lunedì 31 gennaio 2011

I Fondamenti della Nutrizione Umana: 2a parte

Io e Ludovica
Nella precedente puntata di questa serie, per darle un inizio spiritoso, ho scritto: “Non so come abbiano fatto, ma gli scienziati hanno determinato che, originariamente, l’uomo era un roditore arboricolo, cioè che viveva sui rami degli alberi, ed una volta detto questo ognuno può indovinare che il suo nutrimento doveva consistere in noci, frutti e, forse, germogli e ramoscelli. Attraverso chissà quante successive trasformazioni, l’uomo è arrivato ad essere quello che, oggi, tutti noi siamo: un animale che, grazie alle sue invenzioni, e prima fra tutte quella del fuoco, oggi viene definito omnivoro, che può mangiare di tutto”. Possibile che sia stato io a scrivere simili infamità…seppur esatte? Eppure è solo da poco tempo che ho finito da leggere tutte (dicesi tutte) le avventure di Sherlock Holmes riunite in un sol volume di oltre mille pagine, in cui viene mirabilmente esposta, in tutte le sue sfaccettature, l’arte della deduzione. Ebbene, proviamo a riprendere il racconto cambiando il punto di vista prospettico, e cercando di non scambiare le cause con gli effetti. Abbandoniamo quindi l’osservazione dell’uomo che zompetta di ramo in ramo, e domandiamoci che tipo di alimentazione fosse più adatta ad un essere privo di artigli e munito di una dentature incapace di azzannare e dilaniare una preda. L’essere umano, incapace di misurarsi con gli altri animali muniti di zanne e artigli, non può essere carnivoro, ma solo vegetariano. E tra i vegetariani sappiamo che non è mai stato un erbivoro come le mucche, le pecore e le zebre, e quindi, non essendo costretto a brucare nelle radure, è naturale trovarlo annidato sugli alberi, a sfruttarne le risorse alimentari copiosamente offerte dalle frutta, ricche di vitamine e sali minerali, e dalle noci, ricche di acidi grassi essenziali e di calorie. Che non sia mai stato erbivoro è provato dal suo stomaco con duodeno, ben diverso dal triplice stomaco degli erbivori ruminanti. Che non sia stato originariamente carnivoro è fuori discussione, ma può esserlo diventato in seguito, avendo scoperto il fuoco ed inventato le armi? Ebbene, nella puntata precedente ho introdotto il concetto di malleabilità epigenetica, come complesso di certe variazioni che vengono riscontrate dopo tempi piuttosto lunghi quando l’organismo in questione adotta certe nuove abitudini non presenti nel patrimonio ereditario primordiale. È un concetto che assomiglia all’epigenesi intesa come ereditarietà dei caratteri acquisiti, e può far credere che l’uomo, avendo imparato a nutrirsi, oltre che di prodotti vegetali, anche di prodotti animali come carne, pesce e latticini, ed essendogli stato insegnato a scuola di essere omnivoro, abbia veramente acquisito, almeno in parte, i caratteri distintivi degli animali carnivori: errore! Oltre a non essergli cresciute zanne e artigli, anzi gli si sono accorciati i denti canini che originariamente aveva e tutto il corpo gli si è ingentilito (ma ciò è dovuto all’adozione di macchine che lo sollevano dalle fatiche iniziali), rimane il fatto che la lunghezza del suo intestino è pari a 12 volte il tronco, mentre l’intestino dei carnivori non supera la lunghezza di tre volte il tronco. Proporzionalmente l’intestino umano è quattro volte più lungo di quello degli animali carnivori, il che conferma che la carne ed i prodotti animali non sono adatti alla digestione umana, perché cominciano ad impudridire prima di poter essere espulsi. D’altra parte anche i bovini allevati sono trattati come se fossero omnivori, visto che gli si fanno ingerire cemento, cartongesso e cose ancora peggiori (Jeremy Rifkin), per non parlare delle farine ossee.
Avete visto che, considerate le caratteristiche dell’essere umano all’atto della sua costituzione, è stato facile, per semplice deduzione, attribuirgli la qualifica di roditore arboricolo, senza bisogno di lunghe e faticose ricerche. Ma l’uomo non sarebbe diventato uomo se non avesse imparato a discendere dagli alberi e ad accendere focolai. Con la cottura la lista delle portate a sua disposizione crebbe a dismisura: cereali (grano, orzo, avena…), leguminose (fagioli, ceci, lenticchie), cassava (manioca e tapioca), ed infine i prodotti della caccia e dell’allevamente. I quali ultimi, in questi ultimi tempi, per interesse e avidità, stanno prevalendo nell’alimentazione umana, senza che nel corso dei millenni l’uomo abbia modificato la sua struttura di un solo millimetro nel verso dell’acquisizione delle caratteristiche peculiari dell’animale carnivoro. Ilya Metchnikoff (premio Nobel) affermava che: “È la putrefazione alimentare la responsabile delle morti premature, che è causa di tutte le malattie, perché questi veleni, altamente pericolosi, passano dal canale alimentare nella linfa e nel sangue, e da questi sono condotti in tutte le parti del corpo: il fegato, i polmoni, i reni, il cuore e il cervello”.

