mercoledì 27 aprile 2011

Le mie Tartarughe

Di Ornella Tessitore 
Foto 1


Foto 2


Da qualche anno sono molto interessata al mondo indiano ed in particolare alle antiche credenze di origine bangladese, così mi è capitato di leggere che alcuni indiani raccontarono all’antropologo Geertzì la reazione di un inglese quando essi gli dissero che il mondo poggiava su una piattaforma che si trova sulla schiena di quattro elefanti, i quali a loro volta erano sostenuti dal dorso di una tartaruga. L’inglese, da buon razionalista, chiese su che cosa poggiasse allora la tartaruga. “Su un’altra tartaruga”, gli risposero. “E questa allora su che cosa poggia?” “Ah, Sahib, sotto ci sono tante tartarughe!”. Questa storia mi ha molto divertito pensando alla faccia dell’inglese che prefigurava un mondo in bilico traballante su un numero indefinito di tartarughe (foto 1). E venne il giorno in cui, per una fortunata serie di coincidenze, anche noi ci ritrovammo ad ospitare una colonia di tartarughe diverse per età e dimensioni. Fino ad allora gli unici animali con cui avevo condiviso una parte della mia vita erano stati uno splendido Collie e un bellissimo gatto nero simile ad un persiano, e devo confessare che avevo sempre ritenuto che solo cani e gatti potessero essere considerati animali domestici.
Le tartarughe che avevo avuto fino a quel momento erano esemplari inanimati, di vari materiali, che avevo iniziato a collezionare sin dal tempo della mia permanenza universitaria a Siena, con relativa frequentazione della contrada della Tartuca (foto 2). Mi sono affezionata immediatamente a quei piccoli carri armati che hanno iniziato a circolare sul nostro terrazzo, osservando i loro comportamenti per imparare a conoscerli e anche per assegnare i nomi di battesimo a quelli che ancora non ne avevano. E già, perché una delle prime cose che abbiamo fatto è stata quella di spiarle, con discrezione, per scoprirne i caratteri e quelle differenze che ci avrebbero permesso di trovare i nomi adeguati.

Foto 3

A dire il vero, osservarle per ore è una cosa che continuiamo a fare anche adesso (a tre anni dal loro arrivo) e le nostre amiche ci ricambiano mostrando di riconoscerci e di avere fiducia. A differenza di tre anni fa, non si ritirano nel carapace quando le accudiamo: si lasciano accarezzare sotto il collo, ci vengono incontro quando usciamo in terrazza ed hanno con me un rapporto diverso da quello che hanno con Luciano. Non sono disturbate dalla nostra presenza neppure nei momenti più intimi: ho potuto vedere Leopoldina scavare il nido e deporre le uova, e lo stesso ho potuto fare anche con Rosina e Colomba (che abbiamo chiamato così perché ha sul carapace certe abrasioni che sembrano disegnare la coda di una colomba). Anche in quei momenti ho potuto osservare i diversi caratteri, Leopoldina è scrupolosa nella scelta del luogo e molto attenta nel cancellare le tracce del nido, passandoci e ripassandoci sopra. Rosina e Colomba sembrano più frettolose, forse dipende dal fatto che sono più giovani. Ho nominato per prima Leopoldina perché a lei è legata una scenetta a cui ho assistito durante una deposizione: mentre la nostra amica stava sforzandosi per far uscire e sistemare nel nido le sue uova (foto 3, 3a) ha incominciato a piovere violentemente, Luciano che la stava fotografando ha preso un ombrello ed è rimasto mezz’ora immobile a proteggere la “mamma” dall’acquazzone.


