lunedì 7 febbraio 2011

La "vera" Campanella di Paganini

Di Marino Mariani

Niccolò paganini

Tutti, o perlomeno i nostri lettori, conoscono “La Campanella” di Paganini-Liszt, il più delle volte attribuita al solo Liszt, talora definita come “Studio da concerto n. 3”. In origine, e cioè prima delle sue numerose trascrizioni, era il terzo movimento del concerto n. 2 di Niccolò Paganini per violino e orchestra. Le trascrizioni che dicevo riguardavano non solo la trasposizione dalle 4 dita che vengono utlllizzate per suonare il viiolino alla dieci dita del pianista, e tra queste la più nota è quella di Franz Liszt (che, d’altr’onde, si definiva “il Paganini del pianoforte”), ma c’è anche quella di Ferruccio Busoni, e chi sa quante altre meno note. Altre trasposizioni riguardano l’adattamento pianistico dell’accompagnamento orchestrale. Infatti il brano, a seconda delle circostanze, non viene sempre eseguito con l’orchestra, bensì accompagnato dal pianoforte o da qualche altro strumento. Pur essendo nato a Genova nel 1782, e non nel medio evo, molti pensavano con assoluta serietà che avesse stipulato un patto col diavolo, cosa probabilmente vera: in effetti, fin dalla prima giovinezza, fu tormentato da tutti i mali possibili e immaginabili. Si dice che avesse una mano più grande dell’altra, un braccio più lungo dell’altro, una spalla più bassa dell’altra, e che quando suonava appoggiava i gomiti uno sull’altro. L’insieme di tutte queste anomalie gli conferiva un aspetto contorto, inestricabile, che gli consentiva di suonare in maniera quanto meno….inimitabile. Ed in effetti alcuni suoi studi denominati “Le Streghe” sono veramente ineseguibili. Ma se queste disgrazie, in un certo senso, possono essere considerate costruttive, quelle successive intaccavano profondamente la sua salute, e risultavano veramente distruttive. Basti pensare che, per effetto di un ascesso incurabile, perse tutta la dentatura inferiore, e dovette portare una fascia strettamente legata in modo che la mascella non gli cadesse giu e penzolasse per conto proprio. E questo mi sembra il momento giusto per rivelare che Paganini ebbe uno straordinario successo con le donne, e che lui non se ne fece sfuggire neanche una. Non si sposò, ma ebbe un figlio, Achille, che amò teneramente, e tanto brigò con i principi e i granduchi delle corti presso cui andava a suonare, che alla fine gli fu riconosciuto come figlio leggittimo. Achille Paganini raccolse l’eredità del padre (morto nel 1840), ed ebbe il compito immane di raccogliere le opere del padre, il quale teneva tutto segreto in modo che nessuno potesse rubargliele o imitarlo. Nei suoi concerti orchestrali passava i gli spartiti al maestro direttore d’orchestra all’ultimo momento, pretendendo che fossero ingaggiati professori d’orchestra capaci di leggere la musica all’istante. Negli anni 70 dello corso secolo 1900 lo stato italiano s’impegnò ad acquistare tutte le opere di Paganini che si riuscisse a reperire, sparse un po’ dovunque presso biblioteche, botteghe d’antiquario e collezioni private. In una corte che l’ospitava fu proclamato il miglior violinista del mondo, e poco dopo anche Gioachino Rossini, in Francia, ebbe un’ancor più pomposa incoronazione, quella del più granfe musicista del mondo. Ho citato volutamente Rossini, contemporaneo di Paganini (nacque dieci anni dopo) perché la musica di Paganini è, in un certo senso, vagamente rossiniana, e probabilmente entrambi questi geni impersonavano il suono (qualcun altro non avrebbe esitato a dire il sound) Italiano di quel periodo. Però devo dirvi la vera causa di questa citazione: non avendo sempre a disposizione un’orchestra, il violino solista si fa accompagnare, in genere, dal pianoforte. Ebbene, l’esecuzione che ho trovato, e che mi ha spinto a pubblicarla, è quella del maestro Salvatore Accardo, accompagnato da una ragazza che suona uno strano pianoforte, apparentemente uguale a qualsiasi altro, ma con un tasto in più, fuori ordinanza, che, quando viene premuto, produce certi colpetti come colui che bussa ad una porta. Questi colpetti, ben ritmati, sostituiscono gli squilli di campanello che vengono eseguiti dall’orchestra, quando l’organico è al gran completo. Questi colpetti possono essere stati introdotti da Paganini stesso quando si avvaleva di un accompagnamento pianistico (naturalmente col cembalo), oppure sono stati introdotti, in epoca successiva, da qualcun altro. Fatto si è che questi colpetti sono praticamente identici a quelli che gli orchestrali ottengono battendo l’archetto sul leggio nella ouverture de “Il signor Bruschino” di, indovinate chi…Rossini!


Salvatore Accardo con "Il Cannone" di Paganini

Questa Campanella viene eseguita con lo stesso violino con cui chissà quante volte l’ha eseguita Paganini stesso: un Bartolomeo Guarnieri detto “Il Cannone”. Chiunque può rendersi conto che la Campanella originale è ben diversa, ed infinitamente più difficile, di quella pianistica. Un rondò è una composizione in cui il primo tema viene ripetuto più volte (in genere tre volte), intervallato da concertati, variazioni o sviluppi, cosa che non avviene integralmente nella versione pianistica. Liszt non ha tentato minimamente di riprodurre sulla tastiera il pizzicato, il glissato e gli “uccellini” con cui il brano si chiude. Dopo l’esecuzione di Salvatore Accardo, ho aggiunto una ouverture del Signor Bruschino, per concludere una serata festosa.


(Foto Google di pubblico dominio. Click per ingrandire)