martedì 1 febbraio 2011

Albert Einstein 3a parte

Di Marino Mariani

Il giovane Albert Einstein, rinfrescato e rasserenato dall’anno scolastico passato nel pestalozziano Liceo cantonale di Aarau, rigenerato e rinvigorito dal caloroso amplesso della famiglia Winteler, a diciassette anni entra da trionfatore nel Politecnico di Zurigo, dove l’attende un preside di fisica, che già l’aveva iscritto d’ufficio nella categoria dei geni, e non vedeva l’ora di averlo come allievo modello. Errore! Einstein non smentisce la sua fama di “Svevo insolente”, manca di rispetto proprio al professor Weber, chiamandolo “Signor Weber” invece che “Herr Professor”. Crede che la matematica non serva ad un fisico puro, trascura le esercitazioni di fisica sperimentale che non servono ad un fisico teorico, provoca esplosioni in laboratorio e per poco non ci rimette un braccio. In definitiva ancora una volta rischia di essere cacciato via e si porterà appresso una nomea negativa che gli costerò almeno un decennio di carriera accademica. Ma questo Einstein sarà proprio un genio e si farà un nome in campo scientifico? Per fortuna i suoi amici lo terranno a galla.


Albert Einstein

Quando nel 1896 vi entrò Albert Einstein, il Politecnico di Zurigo contava 841 studenti destinati prevalentemente a diventare tecnici ed insegnanti, ed era meno prestigioso della contigua Università di Zurigo, e delle Università di Ginevra e di Basilea, che potevano assegnare il titolo di dottore, cosa preclusa al Politecnico fino al 1911, quando cambiò la sua denominazione ufficiale di Eidgenossische Polytechnische Schule (Scuola Politecnica federale) in Eidgenossische Technische Hochschule (Università Tecnica Federale, ovvero la ETH, da pronunciare E Te Ha, con la “H” fortemente aspirata). Il Politecnico aveva, comunque, una solida reputazione in ingegneria ed in scienze. Il preside di fisica, Heinrich Weber, aveva recentemente acquisito un nuovo grandioso edificio finanziato dal magnate dell’elettrotecnica (e concorrente della famiglia Einstein) Werner von Siemens, che ospitava laboratori modello famosi per le loro misure di precisione. Einstein era una delle undici matricole iscritte al corso per insegnanti di matematica e fisica. Viveva in un alloggio per studenti e percepiva una “retribuzione” di 100 franchi mensili (non ho capito se glieli mandava la famiglia o se era una borsa di studio. Nel testo di Isaacson la parola inglese è “stipend”, che bene o male corrisponde all’italiano stipendio. Ma se Isaacson ha scelto la parola “stipend” invece che salary, wages o pay, che sono la paga che un prestatore d’opera riceve dal datore di lavoro, traducendo dal tedesco “Stipendium”, ebbene in tedesco “Stipendium” ha un solo significato, che è quello di “Borsa di Studio”. D’altra parte l’ottima votazione conseguita da Einstein nell’esame di ammissione al Politecnico giustificherebbe il conseguimento di una borsa di studio), di cui metteva da parte 20 franchi che gli sarebbero serviti per acquisire la cittadinanza elevetica.

La Eidgenossische Technische Hochschule di Zurigo

A partire dal 1890 la fisica teorica cominciava a sbocciare in ogni parte d’Europa, ed era diventata una materia che richiedeva molta matematica, ma Einstein aveva una pronunciata vocazione più per la fisica che per la matematica, e non realizzava come i due soggetti fossero entrambi indispensabili per lo sviluppo delle nuove teorie. Su un massimo di 6, prendeva regolarmente 5 e 6 in fisica e non più di 4 in matematica e in geometria. Se ne accorse un decennio dopo, quando si trovò a combattere con la geometria della sua stessa teoria della gravità, ed in questa circostanza trovò fortunatamente un’ancora di salvataggio nell’aiuto di Gregorio Ricci-Curbastro e Tullio Levi Civita, i matematici italiani all’avanguardia del calcolo differenziale assoluto, cioè del calcolo tensoriale.