Foto 3a

La cosa mi è piaciuta e mi ha divertito. Ho fotografato con il mio telefonino la scenetta, che poi ho mostrato agli amici a spiegazione degli “acciacchi” lamentati da Luciano. Fino a due anni fa tra le nostre ospiti le femmine adulte erano solo tre, ed anche per questo abbiamo deciso di tenere le loro uova al calduccio in una incubatrice in modo da controllare il sesso dei nascituri e riequilibrare la quantità di femmine nella nostra piccola comunità. Mamma mia! che emozione quando è nata la prima piccolina (foto 4)! Poco prima che si liberasse del tutto dal guscio dell’uovo che la conteneva l’ho presa in mano con estrema delicatezza: una piccola pallina da ping pong con gli occhietti ancora chiusi e pezzettini di guscio ancora incollati addosso. La prima piccolina che abbiamo chiamato Ada non era perfetta, aveva la testolina piegata verso sinistra e un numero spropositato di placchette sul carapace. Sembrava anche un po’ in difficoltà con le gambine. A proposito, le gambette delle tartarughe esercitano un fascino particolare, con tutte quelle piegoline, e un po’ grassocce, mi fanno pensare alle gambe dei neonati: è una cosa irresistibile fare il solletico ai piedini delle mie bimbe. Quando ho tenuto in mano Ada, guardandola ho provato l’irresistibile desiderio di proteggerla, lei che per le sue imperfezioni aveva maggior bisogno di affetto. Non avrei mai creduto di poter pensare una cosa simile! Per i venditori di tartarughe i difetti che io riscontravo sono tutti pregi che impreziosiscono le bestiole, rendendole come pezzi unici, da vendere a caro prezzo, come se fossero rarità. Per me ognuna delle bimbe è un pezzo unico, ognuna ha il proprio carattere, la propria unicità, che le rendono individui vivi, parte integrante della famiglia.


Foto 4

Gli amici si stupiscono perché le riconosco tutte. A proposito, abbiamo stabilito di assegnar loro i nomi in ordine alfabetico (rispettando il tempo di schiusa delle uova) e con un numero di lettere definito dall’anno di nascita: tre lettere per la prima covata (2009), quattro per la seconda e in seguito aumenteremo il numero delle lettere. Abbiamo usato solo nomi femminili, anche se avremo la certezza del loro sesso solo tra 5 o 6 anni, e tra quelli possibili abbiamo dato la preferenza ai nomi delle nostre amiche, cosa che continueremo a fare. La mia preferita fra le piccole è Flo (foto 5). È una furbacchiona che si accorge di essere la prediletta. Quando metto la mano nello spazio dove vivono, quasi tutte si avvicinano e dopo un po’ cercano di mordere le mie dita: Flo no, lei si avvicina, piano piano comincia a salire sulle mie dita e quando raggiunge il palmo della mano appoggia la testina nell’incavo fra le dita e si addormenta.


Foto 5

Questo sempre ogni volta che le avvicino la mano. Flo è proprio speciale anche come aspetto: è l’unica del suo gruppo ad indossare un pullover a V, o meglio, io chiamo maglioncino il carapace delle piccoline e Flo è l’unica che ha sotto il collo una apertura che ricorda la scollatura di un maglione a V (foto 6). Ma non ci sono solo le piccole tra le mie preferite. Quando esco sul terrazzo per accudire le tartarughe più grandi comincio a chiamarle per nome e subito sento uno smuoversi di foglie e di qualcosa che si agita e come un carro armato vedo arrivare Elena di corsa: ma chi l’ha detto che le tartarughe camminano lentamente? Parte sparata magari dal gazebo in fondo al terrazzo solo perché sente la mia voce e arriva di corsa, poi si piazza davanti a me e mi guarda, mi sale sulle scarpe e mi viene appresso appresso e quando metto la lattuga nel posto dove mangiano, lei non si ferma e continua a seguirmi. Per coccolarle mi porto dietro qualche cibo che so essere di loro gradimento, a seconda delle diverse preferenze, perché Pietro ama le mele, Elena i pomodori e un po’ tutte si contendono i fichi.


Foto 6

Cerco di non dare troppo da mangiare, so bene che, come per noi, le cose che piacciono di più sono quelle che fanno più male. A volte le imbocco ed è uno spasso vedere quando strappano a morsi i pomodori senza sbagliare mira e schivando le mie dita. Mentre Elena mi segue, Paride si precipita seguito magari da Pietro o da Aurelio (foto 7) e, a ruota, da Colomba o Rosina che vengono di corsa a vedere che cosa si stanno perdendo, in un attacco di gelosia. Le piccole dovrebbero essere tutte femmine e ne hanno le caratteristiche: quando le accarezzo come se niente fosse allungano il collo e cercano di mettere in bocca le pietre dei miei anelli, come se davvero fossero attratte dai gioielli e dai monili; devo aggiungere che il carattere delle piccole non è solo positivo, spesso siamo vittime dei loro dispetti. Quando a volte ci assentiamo dalla mattina, le svegliamo un po’ più presto del solito: beh! ci guardano storto e, per un po’, non ci danno confidenza (foto 8). Quando poi rientriamo ci fanno trovare qualche disastro: a volte hanno spostato la loro casetta o rovesciato il contenitore con l’acqua, come ragazzini capricciosi.


