venerdì 11 febbraio 2011

La Recensione

Per Sempre di Francesco Robustelli

Sono in quotidiano contatto fonovisivo (via Skype) col mio antico compagno di scuola Marcello Finelli che, laureatosi in ingegneria, vinto un posto a Cagliari si trasferì nell’isola e ci rimase, e tuttora vi rimane. Io da parte mia presi la via della Svizzera, ma poi tornai a Roma, ove tuttora risiedo. In uno dei nostri ultimi contatti, Marcello mi informò che un nostro, pur esso antico, compagno di scuola gli aveva comunicato di aver scritto un libro, che gli avrebbe inviato per mezzo della posta: era Francesco Robustelli, psicologo e ricercatore di livello internazionale. Alcuni giorni dopo, mi telefonò un altro (vecchio) compagno di scuola, Napoleone Giordano, avvertendomi che Francesco (da ora in poi: Franco) Robustelli gli aveva telefonato avvertendolo che giovedì 10 febbraio avrebbe presentato il suo libro presso una libreria di via Reggio Emilia. Allora io telefonai a Franco Robustelli per domandargli se aveva Internet. Lo sentii gridare: “Camilla, abbiamo Internet?”. La risposta fu affermativa, ed allora gli dissi che pubblicavo sulla rete “Famiglia Moderna”, e che avrei scritto volentieri una recensione del suo libro. Non volle prendere nota del nome del nostro giornale, dicendo: “Me lo dirai in libreria”.
Con Finelli, che nel frattempo aveva ricevuto il libro, ci scambiammo le rispettive impressioni: lui aveva trovato il libro molto interessante per i suoi aspetti psicologici, ed io invece avevo trovato arido e burbero il colloquio telefonico con Robustelli. Però dissi che sicuramente il libro sarà stato scritto bene, visto che, come noi, aveva avuto “la Castelli” (la nostra professoressa di lettere nel ginnasio inferiore). Non l’avessi mai detto: Finelli mi ricordò un episodio che io avevo completamente obliterato dalla mia memoria. Che Robustelli, per colpa della temutissima Castelli, aveva avuto una crisi nervosa per cui era stato curato da illustri primari, come il professor Bollea, detto “lo psicologo dei bambini”. In effetti la Castelli era micidiale: la mattina faceva l’appello, ed ognuno di noi doveva presentare non solo il “quaderno di bella”, ma anche il “quaderno di brutta” con i compiti scritti. Ci insegnò che i settimanali in rotocalco si chiamavano “rassegne” (non riviste), e sullo slancio imparammo che quando il Duce passava in “rivista” reparti della milizia, era il Duce che stava fermo sul palco e salutava romanamente i reparti che marciavano. Mentre, quando il Duce passava in “rassegna” un reparto di Alpini, il reparto era schierato ed immobile sul “presentat’arm”, mentre il Duce transitava avanti a loro a passo di marcia, salutando romanamente. Non si dice: “Cosa fai?”, bensì “Che cosa fai?” e, del pari: “Qualche cosa” e non “Qualcosa”. “Malgrado” è un francesismo, e va detto “Nonostante”. Anche l'articolo partitivo “del, dei…” era un francesismo, e quindi: “Dei bambini giocavano in giardino…” non andava detto, bensì: “Alcuni bambini giocavano in giardino..” Anch’io temevo la Castelli: una volta, in un tema da svolgere a casa, dopo aver consultato il vocabolario scrissi: “Il debutto…..”, e trovai quella parola (evidentemente anch’essa un francesismo) corretta così: “L’esordio..”. A quel tempo, nel correggere i compiti, gli insegnanti usavano una matita rosso e blù, ma non ricordo quale, tra il rosso e il blu, veniva utilizzato per sottolineare gli errori veniali e quelli mortali. Al contrario di altri, pur ritenendo la Castelli brutta e antipatica, di tutto quello che ci disse in tre anni di Ginnasio, ricordo “tutto quanto”. Ho messo questa espressione tra virgolette, perché l’ho scritta a titolo esemplificativo. Se l’avessi scritta veramente, la Castelli avrebbe cancellato “quanto”, e con la sua voce acida avrebbe detto: “Il quanto lascialo dal quantaio”.