Scaramucce
Al Politecnico il suo insegnante di riferimento era sempre il professor Heinrich Weber, colui che gli aveva proposto di seguire le sue lezoni come “auditore” e che non aveva altro desiderio se non quello di avere Einstein come allievo modello. Per i primi due anni la reciproca ammirazione si mantenne intatta, ma col tempo Einstein rimase progressivamente disincantato dalle lezioni di Weber, ancorate alle fondamenta storiche della fisica, mai avventurandosi verso le nuove frontiere. ”Tutto quello che avveniva dopo Helmholtz era sistematicamente ignorato. Alla fine dei nostri studi sapevamo tutto sul passato della fisica, ma niente del suo presente”. La massima delusione, che anche gli altri studenti condividevano con Einstein, era la completa esclusione dai piani di studio delle equazioni di Maxwell, che regolavano la propagazione delle onde elettromagnetiche. Einstein non era il tipo da starsi zitto, e Weber non era il tipo da non reagire, ed alla fine del quadriennio i due erano nemici dichiarati. L’inveterata mancanza di rispetto di Einstein nei confronti delle autorità lo portarono ad interpellare il suo professore col termine non consentito di “Signor Weber”. Il rapporto con gli altri professori non era migliore. Nel corso di esercitazioni di laboratorio, tenute dal professor Jean Pernet, Einstein era sempre assente, e si beccò un “1”, il voto più basso possibile, di portata storica. “Ma perché si è impuntato con la fisica, invece di scegliere altri corsi come medicina a giurisprudenza” lo apostrofò Pernet, e Einstein rispose: “Per quelle materie ho ancor meno talento. Perché non tentare la fortuna con la fisica?” Uno dei due interlocutori era destinato a rimanere imperituro nella storia della scienza, ma da questo scambio di battute non sembrava dovesse essere Einstein. Un giorno, alle esercitazioni di laboratorio, ad Einstein fu consegnato un foglietto con la precisa procedura con cui eseguire l’esperimento. Einstein appallottolò il foglietto e lo gettò nel cestino, così racconta il suo biografo Carl Seelig. Ed Einstein proseguì a modo suo. Pernet domandò all’ assistente: “Che cosa mi dite di Einstein? Fa sempre il contrario di quello che io ordino”. “In effetti è così, Herr Professor. Ma le soluzioni che lui propone sono giuste, ed i metodi che segue sono molto interessanti”. Finché un giorno di luglio del 1899 Einstein provocò un’esplosione nel laboratorio di Pernet, e si ferì a tal punto la mano destra da dover correre all’ospedale a farsi metter i punti. Per un paio di settimane non riusciva a scrivere, e per un tempo ancora più lungo non potè suonare il violino.

Hermann Minkowski



Nonostante la sua predilezione per la fisica e la sua avversione per la matematica, migliori rapporti Einstein ebbe col professore di matematica Hermann Minkowski. Einstein apprezzava come Minkowski sapeva collegare la matematica alla fisica, ma evitava i suoi corsi più difficili, e questi lo bollò col termine di “lazy dog”. Non conosco il termine in tedesco, che si dovrebbe trovare nella biografia del Seelig, ma in definitiva il significato è quello di un “cane dormiglione”. Minkowski è titolare dello “Spazio di Minkowski”, una configurazione geometrica in cui le coordinate sono quelle spaziali ed il tempo (da cui il nome di cronotopo). Quando Einstein formulò la teoria della relatività ristretta (ai corpi in moto rettilineo uniforme), per questa sua visione adottò lo “Spazio di Minkovski”. Il professor Krall con cui ho studiato la relatività ai tempi dell’università, chiamava lo spazio di Minkowski come il luogo delle “prospettive nello spazio-tempo”.

