giovedì 21 luglio 2011

Yuja Wang: la belva da concerto

Di Marino Mariani
Yuja Wang

Per tutta la durata della mia vita studentesca, ho sempre fatto parte di un gruppo intellettuale dedito ad una polemica continua con la quale, ce ne rendevamo conto, non solo esponevamo sinceramente il nostro pensiero sull’arte in generale, sulla musica e sulla pittura contemporanea in particolare, ma ce ne servivamo per affinare una sorta di ars oratoria come quando, due millenni fa, i giovani romani si recavano al Foro per ascoltare i dibattiti tra i grandi oratori, e facevano il tifo come ad una partita di calcio (due millenni dopo). Quali che fossero i reali fondamenti di queste nostre animate discussioni, rimane il fatto che mai eravamo concordi sulle interpretazioni di pianistoni del calibro di Arturo Benedetti Michelangeli, di Artur Schnabel, di Wilhelm Backhaus, di Wilhelm Kempf, di Carlo Zecchi, di Alfred Cortot, di Dinu Lipatti e di Clara Haskill….Tranne che sul nome di Walter Gieseking che, in virtù della sua interpretazione della sonata Waldstein di Beethoven, eravamo d’accordo che fosse superiore a tutti gli altri. Adesso sono ancora in rapporti telematici col mio principale oppositore istituzionale, e ad un certo punto abbiamo scoperto, con vero stupore, che, se da una parte le nostre divergenze degli anni 40 sono state pienamente riconfermate, con ciò dimostrando che il nostro modo di pensare non è mutato, dall’altra abbiamo riscontrato una perfetta identità di vedute nei confronti delle recentissime, inaspettate e travolgenti bambine prodigio. Una unanimità che non si limita al plauso per la loro bravura tecnica. Anzi, la loro bravura la diamo per scontata, quasi fosse inessenziale. Quello che ci sconvolge veramente è la constatazione che noi riteniamo giusto, anzi: inappellabile il loro pensiero! Comunque suonino, chiunque siano i loro insegnanti, la loro interpretazione ci appare, senza eccezioni, giusta. Spontaneamente diamo loro un credito che abbiamo negato ai più celebrati esponenti nati e cresciuti nell’ambito della nostra cultura occidentale. Forse subiamo il loro fascino? Senza dubbio! Una volta che la prima sensazione d’ascolto ci suggerisce che siamo in presenza di una esecuzione prodigiosa, quella bambina automaticamente viene a far parte del nostro stuolo, della nostra famiglia, e per lei stravediamo. Finora si è sempre trattato di bambine di origine estremo orientale, che in famiglia ed a scuola hanno appreso un linguaggio ideografico, il che costituisce una prima, (apparentemente) invalicabile barriera nei confronti della cultura occidentale. La principale differenza tra un linguaggio ideografico ed uno alfabetico è che, nelle lingue occidentali, le parole sono formate da lettere, con le quali si possono formare un numero infinito di parole.