Foto 7

Si dice che le femminucce siano più curiose, e questo è vero anche per le nostre piccoline: una notte ho trovato Gea che era andata nella cassetta accanto alla sua per vedere che cosa erano quelle palline piccoline munite di zampe, che da un po’ vivevano lì accanto. Poi, tranquilla, si è addormentata nella cassetta delle sorelline. Flo invece ha scavalcato il bordo della sua cassetta e ha fatto il giro della cucina lungo tutto il perimetro, poi, quando è arrivata verso la metà della superficie che stava esplorando, si è fermata, come se stesse pensando, e quindi di corsa, senza indecisioni, ha percorso la stanza in diagonale ed è rientrata nella sua casetta. Le differenze emergono in ogni momento, anche quando le prendo in mano: Gea si mette con le zampine di dietro dritte dritte come uno sciatore durante un salto, Flo invece si aggancia e si tiene stretta al palmo della mano come se al posto delle zampette avesse una sorta di molle con cui stringe le mie dita.


Foto 8

Ogni volta che passiamo davanti alle loro cassette tirano su la testa e allungano il collo. se parliamo si girano a guardarci e seguono i nostri discorsi, come se volessero interloquire. Di fatto le nostre tartarughe non sono mute e quindi non mi stupirei se tra qualche anno ci rispondessero. Ho scoperto che le nostre piccoline squittiscono, non a volume altissimo, ma si sentono. Chiedo scusa di questo tartarughilogio, capisco benissimo che posso sembrare un poco fissata, anch’io avrei pensato così leggendo queste cose qualche anno fa. Ma fidatevi, non è così!

Didascalie
Foto 1: Bronzo indiano con tartarughe sovrapposte.
Foto 2: Una parte della mia collezione, poi ci sono le monete e i francobolli.
Foto 3: Leopoldina scava la buca per deporre le uova.
Foto 3a: Leopoldina depone le uova che sistema una ad una nel nido.
Foto 4: Ada la nostra prima nascita.
Foto 5: Flo (la sesta nata) al suo primo compleanno.
Foto 6: Flo ha sul piastrone una scollatura a V.
Foto 7: Aurelio, un maschio di circa un chilo e mezzo.
Foto 8: Undici piccole ad un mese dalla nascita.


(Tutte le foto sono dell'autore. Click per ingrandire)


Mary Poppins




Walt Disney assai presto ebbe la percezione del tempo che fuggiva e del poco che ancora gli restava da vivere, ed era ossessionato dall’idea di sistemare le cose in modo che, dopo la sua morte, la ditta rimanesse nelle mani della sua famiglia. Di gloria Walt Disney ne raccolse molta, e la maggiore gli provenne da quella Biancaneve e i sette Nani che fu fermamente osteggiata da tutti i suoi familiari, amici, tecnici, maestranze, consiglieri e…. chiunque altro. Ma non dal suo banchiere. Nell’articolo Il Duce e Biancaneve raccontai che Walt Disney, rimasto senza quattrini, montò tutto il materiale già girato ed allestì una proiezione in banca, sperando che la finanza gli concedesse fiducia e danaro per portare a termine l’opera. Raccontai che il banchiere rimase silente per tutta la durata della proiezione, mai diede segno di entusiasmo e di approvazione.
Amadeo Giannini, Bank of America