Le prime amicizie
In definitiva Einstein gli argomenti che prediligeva preferiva studiarseli con un paio di amici. Anche se seguitava ad autodefinirsi un vagabondo solitario, cominciò a frequentare i caffè e le serate musicali con un gruppo di bohémien e compagni di studi congeniali. Nonostante il suo proclamato distacco, lasciò a Zurigo tenaci legami destinati a durare tutta la vita. Tra questi Marcel Grossmann, brillante matematico ebreo appartenente al ceto medio, il cui padre possedeva una fabbrica nel cantone di Zurigo. Grossmann prendeva minuziosi appunti che condivideva con Einstein, studente molto meno diligente. Alla moglie di Grossmann Einstein confidava che questi appunti potevano essere presi integrralmente, stampati e pubblicati. “Alla vigilia degli esami, che cosa avrei potuto fare senza quesgli appunti?”. I due, assieme, fumavano la pipa e sorseggiavano caffè ghiacciato, discutendo di filosofia ad un tavolo del caffè Metropole al Limmat Quai. “Questo Einstein un giorno diverrà un grand’uomo” predicava Grossmann ai suoi genitori. E fu proprio lui a procurare ad Einstein il suo primo impiego quale esaminatore tecnico di terza categoria all’Ufficio Svizzero dei Brevetti a Berna, e lo aiutò con tutta la sua matematica quando si trattò di convertire la sua Relatività Speciale in Relatività Generale. Poiché le lezioni di fisica al Politecnico sembravano antiquate, i due studiavano per conto proprio i testi più moderni e suggestivi. Accanto ai vari ed illustri autori come Kirchhoff, Helmholtz ed Hertz, spiccava quello, meno conosciuto, ma più attuale di Auguste Föppl che nel 1984 pubblicò il trattato che Einstein ed i suoi amici progressisti tanto aspettavano. “Introduzione alla Teoria dell’Elettricità di Maxwell”, contenente un capitolo sull’elettrodinamica dei conduttori in movimento, che poneva la questione del concetto di “movimento assoluto”, in cui Föppl fa notare che “L’unico modo per definire un moto è quello di metterlo in relazione con un altro corpo”. Quindi, nel fenomeno delle correnti indotte, è perfettamente equivalente che un magnete si muova in prossimità di un circuito elettrico in riposo, o che sia il circuito a muoversi in prossimità d’un magnete in riposo. È proprio così che comincia il trattato di Einstein del 1905 sulla Relatività Speciale. Il trattato di Föppl ebbe molta fortuna, e dopo un decennio se ne fece una nuova edizione. Poi il trattato di Föppl fu ereditato da Abraham che ne fece numerose successive edizioni, finchè fu preso da Riccardo Becker e divenne un trattato classico sulla “Teoria dell’Elettricità”. L’edizione italiana del 1949-1950 fu tradotta da Mario Ageno, costava 7.000 lire (due volumi), e su di essa studiai io ed i miei colleghi della facoltà di Fisica. Ovviamente il trattato di Föppl su cui studiò Einstein ispirò, ma non conteneva la relatività. Il trattato del Becker, invece, è una vera fonte per gli studiosi di relatività. In questo periodo fioriscono un’infinità di aneddoti su Einstein e prende forma la figura di quello che sarà il professore distratto per antonomasia. Ma già da adesso, che è ancora
uno studentello sulla soglia dei vent’anni, si dimentica chiavi di casa, valige, colletti e cravatte, ogni sorta di genere di vestiario, gli indirizzi, e qualcuno avvertì i genitori. “Questo giovane non combinerà mai niente perché non si ricorda di niente”.

