giovedì 2 dicembre 2010

Storia di IWC 3a parte

Cascata del Reno a Sciaffusa
Siamo giunti alla fine della nosra biografia della IWC. Nello spazio che mi rimane vi confiderò un segreto che non avevo ancora rivelato. Vi dissi che, avendo smarrito il mio orologio, avevo pensato di comprarmi, in Svizzera, un altro bell'orologio in acciaio, da spenderci sopra un centinaio di franchi svizzeri, vale a dire 50 o 60mila lire, alle quotazioni di quei tempi (1980). Poi, invece, avendo visitato i migliiori negozi di Lucerna, di Zurigo e di Winterthur, mi innamorai del'IWC Yacht Club II in acciaio e oro, che di franchi ne costava 3.600. Somma che non avevo in tasca. Ma la necessità aguzza l'ingegno, e mi recai in una sede della Kantonal Bank di Lucerna, ed insieme al direttore scoprimmo che nella sede di Winterthur c'era un conto intestato a mia figlia, sul quale potevo esercitare la mia patria potestà. Detto fatto, mi feci dare 5.000 franchi, ed andai a soddisfare il mio desiderio. Essendo quell'anno il 25mo anniversario del mio matrimonio, in seguito comprai, sullo slancio, lo stesso modello in oro massiccio per mia moglie, ed una versione sportiva per mia figlia, che poi rimborsai. Approfittando dello spazio che mi rimane, pubblico l'unica fotografia esistente del fondatore dell'IWC, cioè dell'uomo dal cognome più comune, e dal nome più unico che raro in tutta l'America, e cioè di Florentine Ariosto Jones. Ed anche la foto di uno dei suoi stabilimenti che attingevano la forza motrice dal Reno, che avrei dovuto pubblicare già nella prima puntata, ma lì per lì non la trovavo. E poi, al posto di un paio di foto di orologi del passato, che facevano parte delle puntate pubblicate otto anni fa dalla rivista Chrono World, pubblico un paio di modelli attuali che forse vi interessaeranno maggiormente. Ciao ciao

