, affinchè i soldati si incattivissero sul modello dell’esercito inglese. Dopo la Prima Guerra Mondiale, fu l’Italia a costituire il modello politico-amministrativo del Giappone, col suo Diritto Corporativo e con i suoi treni in orario. Invece, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i giapponesi si diedero mani e pié nelle mani del vincitore Generale Macassa (MacArthur) e, con il loro nuovo credo democratico entrarono definitivamente nella politica e nella cultura del mondo occidentale. Aimi Kobayashi, nella sua infanzia e fanciullezza, è diventata un punto di riferimento della cultura occidentale, oltre che un vanto per la sua patria giapponese. Ebbene, uscita dall’infanzia e fanciullezza ed entrata nella adolescenza, Aimi Kobayashi a che punto è della sua carriera?

Shirley Temple


L’esempio di Shirley Temple
Per non fare il titolo troppo lungo, ho scritto “Aimi Kobayashi e l’ombra di Walter Gieseking”, ma la prima ombra che si fa incontro ad Aimi è quella del prodigio cinematografico americano degli anni trenta Shirley Temple, che cominciò la sua carriera a tre anni, che tra gli otto e i dieci anni stabiliva annualmente il primato degli incassi al botteghino, e che a quindici anni era già tramontata. Nessuna colpa da parte sua, nessun mutamento nei gusti del pubblico, ma questa bambina deliziosa, dai riccioli d’oro, rimase tale anche da grande. In effetti, non divenne mai grande: rimase piccolina e con una testolina troppo grande rispetto al resto del corpo. Il suo miracolo non risiedeva soltanto nella sua grazia infantile, ma nella sua innata, incredibile, smisurata abilità scenica, che la portava istintivamente a dettare tempi e modi alla compagnia recitante. Ma credete davvero che un regista potesse dire a Shirley Temple che cosa dovesse dire, fare, accennare, atteggiare e sottintendere? Ma era esattamente il contrario: il bravo regista capiva dove la bambina si dirigeva, e le liberava lo spazio in cui espandersi. Non so con quale spirito Shirley Temple passò dalla fama all’oblio. Non era una donnetta qualunque, e nel dopoguerra fu nominata ambasciatore degli Stati Uniti in Cecoslovacchia. Non era un’ambasciata di comodo che un Presidente dona ad una vecchia gloria del cinema. Praga, capitale della Cecoslovacchia, era un avamposto del “Mondo Libero”, e lì si combatteva al calor bianco la guerra fredda contro l’orso sovietico. Sono contento nell’apprendere che Shirley Temple è ancora in vita, e quindi ha ottantadue anni, uno più di me. Ma giunta a quindici anni, è Aimi Kobayashi di fronte al declino? E perche mai?

Il cambiamento di Aimi
Non credo che Aimi abbia mai sofferto delusioni e disillusioni. Ma da maestra dottrinaria è diventata sentimentale e di conseguenza, temo, feribile. Non credo che mai il caldo applauso del suo pubblico le sia venuto meno. Anzi, più il tempo passa, più viene conosciuta ed amata in tutto il mondo. Ma ora ora non è più una bambina prodigio, è una donna in carriera, la carriera di una pianista che viene confrontata con tutti i modelli del presente e del passato. Il momento della sua transizione da bambina a donna è segnato dalla sua interpretazione della sonata di Beethoven detta Waldstein (che in Italia viene ancora chiamata l’Aurora). È una sonata raggiante, elettrica, illuminata da chiaroscuri e da sprazzi di sole abbacinante, che richiede al più consumato dei pianisti prudenza ed autocontrollo: i pericoli interpretativi sono tanti ed imprevedibili. Le armate di Hitler furono bloccate e respinte dai generali e dai soldati sovietici, ma anche il Generale Inverno ebbe la sua parte congelando i cingoli dei panzer tedeschi. Da piccola Aimi Kobayashi non aveva nessun problema esecutiivo, né tantomeno interpretativo: tutto quello che faceva era giusto, perché era guidata dal genio istintivo e dall’abilità acquisita. Adesso sta cambiando: conosco quattro sue esecuzioni del notturno in do diesis minore opera 20 di Chopin, ed in ognuno di queste si sente crescere il carico della componente affettiva: la prima era perfetta, la seconda e la terza erano di transito, e la quarta è un trionfo emotivo che evoca le estasi divine di Santa Teresa d’Avila, così scrissi in un precedente articolo. Ma che dire della sonata Waldstein? Io ho già accennato ad una sua esecuzione avvenuta in una casa privata a New York, qualche giorno prima del suo concerto alla Carnegie Hall. Il video disponibile su YouTube è un po’ tormentato, ed è spezzato proprio nel bel mezzo dell’Allegretto del Rondò, quindi nel mio precedente articolo su Aimi Kobayashi ho preferito non pubblicarlo. Ma ho pubblicato il mio giudizio su quell’esecuzione, e cioè che Aimi eseguiva quella sonata seguendo l’archetipo assoluto segnato dall’esecuzione del 1938 di Walter Gieseking, e cioè il modello perfetto. Chi era Walter Gieseking?