Ilya Metchnikoff (1845 - 1916)
Riporto ancora un paio di citazioni dal sito internet intitolato: “I rischi nel mangiare carne” (datato 12 gennaio 2011). “Secondo un eminente medico francese, il brodo di manzo è una vera soluzione di veleni. Il dottor Austin Flint, del Bellevue Hospital College, uno dei più importanti medici d’America, fece un’analisi chimica del brodo di manzo e scoprì che il risultato era praticamente lo stesso di un’analisi dell’urina”. “È inevitabile che sia così, perché il brodo di manzo, il brodo di carne, il brodo di pollo, il bollito e gli estratti di carne di tutti i tipi sono dei veri e propri tessuti disintegrati, preparati artificialmente, proprio come l’urina, che è composta da tessuti disintegrati, prodotti dal metabolismo del corpo”. I testi che sto citando sono stati scritti in italiano, ma evidentemente tradotti in maniera non impeccabile da fonti straniere. Comunque il loro significato è inequivocabile. “La carne si decompone nel tratto digestivo, il veleno risultante viene assorbito e il sangue contaminato, con risultati disastrosi. Questa è la principale causa che predispone al cancro, alla tisi e ad altri tipi di malattia”.

Vitamina B12: la solita questione
Per quanto riguarda la questione della vitamina B12, essa, più che un problema dell’umanità, è un problema dei ricercatori, che ancora non hanno scoperto come venga introdotta o prodotta nel corpo umano. Nel trattato “Ernärungsmedizin in der Naturheilkunde- Handbuch für di Therapie” (Medicina alimentare nella cura naturale – Manuale di terapia), Edizione Urban&Fischer – München und Jena, gli autori così parlano di questa vitamina: “Poiché la vitamina B12 non può essere prodotta dalle piante, attorno a questa s’è accesa una controversia che non trova riscontro nei confronti di alcun’altra sostanza alimentare. L’interrogativo è su com’è possibile assicurarsene un sufficiente approvvigionamento nell’ambito di un’alimentazione esclusivamente vegetale. Nessun problema si presenta nelle forme di alimentazione mista comprendente, accanto ai vegetali, anche il latte o il latte e le uova. Studi sui vegetariani puri (che loro chiamano vegani, ndr) mostrano che essi assumono una quantità molto bassa, compresa in 0,3 – 1,2 mg/d, di vitamina B12, ma non si sanno spiegare bene con quale meccanismo. Possibilmente non tutti i vegetariani puri si astengono del tutto dal consumo di latte e prodotti del latte. È anche possibile ipotizzare l’assunzione di piccole quantità di cobalamina in virtù di torte e biscottini nella cui preparazione ci siano le uova. E sicuramente giocano un loro ruolo la flora orale e dell’intestino tenue, contaminazioni di alimenti e di posate, ed anche il contenuto di prodotti fermentati. Nonostante che il livello sanguigno della cobalamina sia estremamente basso nei vegetariani puri di lunga carriera, tuttavia le manifestazioni cliniche di una carenza negli adulti è raramente osservabile”. Bene, parrebbe che la questione della vitamina B12 oggi come oggi sia assolutamente di nessuna importanza: ce l’ha anche chi non ce l’ha. Può darsi che sia presente anche in qualche conservante aggiunto a tutti i prodotti da supermercato. Ma una domanda un po’ più seria sorge spontanea, quando si pensi che per millenni e millenni l’uomo ha fatto il roditore arboricolo, senza il conforto di tortine e biscotti all’uovo. Neanche quello di un espresso macchiato.