Florentine Ariosto Jones



Strana vicenda, quella della IWC! Nasce come una filiazione dell’intraprendenza industriale americana, sembra voler cambiare il mondo elvetico con i suoi macchinari trasportati da oltre oceano ed impiantati in un cantone non orologiero come quello di Sciaffusa, poi, con lo scorrere dei decenni, si elvetizza più degli stessi figli di Gugliemo Tell e viene a far parte del nucleo più esclusivo della nobiltà manufatturiera di questo paese. E, reciprocamente, il cantone, che dovette pur assistere alle prime disastrose vicende aziendali della IWC, finì per adottare la ditta inizialmente americana come la sua figliola prediletta. Per i nativi, essa è la “Watch” di Sciaffusa, e sono fieri che sulla cassa di questi orologi sia inciso il marchio di qualità “Probus Scafusiae”. Ma in che senso ho parlato di elvetizzazione della ditta? Ebbene, in numerose biografie aziendali da me redatte, per esempio quelle di Vacheron Constantin o di Breguet, c’è la descrizione della carriera di un orologiaio (nel senso di “Maestro Orologiaio”, cioè di “Uhrmacher”), la quale comincia con l’apprendistato e finisce con un esame di laurea costituito dalla fabbricazione di “un capolavoro” interamente progettato e costruito dal candidato. Ebbene, non un singolo personaggio della “Watch”, ma la ditta stessa, nel suo evolversi e divenire, si è considerata come l’apprendista solerte che guarda e impara, per poi passare, non appena cominciano a sussistere solide basi di natura aziendale, alla fase creativa, alla progettazione e fabbricazione in proprio di un capolavoro che, a livello di ditta di fama mondiale, non può essere che una sfida assoluta quale la produzione di un modello “grande complication” (in cui “grande” va pronunciato alla francese, cioè “gran” con la “n” nasale). Orbene, nella serie di articoli dedicati a Patek Philippe, abbiamo visto come l’orologio più complicato attualmente esistente è il “calibro 89” che, nella sua categoria, è praticamente imbattibile. E quale sarebbe la sua categoria? Quella degli orologi “da taschino”, e vien da ridere a pensare che un taschino possa contenere un orologio la cui cassa d’oro, da sola, pesa più di 500 grammi, e l’orologio stesso supera di gran lunga il chilogrammo. Si tratta, in realtà, d’un orologio la cui destinazione primaria sembra essere il caveau di una banca, o quantomeno la vetrina corazzata di una struttura espositiva (giro di parole per dire “museo”). Ebbene, nella puntata precedente abbiamo visto come nella produzione di orologi da taschino della IWC, figurino diversi modelli, esteticamente molto belli. Ma l’ambizione alle soglie del 2000, dalla IWC pienamente realizzata, è veramente ai confini più remoti della realtà: la fabbricazione di un “grande” (da pronunciare alla francese) che più grande non si può, da polso (dicesi ”da polso”)! Ebbene, direte, esiste una tradizione IWC in “grandi orologi da aviatore” consistente nel mettere un cinturino ad orologi da taschino (dopo ne riparleremo), ma non è questo il caso: il “grande” IWC da polso è un elegantissimo orologio, di facile utilizzazione, che chiunque può esibire senza spirar aria di museo viaggiante. Le illustrazioni parlano chiaro. Ma il nostro libro di riferimento, che si intitola appunto “Grande Complication della IWC” è talmente dettagliato, talmente specifico, che è praticamente impossibile farne una sintesi senza rivelare una penosa disparità tra l’articolo conciso che si può ricavare e lo splendido originale, il cui autore, Manfred Fritz, ha lavorato per oltre cinque anni a fianco dei progettisti, coadiuvato da squadroni di fotografi e disegnatori per render conto della minima vitarella. Ripeto che il libro, edizione Stemmle, è disponibile in una ottima traduzione italiana, e da solo costituisce una vera e propria enciclopedia per l’amante di orologi, indipendentemente dalla propria marca preferita, e quindi rimandiamo gli appassionati alla lettura di questo raccomandabilissimo volume. Ma un saggio ve lo vogliamo comunque dare, e del “grande complication” da polso tratteremo un aspetto abbastanza insolito, quello della suoneria.

Il Grande Complication da polso, esemplare della prima
serie del 1990 tirata in soli 50 esemplari

