venerdì 5 novembre 2010

Orologio di famiglia


Orologio del periodo ellenistico, I° secolo a.c.


La passione è quanto unisce gli “amatori” degli orologi antichi (o semplicemente vecchi) ma la miccia che la fa esplodere è estremamente personale. Come molti primogeniti nella generazione del primo dopoguerra, quando me ne sono andato dalla casa paterna ho “ereditato” l’orologio d’oro di mio padre: per me questa è stata la prima volta in cui un oggetto (l’orologio) assumeva la valenza di un testimone, al di là del valore venale dell’oggetto. Quell’orologio mi venne poi rubato una ventina di anni fa dal mio ufficio in Largo Forano a Roma, lasciandomi un vuoto dentro, non giustificato dal rapporto che avevo, o avevo avuto, con mio padre. Da allora è come se lo stessi ancora cercando, era un cronometro “Universal” in oro rosa. Ho detto “come se lo stessi cercando” perché mi son ben guardato dal ricomprarlo: nel mercato specializzato se ne trovano di identici, in buonissime condizioni, per un prezzo che varia dai 400,00 ai 900,00 Euro (foto 1). 

Crono Universal anni 50, oro rosa
Un amico psicologo, mio quasi coetaneo, ha confermato con il suo comportamento che il “rapporto” con l’orologio di famiglia è particolare. Questo amico, quando è venuto a sapere della mia passione per i restauri mi ha affidato l’orologio di un suo zio, un Longines da tasca calibro 19 in argento. Questo orologio per lui ancora bambino era un oggetto tentatore da esplorare, di grande fascino, purtroppo una volta in una di queste “esplorazioni” l’orologio sfuggì alle manine del mio amico e cadde a terra rompendosi (mancava una parte dello smalto del quadrante e la cassa aveva il gambo che regge la corona di carica staccato) . L’orologio era poi stato riparato alla buona, con delle saldature che negli anni avevano ceduto e con un poco di colla avevano riattaccato i pezzi del quadrante; in aggiunta a questi danni estetici erano crepati un paio di rubini e un asse si era piegato. Revisionarlo e mettere a nuovo la macchina non è stato difficile, per la cassa il problema era diverso, occorreva togliere i residui delle precedenti saldature a stagno e far risaldare in argento, ribattere i “bozzi” e poi c’era il quadrante, ormai inguardabile in un orologio lucidato e rimesso completamente a nuovo, così ho fatto rifare il quadrante, sempre di smalto. Tutto questo spendendo più di quanto sarebbe costato in internet comprare un identico orologio in buone condizioni. Quando ho riportato, come mio regalo, il risultato di un mese di lavoro al mio amico, lui mi ha ringraziato ma ho visto nei suoi occhi un’ombra di tristezza, come se non fosse più l’oggetto che conosceva, evidentemente le riparazioni erano state “troppo” radicali ed avevano cancellato la storia degli incidenti, senza che lo zio ormai morto potesse di nuovo autenticare l’originalità dell’oggetto. L’orologio di famiglia così come l’ ho presentato in queste righe ha il massimo della sua diffusione nella seconda metà dell’Ottocento fino ai primi anni del dopoguerra con la nascita e lo sviluppo della classe media. Ho trovato dei cataloghi, specialmente americani (foto 2-3-4), in cui era il cliente a scegliere la macchina e poi la cassa, un monogramma aggiungeva un ulteriore tocco di unicità a quello che sarebbe diventato il simbolo del gusto, ma anche dello stato sociale della famiglia.



foto 2 foto 3 foto 4
A volte questi “pezzi unici” avevano altre origini, altre storie. Mi viene in mente il caso degli orologi con due o tre marchi, un esempio per tutti gli orologi destinati da Georges Favre-Jacot, poi Zenith (1911) dalla cittadina di Billodes, al mercato islamico (foto 5) tra il 1870 e il 1890. Il mercato era marginale e non giustificava la creazione di un nuovo marchio con cui contrassegnare il macchinario, così abbiamo il macchinario e la cassa marcati “Billodes” (foto 6), il marchio che in quegli anni usava il signor Favre-Jacot, e il quadrante “ K. Serkisoff & Co Costantinople” (foto 7) e addirittura una terza firma, quella del referente turco del marchio, colui che in una casa editrice potrebbe essere il distributore locale (foto 8).

Zenith Turco in argento, seconda metà ottocento

Naturalmente anche la concorrenza a quello che per semplificare chiamerò “Zenith” in quegli anni ha lo stesso comportamento per i mercati marginali. I macchinari diventano pressoché identici (prodotti in Svizzera dalla stessa fabbrica con calibri diversi con marchi e sottomarchi diversi) ma sempre con la stessa logica. La costruzione della macchina era molto legata al gusto estetico del mercato a cui era destinata (quello turco ed egiziano), così ecco controrubini cabochon sorretti da staffe in acciaio lucidate a specchio, uno spettacolo di pietre e specchietti (foto 9). Per chi volesse approfondire, “Georges Favre-Jacot” era un signore che forniva anche Faberge ed il mercato russo della corte dello Zar, come innovatore è stato tra i primi a realizzare macchine a 36000 alternanze, è facile trovare in Internet la sua biografia. L’alternanza è il numero di oscillazioni che un bilanciere compie in un’ora, maggiore è il numero di oscillazioni e maggiore è la precisione di un orologio.

foto 6 foto 7
foto 8 foto 9

Anche gli americani Elgin e Walthman avevano macchine prodotte in Svizzera, ma di questo mi andrebbe di parlare in un prossimo articoletto, in cui scoprire che anche aziende come la Longines per superare i problemi posti dalle Corporazioni dei produttori di orologi svizzeri (che erano una potentissima gilda) e i dazi doganali (altissimi negli USA sugli orologi svizzeri e non sui macchinari) esportavano in America macchine che poi venivano incassate negli Stati Uniti o in America Latina e non sempre con i marchi originali del fabbricante. Una morale? Se avete il vostro orologio di famiglia pensateci bene prima di farlo rimettere a nuovo!
Luciano Zambianchi

(Tutte le foto sono dell'autore. Per ingrandire: click su foto. Per Mac ulteriore ingrandimento su tastiera)