Marcel Grossmann

Aspetti familiari
La vita spensierata dello studente era angustiata dai continui rovesci familiari di suo padre che, contro il consiglio di Einstein, seguitò a tentare di mandare avanti una impresa propria, invece che procacciarsi un salario da parte di qualche grossa impresa stabile, come alla fine aveva fatto zio Jakob. “Se potessi decidere io, papà avrebbe dovuto cercare un lavoro salariato già da un paio d’anni”, scrisse alla sorella nel 1898 durante un periodo veramente nero, quando sembrava che gli affari del padre fossero di nuovo sull’orlo del fallimento. La lettera era particolarmente sconsolata, forse più di quanto le circostanze richiedessero: “Ciò che maggiormante mi angustia è la sfortuna dei miei poveri genitori, che ormai da tanti anni non hanno goduto di un momento di felicità. E più ancora mi dispiace profondamente che, come adulto, dovrei fare qualche cosa senza essere capace di muovermi. Sono soltanto un peso per la mia famiglia…..meglio sarebbe stato se non fossi neanche venuto al mondo. Solo il pensiero di aver sempre fatto quanto potevo nell’ambito delle mie modeste possibilità, e la coscienza di non essermi mai permesso nessuno svago e nessuna distrazione dal corso dei miei studi, mi sostengono e mi impediscono di cadere nella più nera disperazione”. Forse questa era solo la manifestazione di un’angoscia giovanile. Ma in ogni caso il padre, armato del suo solito ottimismo, sembrava in grado di riemergere da ogni crisi. Nel successivo mese di febbraio aveva vinto la gara per l’illuminazione stradale in due piccoli villaggi prossimi a Milano. “Quanto sono felice al pensiero che i guai maggiori per i nostri genitori sono ormai passati”, scrisse a Maja. ”A vivere in tal maniera, cioè come sto facendo io, non varrebbe più la pena d’inventare le trame di novelle e romanzi”.
La nuova vita bohémien, e la sua inveterata natura immersa e centrata in se stesso, rendevano improbabile che Albert Einstein continuasse la sua relazione con Marie Winteler, la dolce fanciulla della famiglia che l’aveva accolto ad Aarau, forse un po’ leggera, irresponsabile, ma di toccante sincerità. All’inizio Einstein seguitò ad inviarle, per posta, cesti di biancheria che lei lavava, stirava e rispediva. A volte non c’era neanche una letterina d’accompagnamento, ma ella cercava comunque di compiacerlo.
Chiunque sia stato chiamato a tracciare una biografia di Einstein, deve affrontare il nodo, lo scoglio, la linea di frattura di Marie Winteler, la fanciulla leggiadra, intemerata, gentile, ingenua ed appassionata, che, amandolo tenacemtente, fu la prima e l’unica, in quel momento, a riconoscerne il genio e l’ultraterrena genialità. Ebbene, in un primo momento avevo deciso di sorvolare la vicenda di Marie Winteler, per non far pesare sul lettore il mio sentimentalismo. Poi ho pensato che una rivista audio-musicale come Suono, era invece il terreno ideale per conoscere ed approfomdire un aspetto della vita e del carattere della vicenda einsteiniana, che tutte i testi citano e commentano ma non espongono mai nella sua essenza originale. Per questa ragione pubblico interamente la lettera n. 29 tratta direttamente dal Vol. 1 della raccolta “The Collected Papers of Albert Einstein”. Questa lettera è disponibile in inglese su internet, ed alcuni brani (brevi periodi) vengono citati nella maggior parte delle biografie di Einstein, ma il testo integrale originale non è né in inglese né in tedesco, bensì in “Schweitzer Tütsch”, cioè nel dialetto svizzero che varia da cantone in cantone, da valle in valle, da città a città, e persino da quartiere a quartiere. La lettera di Marie Winteler è in “Züri Tütsch”, quello che si parla prevalentemente nel canton Zurigo.