Che silenziosamente lo accompagnò alla porta, ed accomiatandosi disse: “Credo che questo film incasserà un sacco di quattrini”. Il che significava che gli concedeva tutto il credito necessario. Ed alla fine dell’articolo, per confermare gli stretti legami che, quasi per un segno del destino, legavano Biancaneve all’Italia, raccontai che, tra le centinaia di ragazze selezionate, la gara per la voce di Biancaneve fu vinta da Adriana Caselotti, figlia di un illustre insegnante di canto italiano. Per pura distrazione dimenticai di dire chi era il banchiere che aveva finanziato Biancaneve, determinando la svolta decisiva nella vita di Walt Disney e nella storia della cinematografia. Era Amadeo Pietro Giannini, l’italiano nato a San Josè di California, fondatore della “Bank of America”, conosciuto da tutti come “Il Banchiere d’America”. E va detto che la Bank of America seguitò ad appoggiare Walt Disney per tutta la sua vita, anche dopo la morte di Giannini nel 1949. La vita di Walt Disney, pur con tutta la fama ed il rispetto da cui era circondato, non fu priva di amarezze e dispiaceri. Probabilmente era troppo rigido. Forse farei meglio a tornare indietro e cancellare il “probabilmente”. Sì, era troppo rigido, e questa rigidità lo portò a vette insuperabili nell’empireo dell’arte, ma lo dilaniò interiormente. Ruppe ogni legame d’amicizia con Katherine Hepburn quando seppe che si vedeva con Spencer Tracy prima di aver ottenuto il divorzio da suo marito. Fu in lotta continua con gli ebrei che governavano le cinque maggiori case cinematografiche, ed erano proprietarie della quasi totalità delle sale cinematografiche, detenendo così il monopolio assoluto nella distribuzione. Negli stabilimenti della Walt Disney ci fu un unico dipendente che mantenne il suo posto per oltre quarant’anni. Era l’unico negro che varcasse i cancelli degli studios, e la sua mansione era quella di lustrascarpe. Ma indubbiamente, tra le vicende familiari e quelle aziendali, quella che gli recò il maggior dolore e che lo spinse fino alle soglie dell’abbandono fu lo sciopero dell’inizio degli anni 40. Non poteva concepire che i “suoi figli” gli si voltassero contro, lui che aveva fatto ogni sacrificio per assicurare loro le migliori condizioni di lavoro possibili! Però tra le istanze degli scioperanti c’era anche la questione delle vacanze pagate, e questo significa quanto arretrate fossero, in America, le provvidenze in favore dei lavoratori. Per lo meno rispetto ai lavoratori italiani.

Biografia di riferimento di Mark Eliot



La sua rigidità si nota chiaramente nei suoi personaggi femminili, che volle addrittura archetipi di una moralità adamantina. E qualcuno troverà paradossale che proprio i suoi personaggi più rigidi, Biancaneve e Mary Poppins, balzassero nelle posizioni di testa delle classifiche delle donne più attraenti. Con il voto non solo dei più piccini, ma anche dei grandi. La cosa, però, non deve stupire, perché si trattava (e tuttora si tratta) di donne in partenza dotate di un’inequivocabile avvenenza, cui l’aura di moralità e riserbo giovavano almeno quanto atteggiamenti sguaiati ed ammiccanti avrebbero loro nociuto. Evidentemente Disney, con tutte le sue fissazioni, i suoi complessi e le sue debolezze, conosceva però il pubblico, e sapeva benissimo che i bambini, le famiglie e le persone perbene avrebbero posto le sue eroine in una categoria superiore. In definitiva tutta la sua produzione era rivolta verso il sano intrattenimento famigliare, e doveva puntare sull’assenso, non sulla censura delle numerose organizzazione tutelari della pubblica moralità. Ma il genio di Walt Disney consisteva nel non lasciarsi soggiogare dal conformismo, e fece emergere dal conformismo storie scintillanti, divertenti, emozionanti, dinamiche ed all’avanguardia dei ritrovati tecnici in tema di colore, musica ed effetti speciali.