Yuja bambina

Ma, a sua volta, il significato delle parole si apprende dal linguaggio quotidiano, oppure va ricercato in un vocabolario. Al contrario, i duemila grafemi che costituiscono il linguaggio giapponese, ognuno di loro contiene il proprio significato. Il loro alfabeto non è fatto di lettere, bensì di parole. L’esempio che trovai nel primo libro giapponese che lessi a proposito di questi problemi di linguaggio, è tanto chiaro ed esplicativo che non lo dimenticherò mai, pur avendolo studiato oltre trent’anni fa. Era l’esempio di un nome scientifico, quello di “Staphylococcus haemolyticus”. In Italiano (stafilococco emolitico) dovete chiederlo ad un esperto o cercarlo a lungo, mentre in giapponese è realizzato con quattro ideogrammi di ognuno dei quali il significato è noto, e che tutti assieme equivalgono a: “piccolissimo animale (microorganismo, batterio) – a forma di grappolo (o collana, o catenella) – che rende il sangue – duro come la pietra”. Fatemi aprire una rapida parentesi: per scrupolo prima di scrivere questo esempio, ho voluto controllare che cosa c’era su internet. Per “staphylococcus hemolyticus” internet dice che questa voce c’era ma era stata cancellata perché inaffidabile, e quindi si esortano i lettori a dare una descrizione certa. Però, se su internet cercate “stafilococco ematolitico” troverete indicata Famiglia Moderna, perché questo esempio, l’avevo citato a memoria in un articolo su Valentina Lisitsa. Farò le opportune correzione su quel vecchio articolo, dopodiché probabilmente saremo assunti come autori ufficiali della descrizione di questo batterio. Dunque tra i cinesi, i giapponesi e i coreani e noi occidentali c’è questo gigantesco sbarramento linguistico. Ora la musica, come un linguaggio letterario, ha una sua sintassi, che è l’arte della costruzione della frase, che dovrebbe essere inaccessibile agli orientali, se non a rarissimi studiosi. Ed invece gli orientali sono improvvisamente diventati i massimi cultori di tutto il mondo della musica occidentale. Essi annullano per istinto le barriere sintattiche e giungono istantaneamente al risultato finale: l’esecuzione in piena ricchezza espressiva. Essi sono estremamente sensibili alle differenziazioni dinamiche (forte, piano, pianissimo, diminuendo…) e ritmiche (sostenuto, rallentando, più animato…), nonché all’intonazione sentimentale variamente espressa. Diciamo che a lato della tecnica, c’è questo corredo artistico che rende l’esecuzione gradita (o no) anche allo spettatore meno esperto. Quello che maggiormente colpisce in quello che chiamiamo il fenomeno delle bambine prodigio, è questo corredo artistico che, normalmente, un pianista di carriera acquisisce e raffina nel corso di anni ed anni d’esperienza, mentre loro lo assumono come presupposto iniziale. Evidentemente esse sono dotate di qualità artistiche innate, visto che le loro interpretazioni appaiono subito giuste, e suscitano, contemporaneamente, ammirazione, affetto e commozione. È come se la musica l’avessero inventata loro, e noi la scoprissimo adesso come quando, qualche secolo fa, in Asia scoprimmo il pepe, il tè, la gomma….e l’oppio. In ogni caso, mentre l’occidente è in pieno disarmo culturale, l’oriente si mostra più che voglioso di subentrare. E si getta sui nostri tesori non per farne barbaramente scempio, ma valorizzandoli come quando Roma, abbattuta la potenza militare dei greci, ne conservò, ne esaltò e ne assorbì l’arte, la letteratura e la filosofia.