La lettera n. 29
Al tempo in cui Einstein fu ospite della famiglia Winteler in Aarau, Marie Winteler aveva 18 anni (due più di Albert) ed aveva conseguito il diploma di maestra. All’epoca di questa lettera, ella aveva ricevuto un incarico di insegnamento bimestrale nella Gesamt-und Bürgerschule (che provo a tradure come “scuola primaria popolare”) nel villaggio di Olsberg, nel nordovest del canton Argovia, ed è datata tra il mercoledì che precede l’inizio dei suoi corsi, ed il mercoledì che precede la lettera successiva, e cioè “Olsberg, mercoledì sera (4-25 novembre 1896)”, e dice

Mio amato tesoro!
oggi è arrivato il vostro cestino ed invano ho cercato con gli occhi un vostro bigliettino, anche se la sola vista della vostra amata scrittura nell’indirizzo mi avesse già riempito di gioia. Vi ringrazio, Albert, che vogliate tornare ad Aarau, ed è inutile dire che conto i minuti che mi separano da tal momento. Domani è giovedì, e dopo sarà venerdì, e poi…. e poi finalmente sarà sabato, e voi arriverete col vostro violino, amato fanciullo, e l’altra fanciulla (anch’essa amata?) accorrerà dall’altro lato della strada. Chi arriverà per primo ed accoglierà l’altro alla stazione? Io sarò a casa tra le 2:30 e le 3, e voi non arriverete così tardi, mio tesoro, e domenica dovrò già ripartire prima delle 4, perché ci metterò un’altra ora e mezzo per arrivare dalla stazione ad Olsberg. Domenica scorsa ho dovuto attraversare il bosco sotto la pioggia battente per portare il vostro cestino alla stazione. È arrivato in tempo?. Mio caro, nella vostra lettera c’è un passo che non riesco a capire. Voi dite che non volete più scrivermi, ma perché no, mio tesoro? Già avevate detto, nella vostra lettera da Toggenburg, che avremmo ricominciato a scriverci dopo il mio arrivo ad Olsberg. Sono e non sono d’accordo, non vorrei far così ed aspettare fin quando saremo di nuovo insieme. Ma allora non mi sarò scordata, e se riceverò una gradita risposta, come mi piacerebbe avere, allora potremmo ricominciare a suonare assieme, oh…quanto ne sarei felice. Mi rimproverate che non vi ho scritto come e perché son giunta qui. Ma mio cattivo, non immaginate che vi siano cose più belle e più intelligenti di cui parlare, che non di queste sciocchezze? E se voi, caro mio filosofo (ma completamente falso), traete queste malevoli e sballate conclusioni (e quante volte sono illogici i pensieri anche se vengono da un’intelligente ed amata ricciuta testolina….non è forse così?), come avete fatto nella vostra ultima lettera a questo amato cuoricino, allora non posso proprio capire, e voi dovete essere del tutto adirato nei miei confronti, se mi avete potuto scrivere in modo così rude………