Il sogno di Mary Poppins
Negli anni 60 Walt Disney compie sessant’anni e sente, fisicamente e psicologicamente, l’approssimarsi della fine. Raccoglie ancora successo con One Hundred and One Dalmatians (La Carica dei 101) ed un rifacimento di Fantasia. Con quest’ultimo raccoglie una critica forse eccessivamente benevola, ma non un successo di botteghino. Svaniva il sogno di un trionfale ritorno sulle scene di Mickey Mouse. Barcollando come un pugile suonato, Walt Disney si sente come afferrato e sospinto a risalire ancora una volta sul ring dei suoi passati trionfi. Ripercorre le tappe della sua carriera e cerca, invoca, implora l’intervento di una fata benefica che sia la madrina della sua ultima impresa. E prima s’’accende una tenue lucetta, che si rafforza, e poi esplode in un barbaglio accecante in cui si materializza la figura di una singolare bambinaia inglese di nome Mary Poppins

P.L. Travers


Da anni ed anni Disney conosceva il testo originale della novella di P.L. Travers Mary Poppins, la storia di una magica bambinaia (sarebbe più giusto dire istitutrice, ma il testo originale parla di una nanny. Completamente errata la traduzione in governante, che deve occuparsi dell’ordine e della pulizia in casa. Per ragioni di assonanza con nanny si accetta l’appellativo di tata), di una bambinaia, dunque, che ristabilisce il sentimento di amor paterno in una ricca dimora, in cui il papà, ricco e grasso, mostra un cuor di ghiaccio nei confronti dei suoi due deliziosi figlioli. Spesso la moglie di Walt, Lillian, leggeva ad alta voce questa serie di racconti per far addormentare la figlia Diane, ed in varie occasioni madre e figlia avevano chiesto a Walt di trasformare il libro in un film. L’autrice australiana, che risiedeva normalmente a Londra, durante la guerra s’era trasferita in America per evitare i bombardamenti. Sapendo che abitava a New York, mandò il fratello Roy a trattare con lei. La Travers respinse le proposte di Roy, come aveva fatto con altri cineasti, perché considerava il cinema “un’arte volgare”, specie per quanto riguarda i film prodotti ad Hollywood. Negli anni seguenti Disney rinnovò i suoi tentativi di acquistare i diritti cinematografici di Mary Poppins, ricevendo reiterati rifiuti. Finalmente Walt decise di agire personalmente, e andò a trovare la Travers a Londra, ove era ritornata dalla fine della guerra. E, miracolo!, alla Travers questo Disney (Walt, non Roy) piacque: intelligente, affascinante e molto persuasivo. In breve, lui la convinse che lui, e solo lui, era colui che poteva trasformare il libro in un fillm giusto. E per chiudere la trattativa accettò le due condizioni poste dall’autrice: che il libro non fosse trasformato in un cartone animato, e che a lei rimaneva il diritto di approvare il copione. Naturalmente Walt Disney se ne infischiò, di queste condizioni: A parte certe disposizioni del Ministero della Guerra (al tempo della guerra), in tutta la sua storia gli studios della Disney mai avevano dovuto sottostare a simili condizionamenti. Dopo aver visionato alcuni stralci del film, la Travers chiese la riedizione di diversi brani. Ed allora Disney spiegò alla scrittrice che aveva il diritto di approvazione sul copione, non sul film (!).


Julie Andrews in teatro (My Fair Lady)


Julie Andrews: la donna superiore
Dopo aver cestinato una lunga lista di stelle candidate al ruolo di protagonista, Walt Disney venne a vedere Julie Andrews a Broadway nella produzione del musical Camelot, e fu immediatamente conquistato dalla grazia e dalla bellezza dell’attrice, talché, il giorno dopo, le offrì formalmente la parte. Con molta gentilezza, ma con altrettanta fermezza, ella rifiutò. Prima di Camelot, Julie Andrews aveva trionfato nella versione teatrale di My Fair Lady, in cui aveva conquistato, nella parte di Eliza Doolittle, oltre all’entusiasmo del pubblico, una quantità enorme di premi, trofei, riconoscimenti…. Quando dal teatro si trattò di realizzare il film, Jack Warner la rifiutò, e Julie Andrews, inglese, si convinse di non aver nessun futuro nella cinematografia americana. Per maggior ironia, il rifiuto di Jack Warner era motivato dal fatto che la Andrews non aveva quella carica di sensualità necessaria alla parte di ragazza di strada che seduce Higgins, per la quale fu scelta Audrey Hepburn (il professore di fonetica Henry Higgins, protagonista maschile, fu Rex Harrison tanto sulla scena quanto sullo schermo). Bene, Julie Andrews non aveva abbastanza carica sensuale? Era proprio l’ideale per Walt Disney che, con la sua irresistibile parlantina, la convinse ad accettare la parte.

