martedì 9 novembre 2010

Sun Valley Serenade (Serenata a Vallechiara)



L'orchestra Glenn Miller

Alla fine della seconda guerra mondiale (maggio 1945), molti italiani erano tristi per la sconfitta, altri invece gioivano per la riconquistata libertà, e nessuno si crucciava della perdita di una terra “italianissima” come l'Istria. Noi liceali avevamo i nostri travagli spirituali oltre che materiali, ma ogni tanto, qualche genere di conforto veniva come un soffio di spensieratezza a farci dimenticare la tristezza prevalente. E non parlo delle sigarette e del whisky-and-soda. Parlo invece della musica Jazz e dei film di Hollywood. Fino a quel momento l’Italia era stata la massima esportatrice di musica nel mondo, non solo in virtù delle opere di Bellini, Rossini, Donizetti, Verdi e Puccini, e dei nostri cantanti lirici (un nome per tutti: Caruso), ma anche per le nostre canzoni e canzonette, in prima linea quelle napoletane e classiche, i cui autori (Tosti, De crescenzo…) ebbero onori regali nel mondo anglosassone. Ed avrà pur qualche significato il fatto che io, senza essere un collezionista, ho una ventina di edizioni internazionali di “Ciribiribin” di Alberto Pestalozza , suonata in tutto il mondo da stelle del teatro come Mario Lanza, Jeanette MacDonald e Nelson Eddy, Lucrezia Bori, Erna sack (in tedesco)…con accompagnamento di orchestre sinfoniche, ma anche e specialmente, da orchestre e cantanti Jazz popolarissimi come Bing Crosby e le Andrews Sisters, Frank Sinatra, Dean Martin, Duke Ellington, Harry James, Glenn Miller, Benny Goodman, Louis Armstrong e…gli altri nomi aggiungeteli voi (è strano, nella traduzione americana la vicenda ha come protagonista un gondoliere…napoletano! L’esecuzione migliore, è quella delle Andrews Sisters nella quale Bing Crosby canta l’ultimo refrain in un italiano sbalorditivo). Un’altra canzone che spopolò, e la cito perché nessuno se lo sarebbe aspettato, è la “Bella Piccinina” di Panzeri/Di Lazzaro, cantata, per esempio, dalle Andrew Sisters col nome di “Ferry Boat Serenade”.
Ma dicevamo: i film di Hollywwod ed il Jazz portarono una boccata d’aria fresca ad una popolazione che aveva una gran voglia (o meglio, un gran bisogno) di dimenticare, e sembrava che tanto il cinema, quanto la musica, l’avessero inventata gli americani. Sembrava, inoltre, che gli artisti americani, nati sotto la bandiera della libertà, si esprimessero, lapalissianamente, più liberamente, con maggior vigore, e con maggiore creatività. Se c’è una verità inoppugnabile è quella che attribuisce agli americani vigore e creatività, ma questa virtù gli americani la possono esercitare solo a dispetto della censura (un tempo) e delle lobbies (oggi). Quando gli americani entrarono a Roma, l’Italia fascista aveva esercitato, cinematograficamente parlando, una censura contro i films (a quel tempo: pellicole) stranieri rei di trattare soggetti che, solo a parlarne, provocavano corruzione: droga e prostituzione, schiavitù e razzismo contro i negri e gli ebrei... Ma la censura americana era estremamente più feroce nei confronti della decenza (il codice Hayes vietava di fotografare l’interno delle cosce delle donne) e dell’ordine pubblico (lo stesso codice vietava che nello stesso fotogramma potesse apparire un malvivente che punta una pistola contro un agente di polizia), e non vi dico che cosa vietava contro i reati d’opinione. Anzi ve lo dico: Charlie Chaplin, che da solo aveva vinto la prima guerra mondiale facendo propaganda ai buoni del tesoro americani (in pratica: prestiti di guerra), e la seconda con il film “Il Dittatore”, fu costretto a fuggire clandestinamente dagli USA, perché non condannò, durante il periodo di persecuzioni Maccartiste (dal nome del senatore del Wiskonsin Joseph McCarthy, repubblicano), i comunisti. Chaplin sosteneva che le madri comuniste avevano lo stesso diritto di piangere i loro figli morti in guerra al pari delle madri americane. Una anaoga tesi sosteneva Albert Einstein, che si era rifugiato in USA a seguito delle persecuzioni naziste subite in patria, ed anche lui fu accusato di antiamericanismo. In confronto, la censura fascista era di assoluta manica larga. Basta pensare che al filosofo Benedetto Croce, simbolo di una acclamato antifascismo, l’enciclopedia Treccani dedicava un ampio spazio obiettivamente laudativo, concludendo che, nonostante l’avvento del fascismo, Benedetto Croce era rimasto legato al liberalismo democratico che era alla base della sua cultura. Ancor più di manica larga era la censura, consentendo all’attrice Clara Calamai di esporre le sue zinn, scusate volevo dire popp, cioè seni con le punte volte in su, nel film di Blasetti La Cena delle Beffe. Cosa che in America non sarebbe stata mai consentita fino alla recente caduta di ogni barriera. Qualcuno mi ricorda che il genio matematico e scienziata di grido che brevettò un sistema di criptazione per le trasmissioni radio, vitale in tempo di guerra, definita prima come la donna più bella d’Europa, e poi del Mondo, e cioè Hedy Lamarr, nel 1933, all’età di ventiquattr’anni, appariva completamente nuda nel film “Estasi”. Sì, ma in Cecoslovacchia. Non certo in America.