Alla presentazione in libreria arrivai con oltre un’ora di ritardo, e Napoleone Giordano, insieme ad un altro compagno di scuola, se n’era già andato via. I numerosi invitati erano affollati attorno ad un tavolo di dolcetti e salatini, cosicché potei parlare con calma con Franco Robustelli, che mi presentò la moglie Camilla che non avevo mai conosciuto prima. Domandai se c’era anche la sorella, della quale nutrivo simpatiche rimembranze, e dalla folla sgusciò Anna con la quale mi intrattenni per tutto il resto della serata. Benché più giovane del fratello di ben quattordici anni, ricordava per filo e per segno le giovanili disavventure del fratello alle prese con la professoressa Castelli e sapeva tutto sulle vicende della nostra sezione “E”. E fu tanto gentile di darmi la sua copia del libro che mi sarebbe servita per fare la recensione, e che, promisi, le avrei restituita. Sulla via del ritorno, mi venne in mente come e perché provai un immediato odio istintivo per la Castelli, la cui ragione scoprii una cinquantina d’anni dopo: era il primo giorno di scuola, e prima di iniziare le lezioni, la Castelli ci fece un discorsetto introduttivo, che infranse d’un sol colpo tutte le mie speranze di gloria. Ella disse che noi eravamo: “Gli operai della cultura, i lavoratori dell’intelletto”. Ed io, che venivo dal paese in cui mio padre era il “Delegato Governatoriale”, e credevo di fare il mio ingresso al Ginnasio come il piccolo lord, venivo ricacciato nella classe inferiore degli operai e dei lavoratori! Dopo circa mezzo secolo mi resi conto che quell’anno veniva abolita la Riforma Gentile ed entrava in vigore la Riforma Bottai: la scuola abbandonava la colorazione elitaria del filosofo Giovanni Gentile per adottare i modi e le maniere più popolari del ministro Giuseppe Bottai. E così veniva istituita anche una lezione settimanale di lavoro manuale, che per i maschietti della nostra classe consisteva nella lavorazione dei metalli col trapano girabacchino e la seghetta ad arco. Invidiavo le classi che facevano aeromodellismo.

Tornato a casa, assaporai la gioia di potermi coricare e leggere d’un sol colpo l’ottantina di pagine del libro di Franco Robustelli, mentre Finelli mi faceva sapere di andare avanti molto lentamente, perché doveva interpretare i significati più profondi. Affrontai il primo racconto, intitolato “l’esplorazione” che, ingenuamente credevo fosse il rapporto scientifico di una missione esplorativa realmente compiuta. E così mi meravigliai che non fosse detto in che continente avvenisse. Era comunque al dilà del fiume Iavi. Riporto testualmente: “Andremo in aereo a Saloki. Di lì un battello ci porterà fino all’estuario del Pila-na e risalirà il fiume per oltre millecinquecento chilometri. Poi proseguiremo a piedi per circa duecentocinquanta chilometri fino allo Iavi. Al di là dello Iavi, c’è la regione inesplorata”. La spedizione parte l’11 marzo, e dopo sei ore di volo giunge a Saloki. Dove sarà mai? In sei ore di volo,  partendo da Roma (ma lui non lo dice) si può giungere in qualche località egiziana, o in qualche oasi della Libia desertica. Comunque ci deve essere il mare, visto che a Saloki è pronto un battello che li porterà all’estuario del Pila-na, che dovrà essere percorso, controcorrente, per millecinquecento chilometri. Ed allora potrebbe trattarsi di una località costiera del Marocco che si affaccia sull’Oceano Atlantico. Comunque addì 15 marzo Robustelli scrive nel suo diario: “Siamo entrati nel Pila-na. Me lo immaginavo più grande. Acqua torbida, limacciosa. Sulle rive sabbiose coccodrilli che prendono il sole”. E poi, il 18 marzo: “Verso le nove del mattino siamo arrivati al punto da cui dobbiamo proseguire a piedi fino allo Iavi. Abbiamo trovato ad aspettarci i trecento indigeni che dovranno portare i viveri ed il nostro equipaggiamento. Ci sono anche quattro interpreti. Abbiamo viveri per cinque mesi”. Quindi quel battello ha percorso millecinquecento chilometri controcorrente in tre giorni? Ma neanche un aliscafo…..A questo punto comincio a pensare che si tratti di un parto della fantasia, ed ha ragione Finelli quando dice che certi significati vanno studiati in profondità. Comunque plaudo Robustelli quando una pistola la chiama, correttamente “pistola”. Infatti, rivoltella o revolver non sono sinonimi di pistola, bensì decrivono un particolare tipo di pistola: quella dei cow boys, a tamburo rotante.
Ma subito dopo arriva la mazzata. “È possibile che tutti indicassero qualcosa…” e, poco dopo: “Sul terreno fangoso, vicino alla mano, c’erano dei segni….”. Ma come, Franco: qualcosa invece di qualche cosa, e poi dei segni, invece di alcuni segni…? Ma allora la Castelli aveva ragione quando cercava di prostrarti ai suoi voleri. Ma tre anni d’insegnamento sono pochi, e tu non ti sei fatto dolcemente prostrare da quell'arpia. Devo dire che a questo punto io, che l’odiavo come tutti, ma le obbedivo, mi sono sentito un poco amareggiato e quando, assalito dal sonno, ho lasciato il libro cadere per terra, il mio ultimo pensiero fu: “Domani, se si trovano ancora, devo comprarmi una matita rossa e blu”.

PS: Su Internet troverete l’elenco completo delle opere scientifiche di Francesco Robustelli, e le indicazioni per reperire questo libro di fantasie e riflessioni xraccolte nel corso di cinquant’anni di vita, che si chiama: “Per sempre”, editore Alpes, prezzo 10€.