In una lettera successiva Einstein rimprovera la poverina per avergli spedito in regalo una teiera, un regalo così stupido e inutile, ed ella si difende così: “Tesorino mio caro, quella stupida “cosa” che vi ho spedito, non c’è assolutamente bisogno che vi piaccia: l’importante è che facciate bollire l’acqua e vi serviate un buon tè, e poi, tesorino mio caro, da me voi potrete avere solo quello che il mio cuore può darvi, e nient’altro, siamo d’accordo (?) Ed ora siate contento e smettetela di fare quella faccia arrabbiata che mi guarda minacciosa da ogni angolo e da ogni lato della vostra lettera”. Poi Marie, che si firma Mariechen (Marietta, Mariuccia o Mariolina) descrive le sue esperienze di maestrina al suo primo insegnamento: è commossa ed innamorata delle bambine e dei bambini della sua classe, che stanno sui banchi composti e sorridenti, pendono dalle sue labbra ed obbediscono ad ogni sua indicazione. Ma chi ama di più è il bambino più piccolo della classe, che si chiama Albert come Albert, che ha una testolina ricciuta come Albert, che le ricorda Albert, ed ella gli parla come se fosse Albert……
I lettori avranno notato che Einstein e Marie Winteler, pur essendo in piena confidenza e dimestichezza, si danno del “voi”. In realtà essi usano la massima forma di rispetto e cortesia offerta dalla lingua tedesca: “Sie”, vale a dire “Loro”, cui, nell’italiano di oggi, corrisponderebbe l’usuale “lei”. Ma, prima di essere stato messo al bando per ragioni politiche, in italiano il “voi” era la rispettosa forma discorsiva reciproca tra due persone “uguali”, di pari grado e dignità, mentre il “lei” era la forma con cui il servo si rivolge al padrone, l’inferiore al superiore, che gli risponde col “tu”. Nei Promessi Sposi il Griso, che è un servo, si rivolge con il “lei” a Don Rodrigo, che gli risponde col “tu”. Ma se avete in casa una copia di questo libro, andate a leggerne l’ultimo periodo: dopo numerosi anni di matrimonio, e dopo numerosa figliolanza data alla luce, Renzo si rivolge a Lucia, e Lucia risponde a Renzo, dandosi del “voi”. Stando così le cose al tempo della mia giovinezza, per il colloquio tra Einstein e la Winteler ho dunque usato l’egalitario “voi” al posto del servile “lei”. Fermo restando che non si davano del “tu”.

Mileva entra in scena
Ed infine, in una lettera alla madre di lei, Einstein dichiara chiusa la relazione con Marie Winteler, relazione che era vista con particolare simpatia da entrambi i lati del parentado. Einstein, annunciando che non sarebbe venuto ad Aarau per le vacanze scolastiche, adduce che sarebbe stato più che indegno “comprarsi” altri istanti di (illusoria) felicità a spese di nuovo dolore, oltre a quello già causato alla cara fanciulla, per sua colpa (di Einstein). Fa un’autoconfessione: “Mi riempie di cupa soddisfazione il fatto che adesso io stesso debba soffrire quello stesso dolore che ho prodotto alla cara fanciulla con la mia mancanza di riguardo ed a causa della mia ignoranza della sua delicata natura…”.

Einstein e Mileva: si sposeranno
Dal punto di vista del biografo Isaacson, la freddezza di Einstein nei riguardi di Marie Winteler può sembrare crudele. Ma le relazioni, specie tra adolescenti, sono difficile da giudicare dall’esterno. Essi erano molto differenti l’uno dall’altra, specie dal punto di vista intellettuale. Le lettere di Marie, specie quando si sentiva insicura, si risolvono in un balbettio. Una volta dice “..Sto scrivendo assurdità, non è così (?) e voi neanche le leggerete fino alla fine (ma non credo che lo farete)”. In un’altra così si esprime piuttosto incoerentemente: “Non penso a me stessa, mio tesoro, questo è vero, ma l’unica ragione per cui faccio così, e che non riesco neanche a pensare, se non quando sopravvengono stupidi calcoli che richiedono, per cambiare, che io ne sapessi più dei miei scolaretti”. Chiunque fosse da rimproverare, seppure, non c’è da soprendersi che abbiano infine preso vie diverse. Dopo la fine della sua relazione con Einstein, Marie cadde in una depressione nervosa, spesso dimenticando i suoi giorni d’insegnamento. Dopo qualche anno sposò il direttore di una fabbrica di orologi. Mi dispiace di non aver trovato, finora, una sua fotografia: tutti dicono che Marie era la più bella delle tre sorelle che, assieme ai quattro fratelli, costituivano la nidiata della famiglia Winteler. Da parte sua Einstein reagì alla fine di questa relazione cadendo nelle braccia di una donna che non poteva essere più differente ed opposta a Marie. Costei era Mileva Maric, la favorita figlia maggiore di un ambizioso contadino serbo che aveva abbracciato la carriera militare, che aveva contratto un matrimonio che gli assicurava una certa agiatezza. Il quale dedicava tutto se stesso alla carriera della sua brillante figliola, affinché riuscisse a farsi strada in fisica e matematica, un mondo accademico che sembrava dedicato esclusivamente agli uomini. La ragazza aveva passato la maggior parte della sua gioventù a Novi Sad, un città serba allora occupata dagli ungheresi, ove aveva frequentato classi nelle scuole più rigorose, risultando sempre la più brava, culminando il suo trionfo allorché il padre riusci ad iscriverla al Ginnasio Classico di Zagabria, istituto assolutamente maschile. Dopo essersi quivi diplomata in fisica e matematica col massimo dei voti, si trasferì a Zurigo ove divenne, non ancora ventunenne, la prima ed unica donna della sezione del Politecnico ove era iscritto Einstein. Di tre anni più anziana di Einstein, sin dalla nascita era afflitta da una malformazione all’anca, che la rendeva claudicante e soggetta ad attacchi di tubercolosi ed a crisi di depressione. Non era certamente nota per l’aspetto e la personalità, ed una sua amica di Zurigo così la descriveva: “ Molto intelligente e seria, piccola, delicata, bruna e brutta”. Aveva comunque qualità che Einstein, almeno nel romantico periodo in cui era studente, trovava attraenti: la passione per la matematica e le scienze, una dolente interiorità, un’anima incantata ed incantevole. I suoi occhi profondi avevano una spiritata intensità, il suo volto emanava un tocco di attraente malinconia. Col tempo sarebbe diventata per Einstein la musa, la compagna, l’amante, la moglie, la bête noire, l’antagonista, ed avrebbe saputo creare un campo di forza emotiva più forte di quanto Einstein abbia mai potuto sperimentare nell’intero corso della sua vita. Tutto ciò l’attraeva e lo respingeva alternativamente con una tale violenza che egli, scienziato puro, non riuscì mai a scandagliare completamente.