Walter Gieseking


Walter Gieseking
La biografia di Walter Gieseking è ben differente da quella tipica dei pianisti di successo mondiale. Non fu un bambino prodigio. Ma forse lo fu, pur rimanendo inespresso. Il padre era un medico ed entomologo tedesco sempre a caccia di farfalle da catalogare, e Walter nacque nel 1895 a Lione, nella terra di Francia. Il bambino iniziò lo studio del pianoforte a quattr’anni, ma siccome quella famiglia era errabonda e sempre in movimento, il suo insegnamento iniziale fu frammentario, occasionale, privato ed instabile. Comunque dal 1911 al 1916, e cioè dall’età di sedici a quella di ventun anni, frequentò il conservatorio di Hannover, molto apprezzato dal direttore Karl Leimer col quale, poi, scrisse un metodo d’insegnamento del pianoforte. Nel 1915 Walter Gieseking aveva dato il suo primo concerto, ma già l’anno successivo fu richiamato alle armi e rimase in servizio come componente della sua banda regimentale per tutto il resto della Guerra Mondiale del 1914-18. Il suo primo recital avvenne a Londra nel 1923, all’età di 28 anni, e ne guadagnò immediatamente la fama di pianista eccezionale. Durante la seconda Guerra Mondiale Gieseking rimase in patria, continuò la sua carriera concertistica in Germania, e si esibì anche nei paesi, come la Francia, occupati dai tedeschi. E ciò fu considerato come collaborazione col Partito Nazional-Socialista e gli valse la sua iscrizione nelle liste nere. Nel gennaio del 1947 le autorità militari USA lo liberarono da questa accusa, e lui riprese la sua carriera di concertista. Ma le porte degli Stati Uniti gli rimasero precluse per la campagna ostile organizzata dalla lega dei veterani, ed egli continuò a mietere allori nelle altre parti del mondo. Finché nel 1953 poté tenere un concerto alla Carnegie Hall, che andò completamente esaurito e si concluse con una clamoroso trionfo. Caratteristica di Gieseking fu la sua eccezionale memoria visiva, che gli consentiva non solo di imparare un intero concerto in un giorno, guardando lo spartito, ma di farlo viaggiando in treno. Anzi, al tempo mio, circolava un aneddoto in cui Gieseking affermava che si sarebbe preparato anche meglio se in treno, di frronte a lui, non si fosse seduta una graziosa signorina.
Come forse ho già detto e scritto, negli anni ’40, i miei anni del ginnasio e del liceo, insieme ad altri compagni passavamo interi pomeriggi a casa del più bravo e più ricco della classe, che possedeva un imponente radiogrammofono ed una buona collezione di dischi di musica classica, e tra questi primeggiava senza rivali la famosa sonata Waldstein con le inimitabili volate di Gieseking. È da allora che ho cominciato ad amare tanto la sonata quanto il suo esecutore, tanto da farne due punti di riferimento assoluti. I tempi di Gieseking sono inesorabili, senza indugi e senza esitazioni, senza alcuna concessione sentimentale. Ma non esclusivamente metronomici, bensì ricchi di tutta quella espressione che proveniva dalla scrupolosa osservazione delle indicazioni contenute nello spartito. Per molti decenni ho conservato nel cuore l’eco di quella esecuzione, senza poterla riascoltare perché uscita dai canali commerciali, finché, qualche anno fa, dopo oltre mezzo secolo di rimembranze, l’ho riscoperta in un negozio Jäcklin di Zurigo, seminascosta in un cofanetto di vari CD commemorativi del grande interprete. L’ho ascoltata ed ho riconosciuto battuta per battuta l’emozionante esecuzione di allora. Sono tornato di corsa a casa ed ho portato anche mia moglie ad ascoltarla (a Zurigo è possibile passare un intero pomeriggio ad ascoltare i dischi in un negozio di musica). Perché non l’ho acquistata? Semplicemente perché suonava esattamente come la Waldstein dei miei tempi: con tutto il fruscio ed i graffi dei 78 giri di ceralacca di allora! Ma ultimissimamente ho ritrovato la mia sonata in YouTube in una splendida riedizione elettronicamente lavata, stirata e lucidata, e m’è sembrato che la mia vita ricominciasse da capo. Contemporaneamente su YouTube è apparsa la prima Waldstein di Aimi Kobayashi, registrata quando la bimba prodigio aveva dodici anni, ed ero sicuro che quella bimba avrebbe potuto anche superare il maestro. Non le mancava la tecnica trascendentale e l’intrepida determinazione di eseguire la sonata secondo lo spartito. Poi un amico mi ha avvertito di una nuova esecuzione di Aimi, registrata un mese dopo aver compiuto i quattordici anni, e sono corso ad ascoltarla con trepidazione. Il risultato conferma le aspettative: Aimi sta cambiando.