Il suono del Grande Complication
Sono pochi gli elementi di un orologio che volendo, ed anche effettuando gli investimenti necessari, non si possono copiare o riprodurre. Alcuni componenti della suoneria appartengono già da tempo a questa categoria: in certe leghe metalliche, per esempio, si cela il segreto di una compensazione termica ottimale. Oppure, per citare un esempio più vicino a noi e tuttora attuale, il materiale con cui è realizzato lo scappamento dell’IWC “Ingenieur” (l’orologio meccanico più insensibile del mondo ai campi magnetici) viene scrupolosamente custodito dalla manifattura come segreto di produzione. Fin dall’inizio del XX secolo, tuttavia, la maggior parte dei produttori di orologi complicati disponeva, accanto agli altri reparti, anche di un laboratorio più piccolo e più riservato. Il maestro orologiaio lo apriva al mattino e lo richiudeva a chiave la sera, personalmente. Tranne che a pochi collaboratori, l’ingresso era vietato a chiunque. In quei locali, infatti, venivano sviluppati i componenti che, senza una precisa conoscenza dei materiali e dei metodi di fabbricazione impiegati, non è assolutamente possibile riprodurre, per lo meno non con lo stesso risultato: si tratta dei gong degli orologi a ripetizione. Su questo argomento specifico fino ad oggi è stato scritto ben poco. Il segreto della fabbricazione di un gong dotato di un bel suono, veniva di solito trasmesso oralmente, tanta era a quei tempi la paura (forse non infondata) che due orologi da taschino di un determinato prestigio, potessero suonare allo stesso modo. Del resto, non è proprio nel suono che sta l’incomparabile, personalissimo fascino dell’orologio a ripetizione?La maggior parte di questi laboratori avevano chiuso i battenti verso l’inizio del secolo scorso, quando “l’orologio che suonava” aveva temporaneamente perso la guerra dichiaratagli prima dalla luce elettrica, poi dalle cifre luminose. La tradizione si era così perduta, e questo ha significato per la IWC dover cominciare tutto da capo. Due giovani orologiai, Robert Greubel e Gion F. Letta, entrambi particolarmente impegnati nello sviluppo del “Grande”, hanno iniziato le loro ricerche dagli archivi. Sono seguite visite a colleghi, colloqui con fabbricanti di pianoforti e con musicisti, nonché con tecnici del suono ed esperti di metallurgia; le loro indagini però non sono state infruttuose. Una delle pochissime testimonianze scritte sulla produzione dei gong descrive così il processo: “I migliori gong sono fatti in un sol pezzo di metallo, ovvero il piede e la molla sono un tutt’unico. Per il gong va usato acciaio inglese Huntsman, che bisogna prima ammorbidire. L’acciaio va piegato partendo dal centro, in modo da conferirgli una forma arrotondata verso il piede. Bisogna quindi cominciare a limare il gong partendo dalle due estremità fino a che le molle non hanno un diametro di 1,78 mm circa. Si può poi cominciare a tranciare gli orli e arrotondare le molle con la lima. Il gong va infine passato attraverso una trafila temprata, che bisognerà costruire da sé, fino a raggiungere un diametro di 0,94 mm...”Ecco che cosa nascondevano agli occhi dei curiosi gli antichi maestri, nei loro laboratori. In quel documento si sono trovati alcuni cenni sulla tempra e sull’intonazione del gong mediante la famosa quanto difficile levigatura triangolare del piede, cioè dell’estremità da inserire nel blocco di fissaggio del gong stesso. I concetti descritti si adattavano perfettamente agli orologi da tasca di una volta, con pareti relativamente sottili e gong di grandi dimensioni. Ma anche per la realizzazione di gong molto più piccoli destinati al nostro orologio da polso è stato possibile trarre alcune conclusioni assai utili; presto però i due tecnici si resero conto che il problema maggiore non era quello di far nascere nel Grande Complication un suono soddisfacente, bensì quello di farlo “uscire” dall’orologio. Su questo punto anche i fabbricanti di strumenti musicali consultati non hanno potuto essere d’aiuto: essi infatti hanno a che fare abitualmente con strumenti costruiti soprattutto in funzione dell’ottimizzazione e della propagazione del suono. Ben poco delle loro tecniche, quindi, si dimostra applicabile ad un orologio da polso con una cassa di platino tanto massiccia da agire sul suono come un autentico silenziatore. Per un mese intero, Greubel ha lavorato nel suo tempo libero ad un gong con sezione di 0,6 mm circa, secondo un vecchio procedimento tramandato nel documento: blocchetto e molla in un pezzo unico. Quando però il pezzo così faticosamente realizzato venne montato nella platina della ripetizione e saldamente ancorato nella cassa finita, azionando il cursore esterno non scaturì che un suono assai flebile. A questo punto il team che già da anni stava lavorando allo sviluppo del Grande Complication ebbe un nuovo sussulto d’ambizione. Una cosa infatti era chiara a tutti: non si manda sul palcoscenico una primadonna senza voce. Gli esperti decisero quindi, secondo la tipica filosofia IWC, di “reinventare” il gong dell’orologio a ripetizione. A questo scopo vennero riesaminate tutte le basi teoriche della formazione del suono. Quando l’aria viene fatta vibrare ad una certa frequenza, le vibrazioni si manifestano all’organo ricevente, ossia all’orecchio, come “suono”. Nel nostro caso specifico, le “emittenti” dell’oscillazione periodica dell’aria sono i due gong percossi dai martelletti del meccanismo della ripetizione. Essi trasmettono innanzitutto le loro vibrazioni alle particelle d’aria circostante sotto forma di onde a diversa frequenza. Ma i gong possono anche entrare direttamente in vibrazione con altre parti del movimento o della cassa, cui sono collegati attraverso blocchetti di fissaggio.