Jeremy Rifkin
Difesa della razza e del pianeta
La volta scorsa dissi che, alla prima occasione, avrei voluto pubblicare la recensione di Francesca Colesanti al libro “Ecocidio” di Jeremy Rifkin, apparsa su “Il Manifesto” del 4 luglio 2001. L’occasione buona è proprio questa: abbiamo or ora visto quali danni il consumo della carne provochi nell’individuo singolo, una panoramica sul llibro di Rifkin ci mostra i danni inferti al genere umano nel suo insieme, ed al nostro pianeta. Ho tagliato qualche frase per guadagnare un po’ di spazio, sicuro di non aver alterato la parola ed il pensiero dell’autrice:
“Per un estremo istinto di autodifesa e di sopravvivenza, scorrendo quelle pagine si cerca l’errore, l’esagerazione, l’estremismo. Non ci sono. Dalle parole di Jeremy Rifkin… traspare solo la dura realtà, la cruda realtà, la realtà della bistecca. E della cultura che l’ha prodotta. Ecocidio (Mondadori, pp. 373, Lire 35.000) è un’affascinante quanto rigorosa ricostruzione storica dell’ascesa della cultura della carne dagli albori dell’umanità fino ai nostri giorni, all’epoca della mucca pazza. E se tutto conosciamo ormai dell’encefalopatia spongiforme bovina e dintorni, molto abbiamo invece da imparare sui meccanismi che hanno portato le società industrializzate a fare della carne un pilastro portante della propria economia, del proprio modus vivendi, con tutte le conseguenze che ciò comporta nell’ecosistema mondiale.
Sulla base degli elementi tratti dalla ricostruzione storica, economica e sociopolitica, Jeremy Rifkin non soltanto lancia un appello all’umanità, affinché superi nel ventunesimo secolo la cultura della bistecca, ma emetta una sentenza dal sapore più che profetico: la specie umana, se vuole salvare se stessa e il pianeta che ci ospita, è destinata ad andare oltre la carne.
Lo smantellamento del complesso bovino mondiale e l’eliminazione della carne dalla dieta umana sono un obiettivo fondamentale dei prossimi decenni. Un nuovo mondo che si va formando, secondo l’autore…., la natura non è più un nemico da sottomettere e domare, ma una comunità primordiale di cui far parte. Le altre creature non sono più oggetti o vittime, ma compagni partecipi di quella grande comunità della vita che costituisce la natura e la biosfera.
Api, il dio toro, rappresentava per i popoli del Nilo la forza e la virilità……..Poi il brusco, teatrale risveglio nei box degli allevamenti intensivi statunitensi, dove gli animali vengono castrati, imbottiti di farmaci e messi all’ingrasso. Raggiunti i 500 chilogrammi, i vitelli maturi sono ammassati in giganteschi camion; il viaggio verso il mattatoio è duro e brutale: ore, giorni lungo i percorsi autostradali, senza soste, nutrimento e acqua. “Al termine del viaggio, gli animali ancora sani vengono fatti scendere; gli altri, schiacciati sul piano di carico del camion, incapaci di alzarsi e di camminare, vengono agganciati per gli arti rotti e trascinati giù dal camion, fino alla rampa di carico, dove attendono il proprio turno di macellazione”.
Ma la massima crudezza Rifkin la raggiunge nel capitolo di ecocidio dedicato alla “industriallizzazione dei bovini”, là dove descrive la catena all’interno degli impianti di macellazione: “L’animale morto si muove lungo una catena di smontaggio. Alla prima stazione viene scuoiato. Poi la carcassa viene decapitata, la lingua tagliata e rimossa, la testa e la lingua vengono attaccate a ganci che scorrono lungo la catena di smontaggio. La carcassa, quindi, viene eviscerata. Fegato, cuore, intestini e altri organinterni vengono rimossi. Nella stazione successiva, la carcassa viene squartata con una motosega lungo la colonna vertebrale e privata della coda. La carcassa squartata viene lavata con un getto di acqua tiepida, avvolta in un tessuto e mandata nella cella frigorifera. Il giorno seguente i macellai muniti di seghe a nastro smembrano la carcassa nei tagli canonici: filetto, costata, girello, spalla. I tagli vengono posti su un nastro trasportatore per la selezione e il confezionammento. I tagli di carne, affettati, pesati e confeziionati sotto vuoto raggiungono così i banchi refrigerati dei supermercati di tutto il paese, dove vengono esposti e offerti in vendita”.
Il pregio di questo librro – scritto nel 1992 e che per il grande coraggio editoriale o estrema cautela politica la Mondadori ha deciso di pubblicare ora, soltanto dopo l’apice della mucca pazza in Italia (sarà per questo che l’Ecocidio di Rifkin sta transitando nelle nostre llibrerie quasi sotto totale silenziio stampa?) – non sta tanto, anzi non sta affatto, nel facile sensazionalismo che può ridurre la descrizione di un mattatoio o di un allevamento intensivo. Sta invece nell’attenta analisi delle conseguenze e dei costi per l’umanità che ha comportato il consumo della carne dai tempi dei conquistadores spagnoli dellle Americhe fino alla giungla automatizzata della “carne moderna dei nostri giorni.
“Vacche ovunque”, titola il primo capitolo della parte quarta, dedicato al tema “Nutrire le bestie ed affamare la gente”. “Più di un miliardo di vacche pascolano nei cinque continenti. Un quarto delle terre emerse è usato per nutrire bovini ed altro bestiame”. Questo significa, spiega Rifkin prendendo ad esempio gli Stati Uniti, che il 70% dei cereali prodotti in America viene utilizzato per la nutrizione animale. Ma a fronte di un utilizzo di 157 milioni di tonnellate di cereali per il nutrimento del bestiame da macello, la carne consumata dall’uomo è pari a meno di 28 milioni di tonnellate di carne. “Sfortunatamente – conclude Jeremy Rifkin – tra gli animali domestici i bovini sono i convertitori meno efficienti di energia, anzi possono essere considerati le Cadillac degli animali d’allevamento”. E, poiché la domanda mondiale di cereali per l’alimentazione animale è in continua crescita, le multinazionali incoraggiano i paesi del terzo mondo alla conversione dell’agricoltura a cereali per il nutrimento dei manzi dei paesi più ricchi. Quando in Etiopia la grande carestia mieteva vittime su vittime, la gran parte di quella terra era utilizzata per la produzione di mangimi a base di lino esportati in Gran Bretagna.”Con un terzo della produzone cerealicola mondiale destinata all’alimentazione animale in crescita al ritmo del venti peer cento ogni dieci anni, si sta preparando una crisi di proporzioni planetarie”.
E l’impatto distruttivo dei bovini si manifesta anche nella progressiva desertificazione di ampie fasce di territorio non soltanto nelle due Americhe ma anche in Africa e in Asia: foreste abbattute, terre fertili trasformate in deserti, minacce di profonde e devastanti modifiche climatiche. Risvegliare nel consesso umano la coscienza del saccheggio dei bovini è un compito difficile e ingrato. Ma con questo libro Jeremy Rifkin può almeno dire di aver fatto tutto il possibile”.