Dick van Dyck, Julie Andrews e i due bambini

Di ritorno a Hollywood, Disney nominò Bill Walsh come produttore del film, e prevalse sul suo antico collaboratore Ub Iwerks (co-creatore di Topolino) nello sviluppo di nuovi effetti visivi che avrebbero consentito al film di apparire contemporaneo, ma con un’anima classica (il tocco magico del miglior Walt Disney). Quando la produzione ebbe inizio, Walt divenne ossessionato da Mary Poppins, prodigando un impegno senza precedentil in tutta la sua carriera. Impose ad ognuno di eseguire i minimi dettagli esattamente come lui li voleva, non importa quanto tempo e denaro costassero. Ed i risultati si videro sullo schermo. Walt Disney, in virtù della perfetta fusione tra animazione e riprese dal vivo, trasformò la serie di episodi non strettamente connessi in cui consisteva il libro in una rappresentazione unitaria della natura della fantasia infantile. “In Mary Poppins Walt creò un mondo dove l’identità, la felicità, l’espressione e la soddisfazione erano determinate soltanto dalle gioie della libertà fisica. Un mondo, come Mary spiega a Mr. Banks (il grasso banchiere padre dei due bambini), dove nulla ha bisogno di essere spiegato” (Mark Eliot). Il film ebbe la sua prima rappresentazione ad Hollywood nel Grauman’s Chinese Theater il 27 agosto 1964, e fu accompagnato da una critica entusiasta e da un grosso successo commerciale. Al suo lancio iniziale Mary Poppins raccolse la fenomenale cifra di 45 milioni di dollari, che a quel tempo rappresentava il sesto maggior incasso tra tutti i film mai prodotti. Nella corsa ai premi Oscar, delle tredici nomination raccolte cinque si concretarono in un trionfo: Montaggio del Film, Colonna Musicale Oriiginale, Canzone (Chim-Chim-Cheere), Effetti Speciali e Migliore Attrice: Julie Andrews. Bella rivincita dell’attrice inglese sulla rivale Audrey Hepburn, che aveva anch’essa ottenuto la candidatura come Eliza Doolittle in My Fair Lady. Lo stesso Jack Warner, produttore di My Fair Lady, ammise di aver votato per Julie Andrews.
Walt Disney morì un anno e quattro mesi dopo, ed i biografi possono rallegrarsi concludendo che morì contento. Il trionfo di Mary Poppins gli aveva consentito di ripianare abbondantemente la situazione finanziaria della sua Casa cinematografica e di dar inizio ai grandiosi lavori di edificazione del “suo” California Institute of the Arts, che fu poi denominato Cal-Arts. Che si erge a fronte ed in contrapposizione al Cal-Tech, una delle massime Università scientifiche del mondo, onore e vanto di tutta la California. E forse Walt Disney veramente morì contento, perché quando ormai sembrava ttroppo tardì, sentì di nuovo il sangue scorrere a torrenti nelle sue vene. “Sapeva “ che questo suo ultimo film era la sua opera massima. E tornò ad essere il Walt Disney migliore, cioè il peggiore: autoritario, ostinato, intrattabile, maniacale, megalomane, chiuso al dialogo, alla concertazione, all’accordo e al compromesso. Solo fidente nel suo divino ed infallibile intuito di padre di tutti i bambini della Terra.

NOTA: pur avendo osservato scrupolosamente tutte le regole d'utilizzazione, il film di "Mary Poppins" da noi pubblicato a suo tempo è stato cancellato per infrazione alle norme sui diritti d'autore. Pubblichiamo questo link affinché i nostri lettori, che hanno posto "Mary Poppins" al vertice delle loro preferenze, possano provvedere a collegarsi con una fonte attendibile. Buona visione.

http://www.youtube.com/watch?v=NCoFDMOrC8k&feature=fvsr

(Foto Google di pubblico dominio. Click per ingrandire)