Il Big Pilot's Watch Perpetual Calendar, 2010
Se un gong è più lungo dell’altro, alla percussione del martello esso produrrà vibrazioni con un periodo più lungo, e quindi con un tono più basso rispetto al gong più corto. La lunghezza necessaria affinché il suono non risulti eccessivamente acuto viene ottenuta modellando il gong come un cerchio, da collocarsi fra il movimento e la parete interna della cassa. Tutti gli sforzi vennero perciò concentrati sul potenziamento della sorgente sonora, cioè del gong. La strada di impiegare gong più grandi, che avrebbero prodotto un suono più forte, non si rivelò percorribile: le dimensioni della cassa non potevano infatti essere alterate, e la forza di percussione dei martelletti poteva venir aumentata solo in misura molto modesta. Senza esitazione si cominciò quindi a porre in discussione la validità del tradizionale gong in acciaio, e i tecnici dell’IWC si misero alla ricerca di un nuovo materiale. Con un intenso lavoro artigianale, e con attrezzi speciali, fu costruito quello che probabilmente fu il primo gong in zaffiro per orologi. Una volta montato, però, il suono si rivelò cristallino, ma decisamente troppo fievole perché le caratteristiche di vibrazione dello zaffiro sono decisamente inferiori a quelle dell’acciaio. Un altro materiale, la ceramica, si rivelò deludente per via del suono troppo cupo. L’équipe dei ricercatori cominciò a prendere in considerazione l’affascinante proprietà delle campane tubolari: un cilindro aperto che, dal punto di vista fisico, non fa entrare in vibrazione soltanto l’aria che lo circonda, ma anche quella nel suo interno. L’esperimento con un tubicino di 0,6 mm in bronzo fosforoso, purtroppo, non fornì che un trascurabile aumento del volume d’ascolto: le dimensioni di questa campana erano troppo ridotte per ottenere un miglioramento apprezzabile. Dopo tutti questi tentativi, durati molti mesi, una cosa era ormai chiara: bisognava concentrare gli sforzi non tanto sulla sorgente, bensì sul modo di far uscire il suono dalla cassa. Ma saltiamo un’altra geremiade di penose situazioni, e veniamo alla miracolistica soluzione del problema: un bel giorno Lothar Schmidt entrò in un negozio di giocattoli di Sciaffusa ed acquistò due carillon da pochi soldi per bambini. Arrivato in azienda, li smontò pezzo per pezzo per risolvere, analizzando un esempio concreto, l’enigma del suono di un giocattolo di plastica: fortissimo quando la cassa è chiusa e appena avvertibile, anche a poca distanza, quando il carillon è allo scoperto. La dimostrazione pratica e le leggi dell’acustica gli dettero la spiegazione: il gong in vibrazione (o, in quel caso, la linguetta del carillon) ha bisogno in primo luogo di uno spazio chiuso sufficientemente grande intorno a sé, la cosiddetta camera di risonanza, a cui trasmettere le proprie vibrazioni. Le vibrazioni dell’aria, a loro volta, vengono amplificate dalle pareti della cassa, il cosiddetto corpo risonante o cassa di risonanza, e ritrasmesse all’aria circostante. Applicato al Grande Complication questo principio significa: le leggi della fisica non richiedono la comunicazione diretta fra la camera di risonanza e l’aria esterna, ma impongono che la cassa, o una parte di essa, trasmettano le vibrazioni dell’aria interna a quella esterna… Naturalmente le vicende della suoneria del Grande Complication da polso della IWC, nel libro di Fritz, proseguono per molte pagine ancora, e ciò vi dà un’idea dell’analitica vastità dell’opera. Ma che fare, a questo punto, più di avervene raccomandato la lettura diretta? Passiamo invece alla più recente creazione sciaffusiana, del resto profondamente legata ad una delle sue principali specialità.