La Waldstein di Nagoya
La sala da concerti di Nagoya è piccola ed aggraziata, completamente rivestita in legno, con un bel Bösendorfer piazzato nel fondo. Il pubblico è informale, sembra accorso per una festa familiare, comunque qualche signora indossa il kimono. Aimi Kobayashi suona la Waldstein in quella che adesso è diventata la sua maniera. Alla sua tecnica non si può chiedere di più: è arrivata al massimo: i trilli mozzafiato di Beethoven, doppi, tripli, a mani incrociate, escono argentini e perentori come un campanello elettrico dalle sue ditine al titanio. I crescenddo e i diminuendo, i fortissimi ffff e gli improvvisi pianissimi pppp, gli accelerati e i rallentati, tutto viene esattamente riprodotto come da spartito, ed arricchito e cantato da questa nuova Aimi sentimentale che sembra voler abbracciare tutta l’umanità, amici, familiari ed amanti, in un affettuoso amplesso emotivo. Aimi cerca nuovi fraseggi melodici ed espressivi legati cantabili nei tempestosi concertati beethoveniani e, lasciatemelo dire, cerca di superare l’autore. E così la bambina d’acciaio, quella che fu una bambina d’acciaio, espone all’occhio del mondo le sue trepidazioni femminili. La sua Waldstein, la Waldstein di Nagoya, non è una rocca imprendibile come la Waldstein di Walter Gieseking, bensì una grande attrazione estetica che raduna e manda in tripudio la moltitudine degli adepti. È il sogno dei navigatori in rotta verso lo sconosciuto infinito.
Yuko Ninomiya
Accanto al piccolo idolo delle folle sta, benigna e maestosa, una gran dama, la signora Yuko Ninomiya San, profonda esperta del concertismo internazionale: a lei spetta il compito di guidare il talento di Aimi Kobayashi non solo sulla via del successo popolare, successo di cui la sua allieva già gode in misura universale, ma sulla più difficile via della verità. Ci sono sempre molte verità, per esempio la verità esecutiva e la verità interpretativa. E ci sono i casi in cui queste due verità parziali conincidono in una inderogabile veriità assouta. È questo il caso della battuta n. 64 del Rondò, in cui la mano sinistra non è chiamata a compiere un’escursione di 14 note, ma di eseguire due scatti, due schiocchi di frusta, due colpi di pistola di una ottava ciascuno, ogni ottava iniziata da una nota accentata, puntata e di valore doppio delle note compagne di quartina. Ciascuna di queste note iniziali fa da trampolino, da pedana di lancio delle due ottave, e l’esecuzione della successione di 14 note si concentra sull’esecuzione accentuata di queste due note capofila, cui le altre notine si saldano automaticamente come gli elettroni attorno al nucleo di un atomo. Lettore, non credere che voglia fare vani accademismi: sto cercando di descrivere in termini immaginifici il modo con cui Aimi stessa eseguiva la battuta n. 64 nella sua precedente esecuzione, detta la Waldstein AADCT (cioè patrocinata dall’American Association for the Developement of the Gifted and Talented), che Aimi produsse all’età di dodici anni.. Dal punto di vista esecutivo ed interpretativo, Aimi era già sulla buona via due anni prima, e non capisco questa sua variante regressiva. Madama Ninomiya, sia clemente, e prenda come suo cavaliere Walter Gieseking: insieme indicate ad Aimi la giusta rotta di navigazione.
Alla battuta n. 464 del Rondò, quando dall’Allegretto siamo passati al Prestissimo, troviamo l’inizio di una serie di cinque glissati d’ottava, che preludono all’incantevole passeggiata sotto i mandorli in fiore, che si articola in un trillo (con melodia) di 38 battute. Aimi, evidentemente per la sua costituzione fisica, non esegue i glissati ad una sola mano (alternativamente la destra e la sinistra), ma adotta una variante a me sconosciuta, diversa dalla semplificazione abituale riportata in tutti i libri di musica. Benché l’abbia capita, per poterla pubblicare mi piacerebbe avere la trascrizione di questa mirabile variante, ma una stella che è l’orgoglio di tutto il mondo deve assolutamente eseguire i glissati originali, dato che è passato il tempo delle registrazioni solo audiofoniche: quelle attuali digitali audiovisive, con i loro primissimi piani delle mani sulla tastiera, non lasciano spazio a nessun nascondiglio.
Concludo che questa di Nagoya è una tappa di un lungo cammino di gloria. Tra cent’anni saranno orgogliosi i collezionisti che potranno rivedere un momento di transizione di questo prodigio. Siamo fieri noi occidentali, noi europei che abbiamo dato i natali a Beethoven e a tutti i grandi compositori di musica. Siamo fieri di questa bambina orientale con tanta spontanea padronanza entrata nelle profondità della nostra sintassi culturale. Saremmo estasiati se la bambina potesse venire tra noi, e risiedere nella terra dove hanno mosso i loro passi, e nell’aria che hanno respirato tutti i più grandi musicisti del mondo, da Beethoven a Chopin, da Domenico Scarlatti a Wolfango Amadeo Mozart, da Bach a Liszt e a Brahms, sino a quel Muzio Clementi che compose la sonatina che Aimi Kobayashi suonò nella sua prima esibizione come concertista internazionale all’età di quattr’anni.