Lettere d'amore tra einstein e Mileva


Essi si incontrarono quando entrarono insieme al Politecnico, nell’ottobre del 1896, ma la loro relazione impiegò un certo tempo a svilupparsi. Dalle loro lettere e dalle loro reminiscenze non trapela alcun segno che, in quel primo anno accademico, nulla fossero più che semplici compagni di scuola. Tuttavia, durante l’estate dell’anno successivo, decisero di fare lunghe esursioni solitarie. In autunno, “impaurita dal nuovo sentimento che sentiva nascere in sé” a causa di Einstein, Mileva decise di abbandonare temporaneamente il Politecnico e di frequentare, in sostituzione, corsi all’Università di Heidelberg. La sua prima lettera ad Einstein che sia stata reperita, mostra i palpiti di una romantica attrazione, ma dimostra anche una sua confidente noncuranza. Ella si rivolge ad Einstein col cerimonioso “Sie” della tradizione tedesca (il “Loro” che io ho tradotto col “voi” a proposito della corrispondenza tra Einstein e Marie Winteler), senza ricorrere al confidenziale “du” (“tu”), ma a differenza della Winteler, Mileva, canzonatoriamente, ci tiene a non mostrarsi ossessionata nei suoi confronti, anche se Einstein le aveva scritto una lettera di inusitata lunghezza. “È passato un bel po’ di tempo da quando ho ricevuto la vostra lettera” gli risponde, “ed io vi avrei risposto immediatamente, ringraziandovi del vostro sacrificio di scrivermi quattro lunghe pagine, e vi avrei anche parlato della gioia che mi avete procurata in quella escursione che abbiamo fatto assieme, ma voi diceste che io dovevo scrivervi soltanto un dì in cui mi sentissi annoiata. Ed io ero intenzionata ad obbedirvi in pieno, ed ho atteso ed atteso lungamente di sentire insorgere finalmente la noia; ma finora la mia attesa è stata invano”. Ciò che ancor più distingue Mileva da Marie è proprio l’intensità intellettuale delle sue lettere. Nella prima di tali lettere Mileva proclama il suo entusiasmo per lezioni di Philipp Lenard, allora assistente all’Università di Heidelberg, sulla teoria cinetica che spiega le proprietà dei gas come risultato delle collisioni tra milioni di molecole individuali. “Oh, è stato magnifico alla lezione di ieri del professor Lenard” scriveva, “Adesso sta spiegando la teoria cinetica del calore e dei gas. Sembrerebbe che le molecole d’ossigeno si muovono con una velocità superiore a 400 metri al secondo, poi il buon professore ha fatto calcoli su calcoli…ed è venuto fuori che le molecole, anche se si muovono con questa velocità, percorrono una distanza pari soltanto ad 1/100 dello spessore di un capello”.
A quel tempo la teoria cinetica non era ancora completamente accettata dalla confraternita degli scienziati (non era neanche completamente accettata l’esistenza di atomi e molecole), e la lettera di Mileva dimosra che ella non aveva una grande conoscenza di tale argomento. E, sempre in quella prima lettera, è contenuta una triste ironia, un vero e proprio tragico presagio: Lenard fu una delle prime fonti di ispirazione per Einstein, ma in seguito divenne uno dei suoi più spietati persecutori antisemiti.