La Tonhalle di Zurigo

Yuja Wang
Yuja Wang è una fanciulla cinese nata a Pechino il 10 febbraio 1987, che quindi ora è una signorina di 24 anni. Per coglierla nel fiore della puerizia, in quell’età in cui noi quelle pianistine le chiamiamo bambine prodigio, la data di uscita di questo articolo doveva essere quella di un giorno dell’anno 1997, quando Yuja aveva dieci anni. Ma in quell’anno Famiglia Moderna non esisteva neanche nell’immaginazione, ed anche YouTube doveva emettere i suoi primi vagiti. Solo oggi noi la veniamo a conoscere, in un momento in cui la sua carriera è ancora nella fase iniziale, ma e già più fulgida di quella di Alessandro il Macedone. Per cui la accogliamo direttamente nella nostra cerchia delle “donne superiori”, in cui fa il suo ingresso ed occupa il suo seggio con tutto il prestigio e la baldanza di un “Grande Collisore per Adroni” (Large Hadron Collider), la macchina acceleratrice di Ginevra che, prima o poi, dovrà partorire le “particelle di Dio”, quelle che fanno nascere la materia dallo spazio vuoto. Yuja Wang già appartiene al novero delle donne elette alla trasformazione della società umana, perché tutti si accorgono che il suo ingresso sulla scena non è quello di una (grande) artista, ma quello di una donna nel pieno consapevole empito di una “volontà di potenza” femminile. Non è la prima volta che una donna attrae l’entusiasmo popolare, ma, in genere, in ruoli femminili. Questa volta l’ingresso di Yuja Wang è in un ruolo assoluto, padrona della scena punto e basta, ma amministratrice del successo come donna, punto e basta. Non pretendiamo di avere la soluzione immediata per ogni quesito, quindi procediamo: Yuja Wang (leggiamo su internet) viene da una famiglia di musicisti, sua madre era una danzatrice e fu la sua prima maestra, mentre suo padre era un percussionista. A sette anni è entrata nel Beijing (Pechino) Central Conservatory of Music, ove ha studiato per tre anni. A 14 anni si è trasferita in Canada per imparare l’inglese e studiare al Mount Royal College Conservatory di Calgary. Attualmente vive a New York, ma per la maggior parte del tempo è in giro per il mondo. Nel 2003 ha fatto il suo debutto alla Tonhalle di Zurigo sotto la direzione di David Zinman suonando il concerto n. 4 di Beethoven. Aveva sedici anni. Devo domandare a mia moglie, che frequenta quella sala da concerto, se l’ha mai sentita. Poiché tutte le tappe della sua carriera sono riportate su internet, consultatele lì, mentre noi passiamo all’anno 2009, in cui Yuja suona a Perugia, nella Sala dei Notari, in un programma del tutto inedito, aperto da quattro sonate di Domenico Scarlatti. E poi tre Lieder di Schubert nella tracrizione di Liszt e da una selezione degli Studi Sinfonici di Robert Schumann. Assieme alla Sonata n. 6 di Scriabin, Yuja ha portato questo programma in diverse città, accompagnandolo con i suoi sensazionali bis costituiti dalla Tritsch-Tratsch Polka di Strauss nella variante di Georges Cziffra, e dalla Marcia Turca di Mozart nella variante di Volodos e adattamento della stessa Yuja.

Claudio Abbado


Poi è stato anunciato il suo terzo CD con la registrazione dal vivo a Ravenna nella primavera del 2010 del Concerto n.2 per pianoforte ed orchestra di Rachmaninov, con la Mahler Chamber Orchestra diretta da Claudio Abbado. Con la stessa formazione noi abbiamo, in cambio, la registrazione della durata ininterrota di oltre mezzora del Concerto n.3 di Prokofiev, dalla Sala del Festival di Lucerna. E lo stesso concerto, in tutta la sua durata ininterrotta, lo abbiamo sotto la direzione di Daniele Gatti con l’orchestra della Concertgebouw Orchestra di Amsterdam, datato il 3 ottobre 2010. Si tratta di due esecuzioni una migliore dell’altra. Che non vi stancherete di ascoltare, di vedere e di applaudire. Quindi, oltre a questi concerti ed al programma svolto a Perugia, con i relativi bis, voglio includere anche il Lamento di Orfeo, dall’opera di Gluck, nella trascrizione pianistica di Giovanni Sgambati, ripresa da Rachmaninov, registrata al festival di Verbier, nonché alcuni brani di Scriabin registrati durante il festival di Santa Fe del 2010 a cura della Matthew Snyder Recordings. E veramente non vorrei mai terminare la parte musicale di questo articolo, ma concluderò riportando alcuni punti di vista di Yuja. Si rende conto che ormai è la più brava di tutti? “Certamente sono la migliore perché sto studiando da quando avevo 6 anni…ma adesso guardate questi ragazzini asiatici, mi sembra che già suonino meglio di me”. È vero che i cinesi guardano la musica classica come gli occidentali guardano lo sport? “In America i genitori sono fieri di come i loro figli praticano gli sport. In Cina è lo stesso, ma per come i figli emergono nel campo della musica classica. La musica classica è un mezzo per diventare famosi e ricchi. Indubbiamente tutto l’entusiasmo è basato su questo, ma non so se sia la via giusta” Yuja, dà retta a noi: è la via giusta, e che tu possa diventare sempre più ricca.












(Foto Google Bing di pubblico dominio. Video: YouTube. Click per ingrandire)