Ma torniamo a Clara Calamai, che apparve anche nel film di Visconti “Ossessione”, che fu giudicato come il primo film neorealistico del cinema italiano, e che io giudico, comunque, il miglior film di Luchino Visconti. Ebbene, entrambe queste prestazioni di questa grande artista furono osannate da certa stampa, e rimasero acquisite nell’opinione pubblica, come sfide lanciate contro il regime fascista. Tuttavia rimane il fatto che la censura postfascista successiva impedì la reiterazione di queste imprese. La Calamai, sposata al nobiluomo Leonardo Bonzi, non fu accettata dall’alta società e conobbe un triste declino. Ma sebbene la cinematografia statunitense soffrisse di tutte le restrizioni puritane di una censura ben più limitativa di quella italiana, la forza creativa, il vigore e l’ottimismo americano risultavano irresistibili con i film di Charlie Chaplin, di Fred Astaire e Ginger Roger, di Mikey Ronney e Judy Garland…. Ma c'è una clausola del codice Hays che non conoscevo sino a poco fa. Ed è che in uno stesso fotogramma cinematografico non potessero apparire bianchi e negri su un piede di parità. Ok per la padrona e la serva, per il padrone ed il facchino e il cameriere. Questa clausa limitativa l’ho conosciuta in una biografia di Louis Armstrong, in cui si narra che nel film St. Louis Blues tutte le scene girate con Louis Armstrong e Martha Raye furono tagliate proprio a causa di questa promiscuità (devo controllare i nomi e le date, perché di film dal nome di St. Louis Blues ne sono stati girati parecchi).

Ma quello che volevo dirvi sin dal principio, e che noi liceali, ma non solo: tutto il pubblico italiano dai più grandi ai più piccini, fu mesmerizzato (consultate un dizionario) dal film “Serenata a Vallechiara”. Più dei film di Fred e Ginger, ciò che fece maggiormente impressione fu l'orchestra di Glenn Miller, col suo nuovo suono fondato su una diversa composizione delle varie sezioni dell'orchestra e della "Front Line", la prima  linea dei solisti. Si trattava di trovare un nuovo equilibrio tra legni ed ottoni, e tra gli ottoni un nuovo equilibrio di forze tra trombe, tromboni e sassofoni. Queste questione sono, però, argomenti da Enciclopedia del Jazz. Il pubblico fu colpito innanzitutto dal bel suono dell'orchestra, e poi dalle inaspettate trovate musicali e scenografiche del più famoso boogie-woogie di tutti i tempi: "In the Mood", che significa nientemeno che: "Nella giusta disposizione mentale" (o anche "Nel giusto stato d'animo", anche se la prima versione è più classica). Ebbene, il film è un vero e proprio spettacolo musicale, gradito anche da chi non amava il jazz. Persino in America esistevano forti prevenzioni nei confronti del jazz, basta pensare che nel primo film sonoro del 1927: "The Jazz Singer", (il "Cantante di Jazz") interpretato dal Al Jolson, di jazz non se ne parla e non se ne sente, perché per "Cantante di Jazz" si intendeva un canzonettista di strada, e si sottintendeva: un fallito.

"Serenata a Vallechiara" contava su numerose attrazioni. Accanto a John Payne, che faceva la parte del pianista dell'orchestra, si esibiva la giovanissima pattinatrice sul ghiaccio medaglia d'oro alle Olimpiadi, la biondina Sonja Henje, che divenne celebre come Esther Williams e Johnny Weissmuller (Tarzan), campioni dello sport passati dalle arene agli studi di posa.  Ci sarebbe da citare il complesso dei Modernaires, e tanti altri solisti, ma veramente sensazionale, alla fine del brano "Chattanooga Choo Choo", è l'esibizione della Venere negra Dorothy Dandridge e del duo di ballerini acrobatici Nicholas Brothers. Esibizione in cui tutt'oggi tutti possono constatare che, in omaggio alle leggi razziali americane, all'apparire di questi artisti negri c'è un cambio d'inquadratura: sullo schermo rimangono solo loro (meglio così) e tutti gli altri scompaiono. E così, questo film in bianco e nero, da bianco diventa nero.
Marino Mariani