Pace pastorale ("Alla stanga" di Giovanni Segantini 1858 - 1899)
Alimentazione assiomatica
Quando vengono mandati all’ingrasso, gli animali non solo vengono castrati, ma le corna vengono fatte saltare con una carica esplosiva. Poi Francesca Colesanti non descrive la lista delle vivande che costituiscono l’ingrasso, mostrando così un minimo di pietà verso i suoi lettori. D’altra parte, se io avessi voluto fornire maggiori particolari di questo libro terrificante, ne avrei potuto fare personalmente un riassunto, ma non me la sono proprio sentita. Pertanto ringrazio ancora una volta la signora Colesanti, e se avrò mai la ventura di conoscerla, non mancherò di porgerle doveroso omaggio.
Ma anche se il libro di Rifkin denuncia quello che forse è il maggior delitto dell’umanità, accanto ai 9 milioni di streghe vittime della Santa Inquisizione (Hans Küng) e degli ebrei assassinati dalla persecuzione di Hitler, esso, per quel mi ricordo, non proclama la tossicità intrinseca della carne in sé. Ed io stesso mi sono convertito verso l’alimentazione vegetariana pura più per una spinta passionale ed emotiva che per una scientifica convinzione. Devo dire che prima di aver letto la testimonianza di Ilya Metchnikoff, uno scienziato del XIX secolo (1800), non pensavo che, nella valutazione prospettica del nostro apparato digerente, la carne potesse essere descritta come materiale putrescente. Ed allora l’affermazione che l’uomo è un essere vegetariano del tipo frugivoro, cioè che si nutre di frutta, non è più un’ipotesi più o meno avallata dall’indagine scientifica, ma un assioma, cioè una verità assoluta che non può più essere messa in discussione. La cosidetta malleabilità epigenetica, nel corso dei millenni, ha aggiunto al menù originario i cereali, le leguminose, le euforbiacee (cassava), le solanacee (patate, pomodori, peperoni)….senza modificare la struttura interna dell’uomo, e quindi escludendone la qualifica di omnivoro. L’uomo rimane impervio alla digestione di materiali inorganici: solo le piante sono in grado di metabolizzare la materia minerale distribuita sulla terra, e pertanto dalle piante inizia ogni forma di vita. Estranei all’alimentazione umana rimangono anche gli additivi alimentari, cioè quelle sostanze, regolamentate dalle leggi, che vengono aggiunte ai prodotti alimentari per migliorarne l’aspetto, per esaltarne il sapore, ma essenzialmente per prolungarne la data di scadenza. Le sostanze così trattate non sono adatte all’alimentazione dell’individuo che mira ad essere sano, immune dalle malattie e dal decadimento dovuto all’invecchiamento. Questo tipo di generi alimentari non è destinato al consumo diretto da parte dei vissori, ma è destinato a trascorrere la sua vita sui banchi e sugli scaffali dei supermercati. Quanto ai vissori, secondo il concetto da me introdotto e sommariamente descritto nel “Chi sono”, sono coloro che vivono avendo come scopo la vita stessa, nel senso che vogliono vivere rimanendo sani e lucidi fino al loro ultimo momento, e sempre capaci e vogliosi di aiutare gli altri.
Marino Mariani

(Foto "Io e Ludovica": Sabina Mariani. Altre foto: Google, di dominio pubblico. Click per ingrandire)