PS.: ho cominciato questa puntata, e l’ho quasi completata, prima della vacanze d’estate, cioè nel mese di luglio. Durante l’estate ho potuto contare sui libri della mia biblioteca di Zurigo e me ne sono portato una ragguardevole quantità a Roma. Prima di consegnare alla redazione quest’articolo, ho potuto scovare una preziosa notizia sulla biografia di Albrecht Fölsing, relativa allo “stipendio” di 100 franchi mensili corrisposti ad Einstein al suo ingresso al Politecnico di Zurigo. Sull’Isaacson e sulle Collected Papers pubblicate dalla Princeton University Press non viene assolutamente menzionato da chi e a che titolo questa somma fosse erogata. Ebbene sul Fölsing l’autore di questo “stipendio” viene indicato, ma si tratta di un’autrice: era la zia Julia Koch, sorella della madre di Einstein (Pauline Koch), residente a Genova.

Isaac Newton

PPSS: tornato in Italia ho trovato i numeri di Suono in cui erano stampate le prime puntate di questa biografia. Nell’ultimo numero uscito, contenente la seconda puntata, ho visto che al titolo il signor Direttore aveva aggiunto questa nota interrogativa: “Un genio è mai stato un bambino?”. Do volentieri la risposta: la maggior parte delle biografie di Einstein pongono l’accento principale sull’evoluzione del pensiero scientifico di Einstein, che dopo la formulazione della Relatività Speciale e della Relatività Generale non era riuscito a far avanzare il fronte di queste sue scoperte giovanili, e sembrava che avesse un visibile declino nelle sue polemiche con Niels Bohr sulla meccanica quantistica. In effetti l’opera scientifica di Einstein non è proseguita oltre i limiti cui ho accennato. Per tale ragione ho sempre pensatoche, come scienziato, Einstein fosse inferiore a Niels Bohr e ad Enrico Fermi. Vero, verissimo, ma lo scienziato è solamente una parte dell’uomo. Come uomo, nella maturità e nella vecchiaia Einstein è stato estremamente prolifico, trovandosi sempre al centro della ribalta mondiale, specialmente come padre onorario dello stato di Israele. Riservandomi di ampliare il concetto nel prosieguo di questi articoli, affermo sin da questo momento che Einstein fu bambino non solo durante la sua infanzia, ma mantenne la prodigiosa freschezza creativa in tutto l’arco della sua vita. La scienza non è tutto. Isaac Newton, dopo essere stato quello che è stato, abbandonò ufficialmente il settore scientifico e preferì dedicarsi alla direzione della Zecca di Stato d’Inghilterra. Un impiego parastatale.

(Foto Google di pubblico dominio. Click per ingrandire)