venerdì 15 ottobre 2010

L'orologiaio

di Luciano Zambianchi

Orologio del periodo ellenistico, I° secolo avanti Cristo

Alcune professioni, con il passare degli anni, sono diventate come le stagioni: non sono più quelle di una volta! Tra le tante che hanno subito questa sorte c’è sicuramente l’OROLOGIAIO, o meglio la professione del riparatore di orologi. Basta frequentare una qualsiasi bottega di orologeria per scoprire che tra i venti clienti che entrano in una giornata, dieci chiedono di cambiare le batterie a quei “cosi” che definirei computer segnatempo da polso, altri cinque vogliono cambiare i cinturini e gli ultimi cinque devono far riparare (leggi: sostituire il macchinario) a orologi da cucina e finti pendoli. Che cosa c’entra questo con la mia nuova passione di collezionista e conservatore di orologi antichi? Presto detto: per tenere in ordine gli orologi che possiedo ho da tempo trovato un artigiano capace, in grado di ricostruire i pezzi guasti che non si trovano più nelle normali forniture e questo è l’aspetto positivo; di negativo c’è che purtroppo in otto mesi per i suoi interventi ho dovuto spendere circa 3000,00 euro. Oltre a ciò i tempi di attesa sono cresciuti in modo esponenziale così (avendo decisamente più tempo libero) ho pensato di improvvisarmi riparatore di orologi sperando di aver più soldi da dedicare alla ricerca di nuovi esemplari. Il mio percorso parte dalla teoria: ho incominciato col leggere diverse pubblicazioni di inizio novecento e di fine ottocento sull’arte di fabbricare e riparare orologi, poi ho preso un orologio di poco valore e lo ho smontato riducendolo ai minimi termini, e poi l’ho rimontato. Ho incominciato a riconoscere i passaggi critici, le parti più sensibili e delicate, ed a capire quale poteva essere l’attrezzatura minima per non produrre danni, dopo diverse operazioni l’orologio funzionava ancora. Così mi sono dedicato agli orologi guasti e, con un poco di logica, seguendo il percorso del movimento, individuavo i problemi riuscendo quasi sempre a porvi rimedio. Oggi, dopo centinaia di interventi, non mi sento ancora un “meccanico di orologi” ma sicuramente un “apprendista evoluto”!


Foto 1: orologio russo, seconda metà '800
Non credo di dover spiegare che cosa spinge a collezionare gli orologi, e soprattutto ad amarli. Ho conosciuto centinaia di persone con la mia stessa passione ma motivazioni estremamente diverse. Lo stesso oggetto della collezione si presta a queste differenziazioni: c’è chi colleziona orologi prodotti da una o due aziende per le particolari evoluzioni tecnologiche e la forma dei modelli (ad esempio solo Seiko o solo Swatch), chi si interessa alle complicazioni, alla storia dell’orologeria, alla particolarità di una macchina divenuta unica con il passare degli anni, all’arte espressa nei ceselli o negli smalti, alla moda, ecc.



Foto 2: i ponti e la platina decorati con incisioni
Personalmente attraverso gli orologi da tasca faccio lo Sherlock Holmes della nostra storia e della capacità tecnologica espressa dall’umanità. Per me è emozionante scoprire la passione messa da un artigiano orologiaio (produttore di orologi) nella Russia di fine ottocento, nel decorare una macchina (nata come orologio da taschino) poi trasformata in orologio da polso grazie alla applicazione di due anse (foto 1).


Foto 3: "in ricordo dal figlio al padre"
Uno spettacolo di incisioni e virtuosismi (foto 2) ma altrettanto emozionante è leggere la dedica con l’aiuto di un amico esperto di cirillico. In questo caso è una scritta sottile incisa con una punta sulla cassa d’argento: “Per ricordo dal figlio al padre” (foto 3); più avanti un’altra mano ha scritto: “1945 la guerra è finita” (foto 4). Per me, la storia è un tessuto con mille trame ed intrecci, ogni punto è buono per passare dalla microstoria alla grande storia, partiamo per esempio da questo orologio. Nella seconda metà dell’ottocento in Russia ha fondato il suo impero il fabbricante di orologi Heinrich Moser (Sciaffusa 12-12-1805, Badenweil 23-10-1874. Foto 5) che già nel 1840 aveva a San Pietroburgo un laboratorio con oltre 50 tecnici ed era fornitore ufficiale della famiglia dello Zar. La sua storia è densa come un romanzo e la riservo per un prossimo articolo. Essa si intreccia indissolubilmente con la storia della città di Sciaffusa, della IWC (International Watch Co.), della Paul Girard (Girard-Perregaux), della Jaeger-Le Coultre, in pratica investe tutto il Gotha dell’orologeria moderna. Chi ha fretta di saperne di più può già ora trovare molte informazioni nell’articolo di Marino Mariani apparso su Chrono World di maggio del 2007 (vedi articolo). 


Foto 4: "1945 la guerra è finita"
Basti ora sapere che è anche da personaggi come H. Moser che nasce la precisione e la cura che ha portato la Svizzera ad essere la patria dei migliori orologi del mondo. Non c’era esemplare uscito dalla sua bottega che non venisse scrupolosamente sottoposto a test e verificato da Moser stesso o dai suoi più stretti collaboratori, e questo indipendentemente dal costo dell’oggetto; ogni esemplare veniva firmato per esteso con il nome di Heinrich Moser proprio per sottolineare questa garanzia. 



Foto 5: Heinrich Moser
Oggi possiamo ancora ammirare i suoi capolavori e i più fortunati possono acquistarli ad esempio dagli eredi degli ufficiali della guardia dello Zar che ricevevano, alla loro nomina, un orologio di H. Moser con i simboli imperiali (foto 6) in dono dallo Zar in persona. Nel 1917 (a causa della rivoluzione sovietica) la ditta H.Moser & Co lascia la Russia ma continua a produrre orologi in Svizzera ed in altre parti del mondo. Alla luce di tutto questo diventa comprensibile la voglia di strafare dell’artigiano che ha prodotto (sempre a S. Pietroburgo) l’orologio che vi ho mostrato: aveva come competitore uno degli orologiai migliori del mondo. 


Foto 6: il sigillo dello Zar
Posso anche pensare che il “figlio” che ha donato al padre l’orologio l’abbia fatto spinto dallo sbalzo sulla cassa d’argento (foto 7) che rappresenta un agricoltore che con un aratro, trascinato da due buoi, traccia il solco. Qui c’è in pieno la metafora dell’educatore riconosciuto dal “figlio” come colui che ha tracciato la strada poi seguita dal figlio stesso. Oppure il “padre” era realmente un agricoltore che aveva fatto studiare il figlio privandosi di tutto, e proprio per questo ne aveva ottenuto la riconoscenza. Come direbbero i miei amici, abituali vittime delle mie elucubrazioni e dei miei racconti: “A pensarci bene era solo un vecchio orologio e per giunta rotto”. LZ




Foto 7: decorazione sul coperchio esterno della cassa


(foto 5: Google, tutte le altre sono dell'autore)