Da Vinci Perpetual Calendar Digital Date-Month, 2010

Il grande orologio da aviatore
Il primo oggetto volante della storia, l’aeroplano dei fratelli Wright, percorse 50 metri in circa 12 secondi. Ciò avvenne nel 1903, ma già pochi anni dopo l’aviazione aveva fatto segnare tali progressi da richiedere l’ausilio di una orologeria di precisione, come precedentemente la marineria aveva richiesto dei cronometri speciali per risolvere “il problema della longitudine”. L’approccio di IWC all’Aeronautica risale al primo “orologio speciale da aviatore” del 1930: quadrante nero, lancette fortemente contrastate e luminose nell’oscurità, lunetta girevole di vetro con un indicatore luminoso e di una minuteria di facile leggibilità, ma sprovvista del quadrante dei secondi. Il movimento a carica manuale dell’IWC calibro 83, utilizzato per questo ricercatissimo orologio, noto anche col nome di Mark IX, era già fornito di un dispositivo antiurto e collaudato a temperature estreme. Il Mark X, prodotto dal 1940, ne costituiva una variante adatta alle esigenze militari, ma non unicamente destinata all’Aviazione, con un calibro identico, oggi ambitissimo pezzo da collezione. Arriviamo alla seconda guerra mondiale, che pretendeva gli orologi migliori, e quasi tutti i produttori svizzeri di prestigio si attrezzarono per rispondere ad una massiccia domanda. Per la Luftwaffe, l’armata aerea tedesca, la IWC fabbricò un orologio da aviatore sovradimensionato e concepito in funzione delle esigenze militari: un modello noto semplicemente col nome di “Grande IWC”. Da questo strumento ci si attendeva una precisione nettamente superiore a quella degli orologi di bordo. Le qualità cronometriche di ciascun esemplare erano sottoposte a minuziosi controlli da parte dell’osservatorio nautico tedesco di Gesundbrunnen presso Dresda. Per questo modello d’eccezione la IWC utilizzò il movimento per orologi da taschino modificato calibro 52 SC (con secondi al centro), costituito da un prezioso movimento a ponti dorati, bilanciere bimetallico a vite e regolazione di precisione a collo di cigno, fabbricato nella sua versione di base da oltre 40 anni. Per la prima volta la IWC dotò uno dei suoi orologi di una cassa interna in ferro dolce allo scopo di proteggere il movimento dai campi magnetici.

Portuguese Yacht Club Chronograph, 2010

L’aviatore 2002
l Mark XI è stato senza dubbio il più celebre fra gli orologi da aviatore della IWC, che lo produsse a partire dal 1948. Il modello fu principalmente destinato alla Royal Air Force (visto che la Luftwaffe non esisteva più). Relativamente piccolo, e di aspetto poco appariscente, il Mark XI, dotato di tre lancette (ore, minuti e secondi), è diventato negli anni un vero e proprio oggetto di culto. Il Grande Orologio da Aviatore, presentato quest’anno, si è immediatamente imposto come una delle star delle recenti rassegne elvetiche. Si tratta di un esemplare che va certamente incontro ai desideri di un orologio prettamente maschile, aggiungendo, all’intonazione militare, delle dimensioni notevoli capace di farlo risaltare anche in quest’epoca d’orologeria extra-large: il diametro della sua cassa in acciaio è infatti di ben 46 mm (la larghezza, compresa la grande corona, va oltre i 51 mm, e l’altezza anse comprese supera i 55 mm) e lo spessore di 16,8 mm. Ma la grandezza non è solo nelle dimensioni: le tradizionali doti di precisione, affidabilità e resistenza alle sollecitazioni estreme che hanno reso celebre la casa vi si ritrovano al massimo grado. Davvero un bell’omaggio alla prestigiosa storia della IWC, e un “regalo” prezioso ai tanti estimatori della maison di Sciaffusa…
Marino Mariani

Antico stabilimento IWC azionato dalla forza motrice del Reno

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